2024-04-22
Valerio Cutonilli: «Acca Larenzia, la Mira ha perso un’occasione per la troppa faziosità»
Il luogo della strage di Acca Larenzia. Nel riquadro, Valerio Curtonilli (Ansa)
L’autore dell’inchiesta sulla strage: «Giusto parlare dell’accusato che si suicidò in cella. Ma perché mettere vittima contro vittima?»Sta facendo molto discutere il libro Dalla stessa parte mi troverai di Valentina Mira, tentativo romanzesco di fare del «revisionismo» sull’eccidio di Acca Larenzia e di riscoprire la figura di Mario Scrocca, militante di sinistra morto in carcere dopo essere stato falsamente accusato di aver partecipato all’agguato. Il testo è in lizza per il Premio Strega. Ne abbiamo parlato con Valerio Cutonilli, avvocato e autore della più completa monografia sulla strage del 1978: Chi sparò ad Acca Larenzia? (Settimo Sigillo).Partiamo dal suo libro, Chi sparò ad Acca Larenzia?. Un volume che ha avuto varie «vite», o sbaglio?«Proprio così. Tutto inizia nel 2010, con la casa editrice Trecento di cui io e il mio amico e collega Luca Valentinotti eravamo soci. Dato che non c’era una monografia sull’argomento, all’epoca, decidemmo di farla noi. Chiedemmo al presidente del tribunale di Roma di accedere ai fascicoli su quella vecchia istruttoria, anche per fare giustizia di tante imprecisioni che circolavano sul tema. Nel 2018 c’è stata una seconda edizione con un titolo cambiato e sulla scorta di nuove ricerche, nate anche dall’amicizia stretta nel frattempo con il giudice Rosario Priore. L’ultima tappa è stata questa terza edizione, ancora aggiornata, che è uscita lo scorso Natale e ha la finalità di finanziare una borsa di studio in ricordo dei ragazzi uccisi ad Acca Larenzia».Nel titolo c’è una domanda: chi sparò ad Acca Larenzia? Si è dato una risposta?«Sì, dopo aver esaminato alcune migliaia di atti giudiziari ritengo che avesse ragione l’ex brigatista rosso Antonio Savasta quando affrontò la questione durante una seduta della prima commissione Moro nel 1982. Parliamo quindi del periodo precedente alla detenzione nel carcere di Paliano. Fu una squadra armata riconducibile all’area dei comitati comunisti». Quante copie ha venduto, più o meno?«Difficile dirlo, ma nel complesso il libro ha sicuramente superato di molto le 6.000 copie. Consideriamo che la prima casa editrice era molto piccola e la seconda edizione fu addirittura autoprodotta...».Meglio di molti libri in lizza per lo Strega, dunque. A proposito: il libro di Valentina Mira lo ha letto?«Certamente. E lo considero una grande occasione persa. Io credo che la vicenda di Mario Scrocca di cui parla Mira, a tratti in modo coinvolgente, meritasse in effetti di essere raccontata. Quello che penalizza il lavoro, a mio parere, è la faziosità. Raccontare il dramma di Scrocca senza contrapporlo alle vittime di Acca Larenzia avrebbe dato uno spessore e un interesse diverso al libro. Dire che se ammazzano Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta è una cosa che “succede”, se invece un mese dopo ammazzano il ragazzo di sinistra Roberto Scialabba allora gli assassini sono “infami”, significa avere una visione della storia faziosa, oltre che superficiale». In che senso superficiale?«L’indignazione a intermittenza è tipica di chi si confronta con questi argomenti in modo virtuale. Non è un caso se Mira non chiama mai per nome le vittime di Acca Larenzia, mentre, nel suo libro, lo fa Tiziano, il figlio di Scrocca». C’è un altro elemento che emerge in Dalla stessa parte mi troverai: l’idea che qualsiasi missino, anche molto giovane, fosse automaticamente criminale. Senza voler sminuire le opacità di quella stagione, non sembra proprio il profilo delle vittime di Acca Larenzia. «Leggendo il libro sembra che i fascisti siano tutti stupratori e si eccitino solo nella violenza. E invece proprio nelle storie personali dei ragazzi uccisi ad Acca Larenzia emerge una realtà diversa, a volerla raccontare. Ciavatta era un ragazzo di 18 anni, molto sveglio ma sentimentalmente piuttosto ingenuo. Quel pomeriggio lui e un amico dovevano uscire con due ragazze, ma Ciavatta arrivò tardi e venne preso in giro perché sembrava troppo in apprensione per quell’incontro a quattro. Forse il ritardo fatale fu dovuto proprio a quell’apprensione. Recchioni aveva appena scritto una poesia d’amore a una ragazza. Erano giovani alle prime esperienze sentimentali, vissute in modo molto ingenuo, altro che stupratori».Lei ha detto che la vicenda di Mario Scrocca meritava comunque di essere raccontata. Perché?«Sin dal 2010 ho scritto che si trattava di un caso di malagiustizia, uno dei tanti purtroppo di quegli anni. Scrocca era stato un militante dell’estrema sinistra, ma con la strage del 7 gennaio 1978 non c’entrava nulla».Perché fu arrestato?«Nel 1984 viene arrestata una ragazza accusata di essere stata una fiancheggiatrice delle Br. Si pente subito. Sull’eccidio di via Acca Larenzia riferisce tre diverse circostanze, due di scarsa rilevanza e una invece molto importante. Le prime due (si tratta di racconti de relato o riferimenti alla sigla usa e getta impiegata per rivendicare l’eccidio, memorie risalenti a quando la giovane aveva solo 14 anni) collegano un certo Mario in qualche modo all’eccidio. Due riferimenti vaghissimi e non certo sufficienti per giustificare una misura restrittiva».E il terzo elemento, quello importante?«Si tratta proprio di quello che non riguarda Scrocca. La ragazza racconta di aver partecipato nel 1982 a un addestramento curato da alcuni brigatisti nelle grotte della Caffarella in cui spuntò la pistola mitragliatrice Skorpion, che aveva sparato in via Acca Larenzia. Il brigatista che in quel momento era in possesso dell’arma, peraltro, nel 1978 abitava esattamente sopra la sezione missina colpita... Ma la pista della Skorpion non trova la debita considerazione».Quindi i pettegolezzi su questo «Mario» vengono ritenuti sufficienti per sbattere in cella Scrocca, mentre il dettaglio della mitraglietta, che è il vero legame con Acca Larentia, cade nel vuoto?«Esatto».Le confessioni della fiancheggiatrice brigatista però sono del 1984. Perché Scrocca viene arrestato solo nel 1987?«In un certo senso fu colpa della Skorpion. L’arma apparteneva al cantante Jimmy Fontana, che disse di averla venduta a un funzionario di polizia, che allora dirigeva il commissariato del Tuscolano. Il commissario negò. Non si è mai capito come poi sia finita ai terroristi. La vicenda rappresentò una grossa fonte di imbarazzo per la polizia romana. Quando, però, nel 1985, la stessa arma uccide l’economista Ezio Tarantelli e nel 1986 l’ex sindaco di Firenze Lando Conti, l’imbarazzo viene superato. Si riapre il vecchio fascicolo e si uniscono (in modo fallace) i puntini che portano ad accusare Scrocca di aver partecipato alla strage di Acca Larenzia. L’uomo viene arrestato e poche ore dopo si suicida in cella».La Mira allude a una presunta versione alternativa sulla sua morte. «Va evidenziato che non ci fu nessuna campagna di destra contro Scrocca. Nessuno sapeva chi fosse. Lui viene arrestato il 30 aprile, il primo maggio si uccide, il 2 maggio non escono i giornali, quindi i media parlano di lui solo il 3 maggio. Farsi domande sul suo suicidio è sacrosanto. Sul punto Mira pone questioni che meritano senza dubbio approfondimenti. Ma che nell’arco temporale suddetto possano averlo ucciso i fascisti, facendo poi passare la cosa per suicidio, godendo evidentemente di coperture altolocate all’interno del carcere, appare improbabile. Onestà impone di precisare che neppure la sinistra radicale lanciò accuse del genere. Lo ricordo bene perché nel 1987 ero studente in una roccaforte rossa, il liceo Tasso di Roma».Tutte queste cose le ha scritte nel suo libro? «Certo, sin dal 2010. Ho spiegato perché Scrocca non c’entrava nulla con l’eccidio di via Acca Larenzia. Ecco perché ritengo che sia disonesto creare il mito della congiura del silenzio su questo fatto». Per chiudere: Acca Larenzia oggi vuol dire Presente, il rito che ogni anno ricorda i giovani uccisi, anche con i saluti romani. Cosa pensa delle polemiche che accompagnano la ricorrenza?«Da libertario credente e praticante ritengo le polemiche una manifestazione d’incoerenza tipica dei nostri tempi grigi. Se le proteste derivano da un senso della legalità così spiccato da indignarsi per quello che nel peggiore dei casi sarebbe un reato d’opinione (la Cassazione lo ha escluso), non dovrebbe indignare molto di più che gli assassini del 7 gennaio 1978 girino liberi e non si siano fatti un giorno di carcere? Se fai il legalitario con il saluto romano ma non con l’omicidio plurimo non sei credibile. Poi ci sono altri elementi».Tipo?«Uno riguarda la banalità della polemica politica. Si fa casino sul Presente perché al governo c’è Giorgia Meloni e la si vuole mettere in difficoltà. Un altro è più sottile: in un’epoca di liquefazione ideologica ed esistenziale, il fatto di vedere qualcuno che mostra in modo plastico di appartenere a qualche cosa dà fastidio. Viva la libertà d’opinione».
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