2020-04-04
Aggiungi un posto a tavola: è arrivato Dante
Il suo piatto preferito era l'uovo con il sale, ma ciò non toglie che anche l'Alighieri partecipasse ai gustosi banchetti medievali e sembra che apprezzasse la cacciagione. Morigerato ma fumantino, pure nella «Commedia» non disdegnò di parlar di cibo.A Firenze la chiamano, con un po' di esagerazione, Piazza delle Pallottole. In realtà è poco più di uno slargo che deve il nome alle bocce che gli antichi fiorentini venivano qui a giocare. S'affaccia su Piazza del Duomo, all'altezza del transetto destro di Santa Maria del Fiore. Quando passerà la tempesta del coronavirus e potremo tornare a Firenze, andateci. Vicino ad un usciolo c'è una grossa pietra con su una targhetta: «Il vero sasso di Dante». Narra la leggenda che l'Alighieri - siamo suppergiù nel mezzo del cammin di sua vita -, amasse sedersi su questo sasso a meditare rime cortesi («Guido, io vorrei che tu e Lapo ed io...») e a sognare, castamente, Beatrice. Un giorno era assorto in questi pensieri quando un tale gli s'avvicinò chiedendogli a bruciapelo: «Qual gli è i' mangiare che ti garba di più?». E Dante, a tambur battente: «L'ovo». Un anno dopo il medesimo tale, ripassando davanti al poeta sul sasso, gli chiese ex abrupto: «Con cosa?». «Col sale», rispose a scottadito il Ghibellin non ancora fuggiasco.Che Dante a tavola si accontentasse di poco lo sappiamo dal Boccaccio: «Nel cibo e nel poto fu modestissimo», scrive l'autore del Decameron, «sì in prenderlo all'ore ordinate e sì in non trapassare il segno della necessità». Nel Trattatello in laude di Dante il Certaldese aggiunge che il morigerato poeta non aveva alcun uzzolo gastronomico: mangiava per vivere, non viceversa. Biasimava talmente il peccato di gola che sbatté nell'Inferno un suo conterraneo famoso per l'ingordigia, Ciacco, il cui nome è sinonimo di «porco», e mandò perfino un papa, Martino IV a ripulirsi l'anima in purgatorio perché goloso di anguille del lago di Bolsena: «...ebbe la santa Chiesa in le sue braccia / Dal Torso fu, e purga per digiuno / l'anguille di Bolsena e la Vernaccia».Dante, come gli altri fiorentini, almeno quelli che avevano qualcosa da mettere sul tavolaccio (carestie permettendo), mangiava due volte al giorno, «nell'ore ordinate»: alle 10 il desinare e al tramonto la cena nella quale venivano serviti gli avanzi del pranzo. Solo nobili e ricconi si permettevano anche la merenda. Il sobrio poeta non faceva fatica ad accontentarsi seguendo le prescrizioni della Chiesa, al contrario di molti prelati che predicavano bene, ma razzolavano male: non mangiava al di fuori delle «ore ordinate», non bramava bocconi ghiotti, gli bastava il poco e il semplice per nutrirsi e non esagerava con i condimenti.S'arrabbiò di brutto quella volta che a Verona, alla corte di Cangrande, lo fecero passare per mangione e beone, sia pure per scherzo. Cesare Marchi, giornalista e scrittore, racconta l'episodio nel suo Dante. Un giorno mentre stava a mensa col signore scaligero gli ammucchiarono sotto la tavola, vicino allo sgabello, «tutti gli ossi che i convitati, secondo il galateo dell'epoca, gettavano per terra. Levate le mense apparve ai piedi del poeta il gran mucchio». Finta sorpresa dei commensali e commento ironico di Cangrande: «Non c'è dubbio che Dante è un forte divoratore». Al che il permaloso poeta, scuro in volto, sibilò: «Messere, voi non vedreste tante ossa se Cane io fossi».Potenti o no, Dante non gliele mandava a dire. Un altro episodio, sempre sul filo tra realtà e leggenda, dimostra quanto fosse incazzoso il fiorentino. Invitato a Napoli dal re Roberto d' Angiò, il cui desco si può paragonare a un ristorante di tre stelle d'oggi (è proprio in quel periodo che viene scritto dall'Anonimo Meridionale il Liber de coquina, il più antico ricettario che si conosca), il padre della lingua italiana si presentò a palazzo con un abbigliamento che oggi si direbbe casual, assolutamente inadeguato all'etichetta di corte. Il cerimoniere lo guardò con sufficienza e lo relegò a uno dei capi della lunga tavola, e cioè tra i personaggi di scarsa importanza. Dante non disse nulla, girò i tacchi che le calzature allora non avevano, e se ne andò.Quando Roberto seppe che quel personaggio la cui fama correva per tutta la Penisola era partito in quel modo, corse ai ripari invitandolo una seconda volta. Stavolta Dante si presentò tirato a lustro e fu subito fatto accomodare accanto al re. Racconta Giovanni Sercambi, novelliere lucchese del '500, che quando i servitori portarono in tavola gli arrosti, i pesci e le altre vivande «Dante prendendo la carne et al petto e su per li panni la fregava e così il vino e la broda si versava addosso». Scandalo! Re Roberto gli chiese il perché di tanta «bruttura». L'invitato speciale rispose che avendo egli, il sovrano, fatto onore agli abiti e non alla persona che ci stava dentro, aveva deciso che i panni godessero delle vivande apparecchiate. Roberto D'Angiò - non per nulla fu chiamato il Saggio -, capì l'antifona, sollecitò i servi a cambiargli l'abito e ordinò che lo servissero nuovamente.«Fiorentin mangia fagioli lecca piatti e romaioli», recita un proverbio che non è estensibile al fiorentino Dante. Sottolinea Indro Montanelli in Dante e il suo secolo: «I fagioli che dovevano diventare la specialità della cucina toscana sarebbero giunti dall'America solo trecent'anni dopo, e quindi compiangiamo Dante che non conobbe mai questa delizia. Conobbe però certamente i ceci, le lenticchie, le fave e i lupini. Ma anche lui, come tutti i suoi contemporanei, si alimentò specialmente di carne».Quale? Quella di più largo consumo: di pecora, agnello, maiale, pollo. Ogni famiglia fiorentina, e con tutta probabilità anche quella di Alighiero, il babbo di Dante che non navigava nell'oro, teneva qualche gallina che razzolava in strada. Sulle tavole non mancava neppure la selvaggina che appena fuori dalle mura di Firenze era abbondante e di libera caccia. Montanelli presume che anche il ragazzotto, futuro autore della Divina Commedia, come tutti i suoi coetanei tendesse trappole a lepri, volpi, starne e pernici. Se la cacciagione era d'uso comune, aggiunge il giornalista di Fucecchio, «non lo era invece il pesce, considerato piatto vile e quindi buono soltanto per i giorni di penitenza». Papa Martino IV, vedi sopra, ci ha insegnato che non per tutti era così.Il pane era l'alimento fondamentale. Per questo tutti gli altri cibi venivano chiamati companaticum, da mangiare, cioè, rigorosamente con il pane. I contadini mangiavano pani di cereali vili: orzo, segale, avena (biada), in montagna di farina di castagne. I cittadini si trattavano meglio. Il pane era di grano, sciocco, ma di frumento. Firenze era una delle capitali del pane buono. Non fu certo per ingratitudine che Dante, ospite di Cangrande, pur riverito e servito di pane sapido, lamentò nella cantica del Paradiso «... come sa di sale lo pane altrui». L'esule Alighieri pensava con nostalgia alla bozza che si sfornava nella sua Firenze: senza sale, ma con la crosta profumata di patria, di giovinezza, di poesia.Molte indicazioni su quello che potrebbe aver mangiato Dante ce le fornisce un manoscritto conservato nella Biblioteca Riccardiana di Firenze, considerato il primo manoscritto di cucina in lingua italiana, e pubblicato recentemente dall'Accademia italiana della cucina. S'intitola Modo di cucinare et fare buone vivande. «Risale al 1338», dice Paolo Petroni, presidente dell'Accademia, «e, come tipico dei ricettari dell'epoca, non riporta dosi e tempi di cottura, ma costituisce una fonte preziosa per la conoscenza della cucina medioevale». Tra le varie ricette troviamo la «Torta di latte», il «Burro di grasso di mandorle», «Capponi a cialdello», «Tinche a brodetto». Domanda: Dante avrebbe preferito il «Blasmangiare di pesce», biancomangiare di riso, latte, pinoli, luccio e tinca lessi, o la «Testa di bue rinvestita» con zafferano, cotta «in su la graticola»?Nessuna delle due pietanze: il ricettario, sottolinea Giovanna Lazzi, direttore della Riccardiana, era dedicato alla gaudente compagnia dei Dodici ghiottoni.
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.