2024-09-08
Gli Agnelli affossano anche i trattori italiani
John Elkann, erede della dinastia torinese degli Agnelli (Getty)
Cnh in difficoltà: nello stabilimento di Jesi 127 persone hanno accettato l’uscita incentivata, ma a settembre la produzione si fermerà per dieci giorni. Per salvare l’automotive, Adolfo Urso chiede di anticipare dal 2026 al 2025 la revisione dello stop Ue ai motori termici.Gli Agnelli sgonfiano pure i trattori. Non gli basta aver ormai ridotto al lumicino il mercato dell’automotive in Italia - quest’anno Stellantis produrrà meno di mezzo milione di vetture - perché da qualche mese a questa parte stanno imprimendo la stessa andatura (al rilento) anche a Cnh, la storica casa focalizzata nel segmento delle macchine movimento terra, che fa capo a Exor, la holding della dinastia torinese guidata da John Elkann. Parliamo di escavatori cingolati o gommati, livellatrici, pale, terne, apripista, movimentatori telescopici e trattori appunto. Strumenti fondamentali per l’agricoltura e le costruzioni e che fino all’inizio del 2023 andavano alla grande. Qui, stando alle spiegazioni date dai vertici aziendali ai sindacati, più che gli sconquassi della transizione verde hanno pesato la congiuntura economica non proprio florida, la stagione dei tassi di interesse al rialzo (che ha limitato le richieste di prestiti finalizzati agli investimenti) e la crisi dell’edilizia. Sta di fatto che nel giro di qualche mese si è passati dalle dichiarazioni roboanti dei manager a quelle desolanti di annunci di solidarietà, cassa integrazione e semichiusura degli impianti. Vale la pena fare una chiosa. Cnh è un colosso internazionale: dei 14.000 dipendenti europei, 4.500 lavorano in Italia. E la crisi (sono state tagliate le previsioni di profitto per il 2024) va spiegata. Nel Belpaese, reggono (le perdite sono minime) produzione e vendite di escavatori, mentre segnano un tracollo quelle dei trattori. Nel primo segmento (gli escavatori, appunto) si segnalano solo limitati rallentamenti delle attività e nel sito di Lecce il ricorso alla cassa integrazione per un giorno a settimana da qui alla fine dell’anno. Insomma, una situazione gestibilissima. Mentre a Jesi la faccenda si fa seria. Nelle Marche vengono prodotti i cosiddetti trattori speciali. Quelli cioè che non sono destinati alle multinazionali dell’agricoltura, ma ai piccoli e medi coltivatori. Che necessitano di un finanziamento per acquistare un nuovo mezzo e che, se i tassi di interesse sono alti, fanno un passo indietro e aspettano momenti più propizi per allargare il parco macchine. A Jesi si realizzano anche i trattori che vengono poi esportati in Germania, Francia e Polonia, tant’è che il sito marchigiano è da anni considerato una sorta di gioiellino. Tre anni fa uscivano da qui oltre 17.000 mezzi agricoli, le attese per quest’anno sono inferiori alle 10.000 unità. Nel giro di qualche mese si è passati dalla cassa integrazione ordinaria ai contratti di solidarietà che riguardano circa l’80% della forza lavoro. Per dieci giorni a settembre l’impianto resterà chiuso e a marzo è stata aperta la procedura di mobilità per 127 dei 915 dipendenti. L’ipotesi di mollare il posto a fronte di importanti incentivi economici ha attirato non poco gli addetti locali, tant’è che tutte le 127 uscite su base volontarie sono andate in porto. En plein, e dire che c’era tempo fino al 30 dicembre 2024. «La speranza», spiega alla Verità il coordinatore nazionale automotive della Fim Cisl Stefano Boschini, «è che questi sforzi possano servire a riportare in pista il sito marchigiano, ma purtroppo le prospettive sono di un continuo peggioramento della situazione sia in questa fase finale del 2024 sia a inizio 2025. La crisi delle vendite di macchine è generalizzata, ma in Italia si sente di più. Negli incontri periodici con l’azienda c’è stato spiegato che oltre alla politica monetaria della Bce e alla congiuntura economica poco favorevole stanno pesando le conseguenze dei due conflitti, in Palestina e in Ucraina. Sta di fatto che al momento, dietro incentivi, circa il 15% della forza lavoro ha lasciato e che nonostante i tagli, a settembre comunque lo stabilimento resterà fermo per una decina di giorni. Le prospettive nel breve periodo sono di un peggioramento e questo nessuno ce l’ha nascosto». A livello globale, Cnh ha chiuso il primo semestre del 2024 con un fatturato di 5,49 miliardi di dollari, in calo del 16% sul 2023, e utili per 438 milioni contro i 710 milioni di 12 mesi prima.Un tracollo. Al quale, secondo i sindacati, si può rispondere in un solo modo: investendo. Anche perché è vero che i trattori Cnh sono italiani, ma è altrettanto vero che la maggior parte è venduta all’estero. E quindi è con quella concorrenza che bisogna fare i conti. A Jesi, infatti, si producono trattori avanzati tecnologicamente, ma poco potenti. Mentre in Europa la tendenza è alla crescita delle dimensioni medie delle aziende agricole. Servirebbero mezzi sempre più grandi e performanti. Un’idea. Sicuramente ne avrà di migliori il nuovo ad Gerrit Marx chiamato a presentare il piano di rilancio. Intanto a Cernobbio anche il ministro Adolfo Urso si focalizza sulla crisi dell’automotive. Prima chiedendo a Bruxelles di anticipare al 2025 (era previsto per il 2026) il processo di revisione dello stop entro il 2035 dei veicoli con motori endotermici e poi spronando Stellantis a fare chiarezza sul progetto della gigafactory di Termoli. È previsto un importante vertice per il 17, ma va detto che le sensazioni di chi è in loco non sono delle migliori.
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