2021-06-07
Quando ho capito che l’aborto è un orrore
Ero favorevole all'interruzione di gravidanza, tifavo per Emma Bonino. Poi, proprio come è successo alla protagonista del film «Unplanned», ho avuto modo di assistere a un intervento e sono rimasta sconvolta. Ora vorrei dire alle donne: «Non fatelo».Unplanned, il toccante film uscito nel 2019 per la regia di Cary Solomon e Chuck Konzelman che sta per uscire nelle sale italiane grazie alla Dominus Production, narra la storia vera di Abby Johnson, direttrice di una delle più importanti cliniche per gli aborti in Texas, divenuta attivista per la difesa della vita dopo aver assistito per la prima volta a un aborto eco-guidato. Arruolata come volontaria ai tempi del college, Abby si prodiga nell'associazione a cui lei stessa, all'insaputa dei genitori contrari, era ricorsa in due occasioni per interrompere la gravidanza. Particolarmente traumatico e doloroso il secondo aborto, quello farmacologico: la pillola abortiva le viene consegnata dicendole che «libererà gentilmente il suo utero».Le scene successive ci mostrano Abby a casa, sola, in preda a dolori lancinanti mentre sanguina ed espelle coaguli. La procedura richiederà giorni e le conseguenze si protrarranno per mesi. Eppure quando qualcuno anche in Italia ha osato avvertire le donne, quando è stata scritta la verità su un cartellone paragonando la pillola abortiva a un veleno, le associazioni che fingono di amare le donne sono insorte. Nessuno aveva avvertito Abby, come nessuno avverte mai le donne che prendono questa strada. Una mia paziente aveva seguito questa procedura: mi ha descritto quelle interminabili ore, raggrumate in interminabili giorni seguiti da interminabili anni di rimpianti, ma chi si azzarda a parlarne alle donne viene accusato di mancare loro di rispetto. La spassionata impressione è che delle donne e del dolore delle donne non importi un accidente a nessuno: quello cui bisogna portare rispetto è alla loro volontà di abortire. Tutte le loro altre volontà sono spazzatura.Convinta che lo scopo principale dell'associazione sia quello di prevenire le gravidanze indesiderate e quindi ridurre il numero degli aborti, la protagonista si spende al suo interno. Il suo coinvolgimento e la dedizione alla causa la porteranno, dopo la laurea, a una rapida ascesa fino a ricoprire il ruolo di direttrice della clinica che fa capo all'organizzazione per la pianificazione familiare più potente d'America, la Planned Parenthood, il più straordinario abortificio. Abby arriva alla nomina di «dipendente dell'anno 2008». Una mattina cambierà la sua vita: a causa della carenza di personale, la protagonista, per la prima volta, viene chiamata ad assistere un medico che pratica le interruzioni di gravidanza monitorando l'intervento con l'ecografo. Abby appoggia la sonda sul ventre della donna alla tredicesima settimana di gestazione e vede il feto. Quando il medico avvicina l'estremità dell'aspiratore, il feto si sposta, cerca di sottrarsi. Le parole del clinico fanno capire che è sempre così… L'aspiratore viene messo in funzione e il piccolo corpo finisce smembrato mentre i tubi dell'aspiratore si riempiono di sangue, perché l'aborto è questo. Questa è anche la mia storia. Certo, anch'io ero così favorevole! Era così giusto. Un diritto che nessuna donna si tenesse nella pancia un figlio che non voleva. Anch'io tifavo per Emma Bonino. E tutte le donne morte in conseguenza dell'aborto? Bizzarro che in anni di pronto soccorso non ne avessi mai incontrata nemmeno una. Se i numeri del Partito radicale fossero stati reali, avremmo dovuto vederne in media almeno una al mese e tre complicazioni. Invece nulla.Che quei numeri fossero orrendamente gonfiati? Ma no. Era un caso. Noi non ne avevamo mai vista una per puro caso. Quando l'aborto fu legalizzato, a me era sembrata una straordinaria vittoria. Poi finalmente è arrivato il 1986: sono partita a fare il medico in Etiopia, e in quei Paesi bisogna essere capaci di fare un po' di tutto, quindi prima di partire ho chiesto ai colleghi della ginecologia di frequentare per qualche ora il loro reparto. Ho assistito a un paio di parti, aiutato un paio di cesarei (un'emozione indescrivibile), fortunatamente la manualità è la stessa delle chirurgia, e quindi il passaggio da una specialità all'altra è facile. Dato che un medico deve saper fare anche i raschiamenti, indispensabili in caso di aborto spontaneo e necessità di revisione della cavità uterina, ho assistito anche alle Ivg, interruzioni volontarie di gravidanza, e ne ho fatta una. Bene, è tutto qui. Aborto è una parola. Un ammasso di sillabe. Diritto. Autodeterminazione. Sono tutte sillabe: avete capito che cosa finisce nel bidone delle garze sporche? O a pezzi nel bidone dell'aspiratore? Quello che la signora Bonino aspirava con la sua pompa di bicicletta era una creatura viva con un cuore che batteva, che viene smembrata e aspirata a pezzi. Quello che io ho buttato nel bidone delle garze sporche era un bimbo con gambe e braccia, e una testa e un cuoricino che avrebbe continuato a battere, se io non lo avessi fermato.Forse è giusto che una donna decida del suo corpo, ma deve essere ancora più sacrosanto che la società le chieda di non farlo. Questa sola frase «Signora, ci ha pensato bene? Questo è il suo bambino!» mi ha permesso di fermare decine di donne. Tutte mi hanno ringraziato. Il maledetto consenso informato che si firma per abortire non contiene la verità. Non c'è scritto: «Lei potrebbe rimpiangerlo». E quando lo rimpiangerà sarà troppo tardi, questo era il suo bambino unico e irripetibile e invece di proteggerlo lei lo ha ucciso. Il consenso informato non dice nulla della depressione post aborto e dell'aumentato rischio di sterilità. L'aborto è sotto censura. Perché siamo bersagliati dalle immagini degli animali scuoiati per le pellicce o della macellazione, ed è sotto censura l'immagine del feto ucciso, con le sue manine chiuse a pugnetto, e il suo cuoricino che stupidamente batte perché il piccolo idiota non ha capito che è spazzatura, che il suo ruolo è di riempire il bidone della spazzatura con le garze sporche? È stato abortito per un sospetto di un difetto esofageo (che non c'era) un feto nato vivo, di quasi 6 mesi, e ha impiegato 10 ore a morire di disidratazione, una morte atroce. L'aborto è un suicidio differito: una donna che si ama il suo bambino lo mette al mondo, una donna che si odia lo uccide. E il rimpianto arriva. Io passo il mio tempo ad ascoltare il dolore del rimpianto che nessuno consola, perché non è consolabile.Abby capisce che, contrariamente a quanto viene detto, il feto prova dolore. Questa esperienza sarà l'inizio di un drammatico percorso personale, della presa di coscienza e avvicinamento ai movimenti pro vita che la porterà a lasciare una promettente carriera; ciò darà il via alla battaglia legale di Planned Parenthood, sostenuta da lobby potentissime, per intimidire Abby Johnson e distruggerne la credibilità… Il film, coinvolgente e interpretato da ottimi attori, ha il grande merito di mettere in luce gli interessi economici, il cinismo e le gravi mistificazioni del sistema. Alle donne che si rivolgono alla clinica per interrompere la gravidanza, viene fatta l'ecografia: serve per stabilire l'età del feto e determinare il costo dell'intervento, ma le immagini non vengono mostrate alla madre, perché c'è il rischio che cambino idea, e la struttura guadagnerebbe meno. Donne che hanno visto le immagini hanno dichiarato che non sapevano fosse così, e che se l'avessero saputo non lo avrebbero mai fatto. Facciamo in modo che tutte lo sappiano. E chiediamo un'immediata revisione della legge 194 che tolga la gratuità all'aborto, equiparando il feto a un cancro, la cui asportazione è gratuita.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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