2023-03-20
Alberto Bagnai: «Se i salari sono bassi è colpa di sindacati e governi di sinistra»
Alberto Bagnai (Imagoeconomica)
L’economista della Lega: «Pure l’Ue dice che la remunerazione minima qui è inutile. Italiani attaccati su case e auto: ribelliamoci».Onorevole Alberto Bagnai, responsabile economico della Lega: è tornato di moda il salario minimo, sventolato da 5 stelle e dal nuovo segretario del Pd Elly Schlein. Che ne pensa? «La sinistra negli ultimi quarant’anni ha assistito in silenzio al crollo della quota salari, perdendo qualsiasi credibilità quando tenta di dare lezioni in materia di distribuzione del reddito. La stessa Unione Europea dice che non esiste un tema di salario minimo in Paesi come l’Italia, dove la contrattazione collettiva ha una copertura estesissima. Visto che l’Unione europea normalmente è oggetto di venerazione da parte del ceto politico di sinistra, ci chiediamo perché non venga ascoltata quando dice una cosa fattuale e di buon senso. Se in Italia c’è un problema di salari, e c’è, evidentemente il problema va cercato nel ruolo dei sindacati, che non si sono sufficientemente mobilitati affinché i contratti collettivi venissero rinnovati. Forse non si volevano disturbare i manovratori “tecnici” o di sinistra…».Il governo vara la legge delega sul fisco. Le opposizioni dicono: mancano i particolari sulle aliquote. «Premessa: in una delega è del tutto fisiologico che manchino tutti i dettagli. Una legge delega stabilisce infatti i criteri secondo i quali il governo dovrà poi legiferare. I dettagli saranno definiti nei decreti delegati. Il fatto che non ci siano i dettagli però non vuol dire che non ci siano contenuti. Uno di questi contenuti è l’impegno verso la flat tax, storica battaglia della Lega».Un regalo ai ricchi?«L’accusa di favorire i “ricchi” deriva dall’ignoranza sul funzionamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche: la progressività dell’Irpef è determinata dal meccanismo delle detrazioni più che dalla crescita delle aliquote. Sarebbe anche ora di terminare questo stucchevole dibattito su un aspetto del quadro complessivo. La legge delega attuale rappresenta un avanzamento enorme rispetto a quanto si era fatto sotto il governo Draghi». Perché?«Perché sotto Draghi la delega fiscale era un guscio vuoto. Il suo unico obiettivo era aggredire su mandato europeo le case degli italiani attraverso la riforma del catasto. Per centrare quell’obiettivo, nella delega si tentava di conciliare posizioni molto distanti, come quelle della Lega e di Leu. Ma l’accordo si poteva trovare solo su affermazioni di principio prive di contenuti. Oggi ci troviamo in una situazione totalmente diversa: una maggioranza coesa può dare al suo governo indirizzi precisi».Ma dove troverete le coperture? Si parla di cinque miliardi in principio, e svariate decine con la flat tax a pieno regime. «Faccio un’altra premessa. Aiuteremmo molto il dibattito democratico se non riducessimo il discorso sulla delega fiscale esclusivamente a un dibattito sulla flat tax e sulle sue aliquote. Questo piagnisteo sulla flat tax ignora che l’imposta sul reddito delle persone fisiche è solo un pezzo del complessivo sistema tributario. Quasi metà del gettito viene dalle imposte indirette, come l’Iva, e poi ci sono le imposte sui redditi di impresa, come l’Ires e l’Irap. Forse sarebbe il caso di parlare anche di questi aspetti».Detto questo, le coperture?«Sotto Draghi siamo già passati da cinque a quattro aliquote, trovando la necessaria copertura strutturale di sei miliardi. L’attuale delega specifica che laddove un decreto delegato producesse maggiori oneri per le casse dello Stato, la copertura sarà garantita da un fondo nel quale finiranno le maggiori risorse derivanti da altri interventi. Non c’è nessun rischio di tracollo dei conti pubblici: la Costituzione italiana prevede il principio dell’equilibrio di bilancio. Siamo in grado di non mandare a rotoli i conti pubblici anche senza i moniti dell’Europa». Perché quello della semplificazione della giungla fiscale è un obiettivo primario?«Perché è quanto chiedono gli italiani. La semplificazione riguarda anzitutto le procedure. In Italia persone anche di una certa cultura sono comunque costrette a rivolgersi a un consulente per capire come pagare le tasse, e già questa è una patologia nazionale. Semplificare, inoltre, significa sfoltire la selva di micro-tasse, i cui costi di gestione sono spesso superiori al gettito. I titolari di attività d’impresa devono poi tenere una doppia contabilità, civilistica e fiscale, per adempiere correttamente. Con i nostri provvedimenti, il fisco nazionale diventerà più decifrabile, anche per gli investitori esteri». Dicono che farete un favore agli evasori, introducendo un sistema di contrasto «preventivo» e non più «repressivo». «Userei la logica. Ogni governo ha bisogno di risorse: accusare un qualsiasi esecutivo di voler favorire gli evasori, sparandosi di fatto sui piedi, è una cretinata. Il problema è un altro: se ancora oggi parliamo di evasione è perché l’approccio che prevede di manganellare i presunti evasori evidentemente non ha funzionato. Occorre un metodo diverso, non vessatorio. Ad esempio introducendo istituti di adempimento collaborativo come il concordato preventivo biennale. Occorre anche deflazionare il contenzioso, offrendo al contribuente che vede prevalere le proprie ragioni in un grado di giudizio la possibilità di terminare la causa pagando una somma forfettaria, liberando sé stesso e l’amministrazione dal costo dell’incertezza, che paralizza gli investimenti e l’attività amministrativa».E ammorbidendo le sanzioni?«Le nostre sanzioni sono fuori scala rispetto agli altri Paesi europei, e in tutta evidenza non hanno potere deterrente: semplicemente schiacciano il contribuente sotto un carico insostenibile. Ma così ci rimette anche il fisco».La corsa della Bce al rialzo dei tassi rischia di stritolare le banche senza per questo raffreddare l’inflazione? «Le banche centrali oggi sono in un vicolo cieco. Possono solo scegliere come perdere credibilità. Se alzano i tassi d’interesse rovinano l’economia reale, perdendo credibilità come istituzioni agli occhi dei cittadini. Se invece abbassano i tassi, smentiscono la loro ragion d’essere, cioè l’idea che occorrano banche centrali indipendenti per controllare l’inflazione tramite i tassi di interesse». Come siamo arrivati a questo punto?«Da decenni i governi occidentali, in particolare in Europa, si sono preclusi l’uso della leva fiscale per sostenere la crescita, affidandosi esclusivamente alla politica monetaria. La risposta alle crisi è stata un diluvio di emissioni monetarie. Per un governo, l’unico modo di assicurarsi che la moneta emessa venga spesa nell’economia reale, invece di andare ad alimentare fenomeni speculativi, è di spenderla lui, finanziando con moneta investimenti pubblici. Una possibilità preclusa dai trattati».Sogna banche centrali meno indipendenti?«L’idea che il fine supremo della banca centrale o dei mercati sia quello di disciplinare i governi, sta mostrando la corda. L’evidenza quotidiana ci dice che saltano in aria più banche che stati sovrani, e quando le banche saltano vengono a battere cassa ai piedi degli Stati. Sarebbe giusto impostare in modo paritario, non gerarchico, il dibattito fra mercato e Stato». I casi di Credit Suisse e Svb sono solo l’inizio della tempesta? «Per me le cose andranno male per un motivo molto ovvio. La lunga epoca dei tassi bassi, fuori dall’equilibrio di mercato, ha determinato erogazione imprudente di credito. Un castello di carte che a un certo punto crolla. Quale sarà la prossima banca a cadere non possiamo saperlo, ma il contesto che si è venuto a creare fa pensare ad altre bolle pronte a scoppiare».Intanto il parlamento europeo approva la direttiva sulle case green. L’Abi avverte che l’erogazione di mutui sulle case energivore potrebbe ridursi. Rischiamo una svalutazione disastrosa del patrimonio immobiliare degli italiani? «Non è una novità che il tema ecologico condizioni l’erogazione del credito. In questo momento sto parlando dal cuore dell’Abruzzo, una Regione dal territorio splendido ma fragile. In Regioni simili le nuove regole europee prevedono che il costo del credito aumenti, per tener conto del rischio ambientale. Un’ assurdità. Sulla direttiva europea faccio solo un’osservazione: è un provvedimento profondamente illiberale, siamo di fronte a un dirigismo da piano quinquennale sovietico. L’Unione Europea afferma, nei trattati, di volere un’economia di mercato, poi nella pratica si rivela un’economia di piano che mortifica l’iniziativa privata. È una profonda ipocrisia». Qual è il movente dietro questa direttiva?«Resta utile la vecchia domanda: cui prodest? Sicuramente non giova agli italiani, che stavolta si vedono attaccati su due temi che sono al centro della loro attenzione: l’automobile e la casa. Il momento di opporsi è adesso. Confido che i cittadini si sveglino. La battaglia per la difesa della nostra libertà sarebbe dovuta cominciare da tempo, quando le aggressioni erano forse meno decifrabili: ma oggi non è più rinviabile».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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