2020-09-20
Acciaio di Piombino. I soldi di Invitalia vanno in soccorso della Regione rossa
Nuovo piano industriale alla vigilia delle regionali in Toscana: su 84 milioni, 30 arrivano dall'ente guidato da Domenico Arcuri.A maggio del 2018 le acciaierie di Piombino passano di mano. Dagli algerini di Cevital agli indiani di Jindal. Prima erano state dei russi di Severstal, di Lucchini, e prima ancora di Fiat e Finsider. A ogni step e a ogni proprietario la situazione peggiora. Certo, in parallelo alla crisi dell'acciaio occidentale. Eppure, a Piombino e in tutta la zona due anni e mezzo fa si festeggia. D'altronde la politica locale (governatore è l'uscente Enrico Rossi) ha preparato il terreno per l'arrivo degli indiani, quale migliore prospettiva di rilancio? Anche a Roma ci si dedica alla pratica. Il Pd è favorevole e a consigliare Jindal c'è pure il renziano Marco Carrai, che da un pugno di settimane è vice presidente esecutivo della controllata italiana, dopo esserne stato consigliere per un paio di anni. Il rilancio tanto atteso non si è visto. A maggio del 2018 le acciaierie hanno ricevuto 13 milioni di finanziamenti pubblici e quasi 30 di finanziamenti regionale. La produzione non è però salita, e i circa 2.000 dipendenti sono quasi tutti in cassa integrazione. L'arrivo del Covid ha solo cristallizzato una situazione già al limite. Le barre di acciaio per le strade ferrate per cui Piombino è famosa in tutto il mondo escono dallo stabilimento un po' a singhiozzo, ma nessun politico locale e tanto meno il governo vuole affrontare una nuova Ilva. Sebbene Piombino sia molto più piccola, il rischio è quello di infilare la strada a vicolo cieco di Taranto. Così, guarda caso, a soli tre giorni dalle elezioni regionali, nella quali la candidata leghista Susanna Ceccardi spera concretamente di mettere in crisi l'avversario del Pd, Eugenio Giani, a mettere un po' di ossigeno nella terapia intensiva dell'acciaio compare Invitalia. La presentazione del nuovo piano industriale parla di 84 milioni, di cui 30 saranno messi dall'azienda guidata da Domenico Arcuri. Il piano si dividerebbe in due fasi: la prima, a breve termine, punta a efficientare gli impianti di laminazione, completare la gamma prodotti e far tornare l'azienda a una redditività soddisfacente.La seconda fase, a medio termine, ha come obiettivo nel prossimo quinquennio il ritorno alla produzione dell'acciaio attraverso l'utilizzo del forno elettrico e alla costruzione di un complesso industriale multicentrico che preveda anche attività di logistica e manufacturing. Del piano di soli due anni e mezzo fa non c'è traccia. Tanto che viene da pensare che l'unica cosa sicura al momento siano i 30 milioni pubblici. A celebrare la nuova primavera di Piombino non poteva che essere Alessia Morani, sottosegretario al Mise e renziana di ferro. «Credo», ha detto la Morani, «che la politica debba essere fatta così: per impegni e risultati concreti. Il 24 ci sarà la riunione al Mise per l'aggiornamento dell'addendum che segue necessariamente l'approvazione del piano industriale. Con Jindal, tutti i partner istituzionali e grazie anche all'aiuto del sindacato speriamo nel più breve tempo possibile di garantire un futuro a questo stabilimento che è il cuore della città». Vista invece con l'occhio della storia - anche quella recente -la mossa sa tanto di stampella elettorale al Pd che non può assolutamente permettersi di perdere la Regione. D'altronde i dem non possono certo contare sul sostegno dei 5 stelle, e dunque quale scelta migliore se non quella della marchetta pre elettorale? La domanda è retorica. Della stessa opinione è il capogruppo della Lega in Provincia a Livorno, Lorenzo Gasperini, che ieri ha diffuso un comunicato di fuoco. «Oggi si utilizzano 30 milioni di euro di risorse pubbliche per garantire chi per ora non ha fatto niente per il territorio e ha, secondo Forbes, una patrimonialità», ha scritto Gasperini, «che tocca vertici di livello mondiale, mentre le Pmi italiane, anche quelle della Val di Cornia, si fanno prendere a schiaffi per avere 25.000 euro di prestito in banca». Purtroppo, questo non è il solo aiuto giunto improvviso a sostenere Piombino. Quando nel maggio del 2018 lo stabilimento passa di mano e finisce appunto agli amici di Carrai della Jindal South West, il governo tira una linea sulla maxi causa che l'amministrazione straordinaria aveva intentato a dicembre del 2017 agli algerini. La somma totale per i danni e per gli inadempimenti arrivava a 80 milioni di euro e a luglio del 2018 il tribunale di Livorno avrebbe dovuto incasellare la prima udienza. Cosa mai avvenuta. Nel bilancio della società ancora oggi si può leggere nero su bianco che la causa è stata estinta ancor prima di arrivare in aula. A fronte di un accordo tombale comprensivo di soli 500.000 euro. Un enorme regalo sia agli algerini, sia agli indiani e al consiglio di amministrazione dove adesso siede Carrai. Ci sarebbe forse da accendere un faro. L'imprenditore bresciano Diego Penocchio che conosce bene Jindal e da tempo si sobbarca un contenzioso si è rivolto alla Procura di Firenze prima del lockdown chiedendo di essere sentito e anticipando la disponibilità a depositare carte contro l'amministrazione di Jws. Dalla Procura al momento nessuna risposta. Magari ci vuole altro tempo. Penocchio si è rivolto anche al Mise per chiedere udienza. Anche lì nulla. Ma tanto adesso c'è il nuovo piano pubblico a risolvere tutto. Perché pensare al passato?
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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