2022-08-07
Accanimento Covid: a scuola con l’etichetta respiratoria
Roberto Speranza, Patrizio Bianchi, Iss e Regioni hanno emanato le direttive per gli alunni: resta l’incertezza su mascherine e dad, agganciati a parametri indefiniti e quindi arbitrari. In compenso spunta il galateo per tosse e starnuti.Come torneranno a scuola i nostri figli a settembre? Mistero. L’Istituto superiore di sanità, il ministero della Salute e quello dell’Istruzione, con l’imprescindibile contributo della Conferenza delle Regioni, hanno licenziato le tanto attese indicazioni per il rientro in classe, che si contraddistinguono per massima genericità e minima evidenza scientifica. Il documento, accolto sui social da una sequela di proteste da parte dei genitori, è un capolavoro di cerchiobottismo che accontenta chiunque dovesse vincere le elezioni del 25 settembre: una supercazzola - direbbero i volgari detrattori - che strizza l’occhio, a seconda del contesto, a ultra vax, free vax e no vax, ai timorati che girano in macchina da soli con la mascherina ma anche a chi la mascherina la cambiava una volta a settimana, neanche fosse uno straccetto Swiffer.Il testo si chiama pomposamente «Indicazioni strategiche ad interim per preparedness e readiness (sic) ai fini di mitigazione delle infezioni da Sars Cov-2 in ambito scolastico (a.s. 2022-2023)». Strategiche - ossia concepite con una prospettiva a lungo termine - o ad interim? Delle due, l’una. E quel «preparedness e readiness», oltre a voler trasmettere un’operatività smart di cui non si rileva traccia negli ultimi due anni, cosa sta a significare, se poi le indicazioni (che per pudore non sono state chiamate «linee guida») sono comunque «ad interim»? L’introduzione del documento parte, per il terzo anno consecutivo, da una serie di assunti ampiamente smentiti dalle evidenze scientifiche mondiali: «Nel corso del 2022 - recita l’inizio del testo - a fronte dell’elevata copertura vaccinale raggiunta sia in termini di ciclo di base che di dosi booster, l’impatto sulle strutture sanitarie dei soggetti con Covid-19 si è mantenuto limitato nonostante la circolazione di una variante altamente trasmissibile come Omicron e relativi sottolignaggi». Dunque, se da febbraio a oggi gli ospedali non hanno registrato uno spropositato overcrowding rispetto ai consueti sovraffollamenti invernali degli anni pre-Covid, non è avvenuto per merito di Omicron, variante benigna e ancora meno letale di quelle precedenti, ma per merito del vaccino. Anzi, della campagna vaccinale (quindi del governo), imposta in massa anche a chi di Covid non muore, ma il Covid lo ha comunque contratto, anche con due o tre dosi di vaccino: bambini e adolescenti, appunto. Poco importa che tra gli studenti il booster, o terza dose, se la siano fatta in pochi: l’importante è decretare che sia stato tutto realizzato a regola d’arte, come infatti testimoniano le graduatorie per Paese dei morti (da/con) Covid per milione di abitanti, che vedono il nostro paese svettare in cima alle classifiche mondiali. Secondo assunto totalmente sconfessato dalle evidenze scientifiche: «La scuola rappresenta uno dei setting in cui la circolazione di un virus a caratteristiche pandemiche richiede particolare attenzione, a causa dell’elevata possibilità di trasmissione». Il ministero della Salute ha ricevuto tutti i dati sulla trasmissione del virus nelle scuole: le numerose associazioni diffuse sul territorio, a cominciare dalla Rete Nazionale Scuola in Presenza, hanno recapitato a Lungotevere Ripa e alle altre istituzioni le evidenze scientifiche internazionali più rilevanti, che stabiliscono che gli studenti contagiano e si contagiano significativamente meno degli adulti. È sempre stato chiaro, fin dal primo anno pandemico, che la scuola non è il primo setting di contagio e, anzi, si colloca sicuramente dopo la casa (dove sono stati rinchiusi i cittadini), gli ospedali e le Rsa (in cui sono stati segregati i nostri cari, senza che si potesse visitarli e prendersene cura), negozi e uffici. Ma il Burioni-pensiero, secondo il quale i bambini e gli adolescenti sono, di default, «maligni amplificatori di virus», imperversa nelle istituzioni. Sulle evidenze, sui danni pedagogici determinati dalla inutile medicalizzazione della scuola italiana, sul diritto sanitario che per il terzo anno consecutivo prevale su quello educativo, il documento non proferisce verbo.Le 11 pagine esplicative si articolano seguendo due possibili scenari. La tabella 1 si applicherà se la situazione rimarrà relativamente tranquilla, ma non è dato sapere a chi spetterà stabilirlo e con quale criterio saranno fissati i parametri epidemiologici/ospedalieri che la determineranno. In questo caso, gli studenti andranno a scuola senza mascherina obbligatoria, mentre docenti e studenti «a rischio» (stabilito da chi?) - assieme a quelli con sintomi respiratori di lieve entità ed in buone condizioni generali che non presentano febbre - possono accedere a scuola purché con mascherine chirurgiche/FFP2 «fino a risoluzione dei sintomi». Viceversa, gli studenti positivi e con sintomi acuti e/o febbre restano a casa. Anche in situazione epidemiologica non preoccupante, la quarantena sembrerebbe sparita ma l’isolamento no; il tampone di uscita resta. Fa la sua apparizione, nel documento programmatico, la richiesta di «etichetta respiratoria»; l’Istituto superiore di sanità si premura di precisare che con «corretta etichetta respiratoria» si intendono «specifici comportamenti da mettere in atto per tenere sotto controllo il rischio di trasmissione di microrganismi da persona a persona»: una sorta di galateo del moccolo.Le condizioni previste nella tabella 2, invece, si applicheranno se la situazione epidemiologica peggiorasse o se dovesse aumentare la pressione sugli ospedali (vai a sapere se «per» o «con» Covid). In questo caso, che verosimilmente sarà valutato dalla politica più che dall’evidenza scientifica (come è sempre avvenuto in questi ultimi anni) lo scenario sarà più o meno quello degli ultimi anni: distanziamento, mascherina Ffp2 anche in posizione statica al banco, isolamento, tampone per il rientro in classe, turnazione nelle mense, merenda in aula, ecc. Come se tre anni fossero passati invano: la scienza demanda alla politica, che scarica la responsabilità sui singoli.A nulla è valso, infine, il richiamo dei Garanti dell’Infanzia di diverse regioni italiane, che a giugno - in vista della ripresa scolastica - hanno lamentato l’istituzione di restrizioni soltanto nei confronti dei ragazzi che, come dimostrano le metanalisi pubblicate recentemente, contagiano e si contagiano molto meno: le indicazioni ministeriali insistono con l’omologazione delle misure scolastiche rispetto agli altri setting di contagio e si preoccupano di sottolineare che «la scuola si inserisce nel contesto della comunità, per cui le misure, per essere efficaci, devono essere preferibilmente omogenee con quelle previste in ambito comunitario». La scuola, insomma, pur essendo uno degli ultimi setting di contagio, continua ad essere trattata come gli altri ambiti di comunità. O, in alternativa, peggio.Il triste primato che l’Italia si è aggiudicata chiudendo le scuole più di tutti gli altri Paesi europei e imponendo le mascherine a scuola fino a giugno 2022 non è servito, dunque, a smontare i protocolli vessatori degli anni precedenti. L’inadeguatezza delle strutture e della medicina territoriale nel nostro Paese risalgono a prima del Covid, ma per le istituzioni potrà, ancora una volta, essere rovesciata sulla scuola, e come sempre la responsabilità sarà delegata ai decisori locali, ai presidenti di Regione, ai sindaci, ai presidi e perfino ai singoli insegnanti. È nelle loro mani che la stabilità psicologica di 8 milioni di studenti sarà affidata, per il terzo anno consecutivo.
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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