2022-04-20
Ad Aspi 1 miliardo di rimborsi Covid. Alle piccole imprese solo 150.000 euro
Il tetto imposto a tutte le aziende non vale per i concessionari, che portano a casa il 100% dei mancati incassi per i lockdown.Si fa prima a chiamarli benefattori della patria, i Benetton. Mentre lo Stato e i fondi stranieri che hanno rilevato Autostrade si apprestano a staccare un assegno da 8 miliardi con cui la famiglia di Ponzano Veneto si ricomprerà tutta Atlantia, si scopre che il gestore autostradale incassa la bellezza di 1 miliardo di euro dai famosi rimborsi Covid, con tanti saluti alle migliaia di imprese e di esercizi commerciali che non hanno ricevuto nulla per i lockdown e che in molti casi hanno chiuso i battenti. Non solo, ma anche grazie ai quei milioni, lo scorso autunno Autostrade ha rimborsato integralmente un bond da 480 milioni. «Piccolo è bello», dicevano una volta economisti e sociologi che cantavano il «modello Italia» delle Pmi e dei distretti industriali a produzione diffusa. Quarant’anni dopo, la storia dei Benetton dimostra che è molto più conveniente vendere le aziende che devono stare sul mercato (innovando e gareggiando con i concorrenti) e mettersi al casello a incassare pedaggi, avendo ovviamente cura solo di tenere buone e proficue relazioni con i partiti che contano. Ma se in Italia un concessionario autostradale non perde un euro neppure se gli crolla un ponte con 43 morti, va detto che non tutti, al posto dei Benetton, avrebbero avuto la medesima resilienza. Resilienza, del resto, ormai è una parola malata e si applica benissimo anche al titolo Atlantia, che in questi giorni è tornato a sfiorare i 24 euro, ovvero i livelli precedenti il crollo del ponte Morandi. La holding che controlla Autostrade, a sua volta controllata al 33% da Edizione dei Benetton, ha macinato tre governi, ha tenuto duro sul bluff della revoca delle concessioni sparato dall’ex premier Giuseppe Conte, sta cedendo 12 miliardi di debiti alla cordata Cdp, Macquarie e Blackstone e incassa pure 8 miliardi in contanti. Nel frattempo, Aspi è rimasta al casello e quindi ha beneficiato dei rimborsi Covid. E ne ha beneficiato parecchio. Gli indennizzi erano tra il 10 e il 20% del minor fatturato e non potevano superare per legge i 150.000 euro, oltre a escludere dalla platea degli aventi diritto le aziende che non hanno subito un calo dei ricavi superiori al 33%. Ma il 20 maggio 2020, ovvero nove giorni dopo il decreto Rilancio e i suoi esigui ristori, i concessionari autostradali ottenevano un incontro online con Felice Morisco, direttore generale per la Vigilanza sulle concessioni autostradali che fin dal 1997 si occupa di loro, in barba a ogni più elementare criterio di rotazione prudenziale. Il meeting deve essere andato proprio bene, visto che Morisco invita tutti i concessionari a riformulare i loro piani finanziari «in relazione all’evoluzione dell’emergenza sanitaria». Si tratta delle previsioni di traffico, dei lavori di manutenzione e di ritocchi tariffari, naturalmente. E qui, senza bisogno di alcuna legge, al ministero delle Infrastrutture, retto all’epoca dalla Paola De Micheli (Pd), partono gli sconti. La prima «manovra correttiva» è quella di Aspi, che chiede e ottiene 542 milioni di euro per i quattro mesi da marzo-giugno 2020, che sarebbero la differenza con il fatturato del medesimo periodo dell’anno precedente. Se si fossero applicati i criteri che valevano per le altre aziende, comprese le ditte di autotrasporto, Aspi non avrebbe dovuto incassare più del tetto di 150.000 euro, ma poi forse neppure un centesimo, avendo registrato nel 2020 un calo di fatturato del 26% sul 2019, quindi sette punti sotto il minimo richiesto. Se invece si fosse applicata ad Autostrade almeno la regola del 20% come limite massimo del ristoro, avrebbe dovuto ricevere non più di 163 milioni (su 542), cioè il 20% del calo che è stato, per l’intero 2020, di 816 milioni. Massimo Ruspandini, senatore di Fratelli d’Italia che si è studiato tutte le carte ministeriali e i conti di Aspi, aggiunge che «basta leggere i bilanci ufficiali di Autostrade per vedere che si arriverà al miliardo, visto che nell’intero 2020 gli incassi netti sono stati inferiori a quelli del 2019 di 816 milioni e nel 2021 la differenza è stata di altri 231 milioni (pari al 7,6%)». Il totale fa un miliardo e 44 milioni. Al ministero delle Infrastrutture, tra l’altro, hanno anche dimenticato che dal 2008 al 2019 Autostrade ha incassato ben più di quanto programmato nei piani finanziari (oltre 400 milioni nel biennio 2018-2019). La morale la riassume ancora Ruspandini: «Se quando i concessionari incassano di meno vanno rimborsati, allora dovrebbero regalare allo Stato i miliardi incassati in più nei 12 anni precedenti, o almeno abbassare i pedaggi. Ovviamente questo non avviene e i documenti già dicono che lo stesso meccanismo verrà applicato agli altri concessionari autostradali». A cominciare dalle famiglie Gavio e Toto. Nella relazione finanziaria sui primi nove mesi del 2021, chiusi con un bell’utile di 498 milioni di euro (contro i 292 milioni di rosso di un anno prima), in due righe Autostrade comunica che «in data 4 novembre 2021 la società ha provveduto a rimborsare 480 milioni di euro di debito estinguendo un prestito obbligazionario». È cosa buona e giusta saldare i debiti in anticipo, specie quando si prendono così tanti ristori.
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