2025-05-31
La Cassazione smentisce sé stessa pur di riempire l’Italia di migranti
Appena tre settimane dopo la sentenza con cui equiparavano il cpr di Gjader a quelli in territorio nazionale, gli ermellini ribaltano tutto, mettono in dubbio l’applicazione del diritto d’asilo e affidano il caso alla Corte europea. Quando si dice certezza del diritto...È ufficialmente nata «l’Incertezza del Diritto». All’inaugurazione degli anni giudiziari si sprecano le citazioni di Piero Calamandrei, con toghe inamidate e voci che tremano al ricordo. Ora sarebbe interessante far sapere all’insigne giurista costituente che nell’anno domini 2025 la Corte di Cassazione è andata oltre l’immaginabile: in 22 giorni è riuscita a smentire nei contenuti la sua stessa sentenza riguardante casi analoghi su un identico tema. Perfino il quotidiano La Repubblica, ideologicamente contrarissimo alle mosse del governo Meloni, scrive con aderenza alla realtà: «Sul decreto Albania, la Cassazione ci ripensa». Come dire, contrordine compagni.Meno di un mese fa la Suprema Corte italiana spiegò che la detenzione nel centro di Gjader di un immigrato clandestino in attesa di rimpatrio era «legittima, anche se la persona fa domanda di asilo», equiparando gli hotspot oltre l’Adriatico ai nostri centri per i rimpatri. Ieri al contrario ha accolto due ricorsi bloccando tutto e chiedendo che sia la Corte di giustizia europea a decidere, di fatto ponendo alle toghe lussemburghesi il quesito se «ci sia compatibilità di un sistema di asilo extraterritoriale con il diritto dell’Unione». Volendo essere caustici si potrebbe citare quella nonna che «la mangiava al burro o al sugo» a seconda del tempo.La sentenza è singolare per più motivi. Innanzitutto perché in un sistema giudiziario che affonda le sue radici nella certezza del diritto una contraddizione così palese costituisce un imbarazzante rovescio e lascia esterrefatti. È vero che una parte preponderante della magistratura è ancora in trincea, arroccata al «resistere, resistere, resistere» di borrelliana memoria anche se Silvio Berlusconi non c’è più, ma rimangiarsi un provvedimento dell’altroieri non aiuta a illuminare quell’indipendenza e quella «terzietà» che gli stessi protagonisti ritengono di avere come stella polare.Passato lo stupore è necessario notare che ancora una volta il delicatissimo tema della definizione dei confini, del rispetto delle frontiere di uno Stato sovrano e della gestione dei flussi migratori viene scippato dalla giustizia al suo titolare di cattedra, la politica. Quindi ai poteri legislativo ed esecutivo. Si crea così un vulnus che somiglia sinistramente a quello del fine vita, con una marcia d’avvicinamento all’eutanasia a colpi di sinistre sentenze, anche se la pratica in Italia è fuorilegge. Fare politica nei tribunali è pure comodo ma non risulta che la Costituzione «più bella del mondo» lo preveda.Ovvio che l’opposizione brindi. Purtroppo con un entusiasmo infantile che non va oltre la lunghezza del naso di Nicola Fratoianni o Angelo Bonelli, visto che in un sistema democratico l’invasione di campo non riguarda solo chi governa oggi ma chi si candida a governare dopodomani. Il vulnus rimane, il sindacato di legittimità non può essere demandato ai giudici e qualunque politico dovrebbe difendere le proprie prerogative, a meno che non sia convinto che con una maggioranza differente la giustizia si metta rispettosamente a cuccia.Il terzo motivo di perplessità riguarda il destinatario del pacco postale con il filosofico quesito: la Corte di giustizia europea, vale a dire un’entità esterna più o meno come i centri albanesi, senza una Costituzione su cui poggiarsi, senza un radicamento territoriale, senza uno spazio giuridico definito. Chiamata a emettere una sentenza inappellabile sulla pelle dei cittadini di un Paese sovrano. A quel punto lo spazio politico di manovra è uguale a zero, con un effetto straniante perché la tanto decantata «rappresentatività» con la quale si vogliono portare alle urne le persone nell’era dell’astensionismo, sarebbe definitivamente morta e sepolta. Tutto questo è testimonianza di un equilibrio pesantemente alterato, a favore di tribunali che non sono neppure nazionali.Sul tema ci viene in soccorso un’analisi profonda di Nicolò Zanon, giudice emerito della Corte Costituzionale, che su questo giornale scrisse: «Alla fine il problema di fondo non sta tanto nella pervicace volontà di parte della magistratura italiana di contrapporsi alle politiche della maggioranza parlamentare sul tema dell’immigrazione. Il vero problema sta nelle scelte della Corte di giustizia. Quest’ultima opera ormai scelte cruciali in perfetta solitudine, nel vuoto pneumatico lasciato da deboli istituzioni politiche. Le sue interpretazioni sul diritto dell’Unione hanno un peso decisivo e talvolta vanno anche oltre quel che pare ragionevolmente accettabile. E allora è necessaria un’azione concertata dei governi europei che intendano responsabilmente governare il fenomeno migratorio, al fine essenziale di non lasciare ai soli giudici del Lussemburgo l’ultima parola sul destino delle nazioni d’Europa». L’introduzione ufficiale dell’Incertezza del Diritto nell’ordinamento italiano finisce per dare ragione a Luigi Einaudi e a Montesquieu: «La giustizia è solo un rapporto di forza». Dove il «solo» contiene tutta la malinconia di una sconfitta.