
Falsi permessi di lavoro in Romania per i migranti: 16 indagati. Scacco alla Mare Jonio: il giudice conferma lo stop, resta a terra.Quello che sembrava il solito passeur in realtà era un ingranaggio di una organizzazione internazionale dedita alla tratta di esseri umani. Partendo da un carico di 45 migranti che erano riusciti a raggiungere il confine italo-sloveno, nel territorio del comune di Cividale del Friuli, un’inchiesta coordinata dalla Procura di Udine sta svelando l’esistenza di una organizzatissima gang di pakistani e romeni che prima regolarizzavano i clandestini, tramite assunzioni fittizie in aziende cartiere localizzate in Romania e riconducibili agli indagati, poi, ottenuti i visti per motivi di lavoro, li trasferivano a bordo di Tir in Italia e in Austria. Ieri mattina è scattato il blitz. I carabinieri del Ros, il Raggruppamento operativo speciale, in collaborazione con la Brigata di lotta alla criminalità organizzata di Brasov (Romania), hanno eseguito, nelle province di Udine, Brescia e Vicenza, perquisizioni nei confronti di sei indagati per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina. Contemporaneamente è stato notificato un provvedimento cautelare coercitivo ad altri dieci indagati residenti in Romania. Altre due perquisizioni sono state eseguite in Austria. Gli inquirenti l’hanno ribattezzata operazione «Déja vu», perché le azioni della gang si ripetevano sempre con le stesse modalità.Ai vertici del gruppo, stando all’accusa, ci sarebbero tre pakistani che avevano scelto la Romania come base logistica, mentre altri 15 indagati, tra pakistani e romeni, erano incaricati della gestione e del trasporto dei migranti. Ovvero erano i classici passeur. I viaggi, organizzati a tappe, avvenivano in collaborazione con dei fiancheggiatori, legalmente residenti in Italia. Tre di loro, due egiziani, A.W. e G.M., e un pakistano M.R., con permesso di soggiorno italiano per motivi umanitari e di lavoro, sono stati denunciati a piede libero per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tutto è partito con un Tir carico di migranti. I passeggeri hanno subito collaborato con gli investigatori. E si è prima scoperto che per il viaggio si sborsavano consistenti somme di denaro sfruttando circuiti finanziari internazionali di money transfer. Poi, indagando sul sospetto passeur, sono saltati fuori i collegamenti con la rete in Romania. Quando le telefonate del passeur hanno cominciato ad agganciare sempre gli stessi numeri di telefono stranieri la Procura e i carabinieri del Ros hanno coinvolto le agenzie Europol e Eurojust. Durante i tavoli di coordinamento sono emerse quelle che gli inquirenti definiscono «convergenze investigative». In Romania, parallelamente, c’era un’indagine ancora segreta, la «Prince», che la polizia criminale rumena stava approfondendo. Alcuni dei numeri di telefono contattati dall’indagato in Italia sono risultati tra quelli che gli investigatori rumeni stavano monitorando. «La collaborazione tra i due uffici di polizia», hanno spiegato gli inquirenti, «ha quindi consentito di ricostruire gli assetti di un’associazione criminale transnazionale dedita alla tratta di persone e all’immigrazione clandestina». I collegamenti con la Romania non hanno sorpreso chi indagava. Solo un mese fa sei romeni hanno patteggiato pene da 2 anni e 8 mesi per aver fatto entrare in Italia con dei furgoni, stipati in casse di legno, 110 immigrati. E mentre i meccanismi di repressione cercano di porre un freno agli ingressi di clandestini, una sentenza del Tribunale civile di Ragusa ha messo una pietra tombale sulle lagne delle Ong. Il giudice Claudio Mangioni ha stabilito che la nave Mare Jonio di Luca Casarini deve restare ferma (era stata sottoposta a fermo amministrativo dopo lo sbarco a Pozzallo dei 56 migranti soccorsi in acque internazionali lo scorso 4 aprile). La scorsa settimana, comandante e armatore della Mare Jonio di Mediterranea saving humans, assistiti dal pool difensivo (Lucia Gennari, Giulia Crescini e Cristina Cecchini), avevano presentato un ricorso urgente contro l’applicazione della sanzione pecuniaria e del fermo amministrativo inflitto dal governo (che si è costituito nel procedimento tramite l’Avvocatura dello Stato). «Mediterranea, con questa iniziativa», avevano pontificato dalla Ong, «denuncia la falsa ricostruzione dei fatti che è stata proposta da sedicenti autorità libiche e chiede che la Mare Jonio sia al più presto liberata dagli effetti del Decreto Piantedosi». Oltre al ricorso contro il fermo definito «illegittimo», il team legale di Mediterranea ha annunciato anche un esposto penale «contro il governo libico, la cosiddetta Guardia costiera libica e i miliziani che si trovavano a bordo della motovedetta 658 Fezzan, e che hanno aperto il fuoco contro soccorritori e naufraghi nel tentativo di impedire le operazioni di soccorso, condotte in acque internazionali a quasi 100 miglia dalla costa libica».Il giudice di Ragusa nel frattempo ha fatto a pezzi la ricostruzione della Ong: «Non appaiono sussistenti i profili di periculum dedotti dai ricorrenti a sostegno dell’istanza cautelare». Ma ha anche sottolineato che «la Mare Jonio è una motonave di bandiera italiana iscritta nei registri tenuti dalla Capitaneria di porto di Catania, che non è abilitata al servizio di salvataggio, bensì destinata al servizio di rimorchio, di rimozione dalla superficie del mare di oli minerali e di trasporto di carico solido uniformemente distribuito in coperta, in ragione delle caratteristiche strutturali e costruttive». Partita chiusa.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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