2023-08-22
Addio a Toto Cutugno, l’italiano vero snobbato dai critici
Fu un sovversivo suo malgrado: se i suoi brani fossero scritti oggi, sarebbero bollati come populisti. I giornalisti lo stroncavano e poi in privato si complimentavano. Il pubblico invece lo amava, specie nell’Est Europa. Negli ultimi anni aveva riscoperto la preghiera.È morto oggi in una stanza d’ospedale del San Raffaele di Milano Toto Cutugno. Cantante sovversivo, gran tessitore di trame temute in Occidente, paroliere pericoloso, nel 1983 osò dare alle stampe L’Italiano, canzone manifesto di un modo di essere che qualcuno sui social stigmatizzerebbe perché in odor di populismo, celebrazione strapaesana di un’identità geografica che snocciolava vizi e virtù nazionali. Aggiungiamoci che l’artista godeva di un seguito stellare pure in Russia, dove fino al 2019 riempiva gli stadi, e che nel 2013 portò il coro dell’Armata Rossa sul palco di Sanremo, e la frittata è fatta: se fosse nato oggi, ci sarebbero gli estremi per l’ergastolo. Sarà per questo che i critici non l’hanno mai amato troppo. Ma quel gran ribelle inconsapevole di Cutugno è nato il 7 luglio di ottant’anni fa, e, ne siamo certi, nessuno dei suoi fan si permetterà di criticarne l’operato in vita: questo perché l’ugola di Fosdinovo, provincia di Massa, figlio di un sottufficiale di marina siciliano con la passione per la tromba, e di una casalinga, ricorda i lares familiares del pantheon romano. Quelle divinità che entrano in casa in punta di piedi, che sai essere lì da sempre per superstizione o per abitudine, con noncuranza vigilano sul buon andamento del quotidiano e abitano gli specchi davanti ai quali ci si riassetta alla mattina: guardandoli negli occhi, si riconosce qualcosina di ciascuno di noi. Magari fischiettando note rinfrancanti. L’Italiano, ma anche Solo noi, brano vincitore a Sanremo nel 1980, o quel Voglio andare a vivere in campagna, esortazione al ritrovare la parentela con le abitudini dei nostri nonni, abbandonando le città frenetiche agli albori del fighettismo à la page delle metropoli odierne. C’è però un altro aspetto di lui che lo rende originale: Cutugno, 100 milioni di dischi venduti nel mondo, spopolava pure in quei Paesi dove non si spiccica una parola del nostro idioma e dove gli unici collegamenti con la bandiera tricolore sono i sempiterni concetti di pasta e pizza. Insomma, non era global, non era local, era glocal. Valori strapaesani semplici, capacità penetrativa internazionale. Chi scrive ne sa qualcosa: ritrovatosi per caso in una sala di karaoke a Helsinki, capitale della Finlandia - sarà stato il 2014 o giù di lì - fu forzato dagli astanti, in virtù di un’italianità certificata dai documenti, a cantare una canzone con loro. Il brano prescelto, manco a dirlo, fu L’Italiano, ma con una particolarità: ne era stata eseguita una cover in finnico e la canzone recitava: «Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano, sono un finlandese, un finlandese vero...». E pensare che quel brano, composto in principio per Adriano Celentano, dal Molleggiato fu rifiutato: «Non voglio dire di essere italiano perché, insomma, la gente lo sa già», si giustificò Adriano. Toto mise in saccoccia il rifiuto e, convinto dal manager dell’Ariston Gianni Ravera, la cantò lui stesso a Sanremo, piazzandosi quinto. Intuendo forse dopo quanto gli avrebbe elargito fama e fortuna. Nel suo studio, zona est di Milano, passavano in tanti: «Celentano, il più grande di tutti. Per lui ho scritto successi come Soli. Poi Loredana Bertè, Pino Daniele. Lo studio era di Gino Paoli, poi del maestro Pirazzoli, che lavora con Carlo Conti», raccontò un giorno a Maurizio Caverzan, firma della Verità. Scrive brani per Miguel Bosè, Dalida, Johnny Hallyday, Luis Miguel, Fiordaliso. Esordisce tredicenne a un concorso musicale, a venti fonda Toto & i Rockers, poi nel 1965 Toto e i Tati. Collabora con la Carosello Records e comprende a poco a poco la direzione da intraprendere: attingere dalla tradizione cantautorale italiana. Nel 1977 il suo brano Donna donna mia diventa la sigla di Scommettiamo? un programma di Mike Bongiorno e da allora le sue incursioni televisive, anche nelle vesti di co-protagonista, abbondano: Domenica In, Piacere Raiuno, I Fatti vostri. Non tutta la critica lo amava, si diceva prima, c’era chi lo considerava reazionario, un bardo di materiche pulsioni contadine. «Un giornalista molto importante quando mi vedeva, mi abbracciava. Ma appena c’era una telecamera, manteneva le distanze. Un altro mi elogiava in pubblico come musicista, ma stroncava i brani sul suo giornale». Un motivo possibile: «Dicevano che ero ruffiano perché avevo scritto una canzone sulle mamme e sui figli, ma intendevo parlare di mia madre e di mio figlio Niko, appena nato (oggi ventottenne, vive con Carla, moglie del cantante, ndr)». Lui però vanta il record di partecipazioni a Sanremo e non ne faceva mistero: «Ci sono andato quindici volte, la prima nel 1980 dove ho vinto. Pensavo fosse facile. Così sono tornato, ma sono sempre arrivato secondo e la cosa mi fa un po’ incazzare. Però l’anno che sono arrivato secondo dietro ai Pooh, sono finito all’Eurovision al loro posto e l’ho vinto con Insieme. Era il 1990». Già all'epoca il voto popolare contava e lui era un po’ così: il musicista amato dal popolo e non dalle élite, come i suoi amici Pupo, Ricchi e Poveri, Riccardo Fogli, Marcella Bella: «Spopolavamo nell’est Europa. La prima volta cantai in Unione Sovietica nel 1986. Feci 15 serate a Mosca e 15 a San Pietroburgo, 20.000 persone a concerto. La domenica mi esibivo due volte, pomeriggio e sera. I biglietti venivano venduti nelle fabbriche. Piaceva la mia spensieratezza e l’armonia mediterranea. Ma ho suonato pure in Turchia, Afghanistan, Germania, Spagna, Armenia, Dubai. In Francia sono amato». Fu richiamato a suonare nell’est Europa e un senatore ucraino, nei giorni dell’elezione a presidente di Volodymir Zelensky, lo denunciò come filo-russo. «Denunciò me e il mio amico Al Bano», ricorda Cutugno. Ma pure a Kiev i fan non mancavano. Nel suo carniere c’è la rockstar internazionale Iggy Pop che inserisce in un suo album del 2012 la cover di Après, brano di Et si tu n’existais pas scritto proprio dal Toto nazionale. Negli ultimi anni aveva diradato le apparizioni, complice la scoperta di un tumore alla prostata destinato a fargli da avversario fino alla fine. «Ho riscoperto nell’ultimo periodo il valore della preghiera. Quando si è piccoli si chiede aiuto alla mamma, quando si cresce ci si rivolge a Dio. Non sono un tipo da andare in chiesa, ma prego con le mie parole nella mia stanza. Non conosco bene le preghiere, per esempio nel Padre Nostro mi fermo a “che sei nei cieli...”, poi non me la ricordo». Ma chissà, magari il Padreterno le note de L'Italiano se le ricorda bene.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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