2021-12-09
Al dissidente Landini resta solo lo sciopero
Scomunicato dal Pd per aver indetto l’astensione, il segretario Cgil in realtà non ha altri strumenti per le sue rivendicazioni (che a nostro giudizio restano sbagliate). Sulle pensioni e sul fisco, infatti, o interviene subito oppure non può più incidere. Forte della consueta maglia della salute, Maurizio Landini, numero uno della Cgil, conferma la scelta di indire lo sciopero generale. Al suo fianco, in vista del 16 dicembre, soltanto Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil. Di idea opposta la Cisl che ha spiegato di non ritenere questo il momento di fare uno sciopero politico (come se contro il governo possano esserci scioperi non politici...), ma di dover perseguire l’unità. Stessa idea traspare dal comunicato dell’Ugl di ieri pomeriggio. Mentre sul fronte politico si va dal silenzio sornione del centrodestra alla stizza palese del Pd e del resto della sinistra. La quale non si capacita di come in un momento in cui il dirigismo sta finalmente imponendo - con la scusa della salute pubblica - obblighi fino a ieri impensabili, decisioni univoche e violazioni della libertà economica oltre che individuale, un compagno provi a sottrarsi e trasformarsi in un dissidente. Evidentemente non si entra più nel merito. Basta dire sciopero per porsi fuori. È questo stupore comunista e quindi tendenzialmente antidemocratico che ci convince a stare dalla parte di Landini. Non condividiamo ciò che chiede, né gli obiettivi che vorrebbe perseguire, ma innanzitutto nessuno può dire che non ha cercato una trattativa. Si è seduto a un tavolo. Senza successo. Sulle pensioni, tutto è rimandato e sul fisco lui, come gli altri sindacalisti, è stato semplicemente informato di quanto il governo aveva intenzione di fare. I sindacati non sono stati coinvolti. Ed è questo il motivo per cui Landini ha alzato la voce. In primis, l’ha fatto per dimostrare di esistere e poi perché quando in futuro tutti si accorgeranno che i partiti si stanno spartendo pochi spiccioli di riforma fiscale e che la rimodulazione delle detrazioni penalizzerà i contribuenti molto più del mini taglio di Irpef, potrà almeno dire di essersi sfilato. In qualità di rappresentante della Cgil, Landini chiede di concentrare i benefici tutti sulla fascia reddituale inferiore ai 28.000 euro annui per evitare dispersione. E dunque si concentra soltanto sul suo «elettorato». Aggiunge che la manovra non è espansiva per via di come distribuisce le risorse. Mentre dovrebbe dire che è una manovra che lascia intatte le tasse e distribuisce sussidi a pioggia senza alcun criterio costruttivo. E quindi si tratta di una manovra che non imprime alcuna spinta né indirizzo all’economia. Esattamente ciò che tutti i partiti, essendo diventati soltanto comitati elettorali, tacciono, dopo aver smesso di difendere i cittadini dall’ingordigia fiscale dello Stato e del governo. Al di là del merito delle proteste di Landini, ciò che condividiamo è la forma e la necessità di esprimere pareri opposti a quello della maggioranza. E di farlo adesso. Esattamente prima che la partita venga chiusa e non ci sia più nulla da fare almeno per i prossimi sei anni. Da qui a fine gennaio, cioè prima che si elegga il nuovo presidente della Repubblica, il governo ha in agenda la definizione del decreto fiscale, della legge di Bilancio e pure della delega fiscale. Quest’ultima, vale la pena ribadirlo, vedrà partorire i suoi primi effetti concreti dal gennaio del 2023 ma ridisegnerà il futuro fiscale dell’Italia (nei temi del catasto immobiliare e delle rendite patrimoniali in generale) addirittura nel decennio successivo al 2027. Nell’intervista rilasciata ieri a La Repubblica, il capo della Cgil, sentendo evidentemente le pressioni della sinistra, cerca di smarcarsi e spiegare che se si è arrivati a tale situazione in realtà la colpa è dei partiti piuttosto che di Draghi. Si tratta di un riflesso alle assurde domande dell’intervistatore. Il quale chiede come sia possibile organizzare uno sciopero in pandemia. Landini risponde, per fortuna, che la pandemia non azzera i valori costituzionali. Salvo poi faticare per uscire dall’assedio di chi lo accusa e lo accuserà di voler disturbare il manovratore, mentre si sta gestendo la partita della pandemia e la campagna elettorale per il Colle. Landini invece ha compreso meglio di molti politici che disturbare il manovratore è sano ed è democratico. Ma soprattutto consentirà alla sua organizzazione di sopravvivere alla radicale trasformazione in atto nel Paese. I partiti che cercano l’unità solo per guadagnarsi un piccolo posto al sole, scopriranno ben presto che si saranno infilati in una stanza dove tutto è in ombra. Le leve del potere politico saranno altrove, fuori dal Parlamento e sicuramente più vicine a una repubblica presidenziale. Negli ultimi due decenni ci sono stati all’incirca 15 scioperi generali. Questo forse è l’unico che ci viene da benedire. Ribadiamo non per gli obiettivi ma perché se non si alza il dito adesso poi non si potrà più fare. La china che la nostra società sta prendendo ci allerta. Sempre più sussidi e sempre meno libertà d’impresa sono un combinato disposto che ci renderanno sempre più succubi e dipendenti da qualunque manovratore. Oggi va bene che il premier si chiama Mario Draghi. Domani non sappiamo chi ci sarà. E comunque anche il più grande estimatore di Draghi non potrà pensare che egli faccia tutto giusto. L’Occidente ci ha insegnato a discernere, ad approvare e a bocciare. Tutto in un equilibrio di contrappesi al potere. Tradotto in modo più semplice: i giornalisti scrivono, i sindacati scioperano.