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2021-03-21
Chi era Casini, leader della lotta all’aborto
Carlo Casini (Ansa)
Un anno fa faceva ritorno alla casa del Padre Carlo Casini, dopo una lunga e dolorosa malattia durata due anni, con il sostegno di accudimento devoto e amore totale della moglie Maria e della figlia Marina. Ho avuto l'onore e la fortuna di conoscerlo personalmente, condividendo tante battaglie nel nome della difesa della vita, della difesa del più debole, innocente e vulnerabile degli esseri umani: il concepito, il bimbo che sta crescendo nel seno materno. L'eredità umana e culturale che ci ha lasciato è tanto grande che noi possiamo solo riconoscerci come suoi piccoli ed inadeguati discepoli, ma ricchi di quella certezza che ci viene dalla Rivelazione: «Quando siamo deboli, è allora che siamo forti». Carlo Casini nel 1975, quando era pubblico ministero a Firenze, ebbe il coraggio di prendere in mano il dossier della denuncia di aborti clandestini che venivano praticati in una «clinica degli aborti» che aveva sul campanello il nome del Partito Radicale. Fu fatto oggetto di insulti e minacce di ogni genere, ma non si tirò indietro neppure di un passo, facendo arrestare, tra gli altri, l'allora segretario radicale Gianfranco Spadaccia. Nacque proprio in quegli anni la consapevolezza che si doveva fare qualcosa di concreto per aiutare e sostenere le donne gravide, che - in condizioni spesso di grande precarietà economica, sociale, esistenziale - imboccavano la strada dell'aborto, nell'illusione che potesse essere l'unica via d'uscita dai loro problemi. Il 15 gennaio 1980 nasce così il Movimento per la Vita, e con esso i Cav (Centri Aiuto alla Vita), il Progetto Gemma, le case di accoglienza per i bambini e le loro mamme: una meravigliosa opera che ha consentito ad oggi di venire alla luce a più di 200.000 bimbi, con la gioia - si badi bene! - delle loro mamme. Come amava dire Carlo, «le donne sono forti e coraggiose, molto più degli uomini. Se si dice loro la verità sul bimbo che hanno in grembo e si tende loro una mano, salviamo loro e il loro figliolo… C'è bisogno di un nuovo femminismo, che aiuti le mamme ad incontrare lo sguardo del loro bimbo». Nel 2015, al termine di una manifestazione per la difesa della vita nascente, ci sedemmo in un bar di Roma e mi disse che l'iniqua legge 194 è stato il frutto di un momento storico che descrisse con tre parole d'ordine: tragicità, fretta, bugie. Il maggio del 1978 è una pagina intrisa di sangue per la storia del nostro Paese: Aldo Moro viene rapito ed ucciso dalla Brigate Rosse. Si tentò dunque di far argine al terrorismo con un patto di «solidarietà nazionale» di tutte le forze politiche e si decise, quindi, di velocizzare i tempi di approvazione di quella legge 194 che stava pericolosamente dividendo i partiti ed il Paese. Il relatore di maggioranza dell'epoca, Giovanni Berlinguer, dichiarò: «Siamo costretti ad approvarla per evitare il referendum. Poi ci penseremo». Si intensificò, così, una vergognosa campagna propagandistica alimentata da una vera montagna di bugie: 25.000 donne all'anno morte nelle mani delle «mammane» a causa di aborti clandestini (i dati ufficiali Istat di quegli anni documentavano circa 9.000 donne morte in età fertile, ogni anno per le ragioni più diverse!); i feti deformi di Seveso e diossina (non un solo feto abortito era risultato portatore di malformazioni!); la legge nasce per soccorrere le donne vittime di stupro, con gravidanze frutto di violenza carnale (e così, si arrivò ai numeri tragici del 1982/83: più di 230.000 aborti. Tutti stupri?!). Tutti coloro che sono credenti sanno bene chi è il «padre della menzogna» e, ahinoi, questa iniqua legge porta l'inequivocabile timbro della sua opera. Dal 1978 ad oggi in Italia sono più di 6 milioni i bimbi abortiti, e moltissimi di questi - con una virtuosa politica che si prende sulle spalle mamme e bimbi, lontano da ogni demagogia, nel rispetto della vita del bimbo e della donna - potevano essere salvati ed essere oggi fra noi, in questo gelido Paese piegato da una tragica denatalità. A questo proposito è bene che tutti si sappia la dimensione di questo tragico trend culturale nel mondo, che spaccia per «diritto umano» la soppressione del bimbo che porta in grembo: in piena pandemia, dal primo gennaio al primo maggio 2020, nel mondo, a fronte di 237.469 morti per Covid, ci sono stati 14.184.388 aborti (fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità, worldometers.info)! Una società che uccide gli innocenti si avvia al proprio destino di morte. Tutto questo intuì e comprese con lucidità Carlo Casini, rivelandosi un vero «apostolo» della vita e - a mio parere - un «profeta» del nostro tempo. Il nostro ricordo, la nostra illimitata riconoscenza, la nostra gratitudine sono doverose, ma comunque sempre molto inadeguate rispetto all'opera che egli ha sostenuto in anni e anni di vera militanza culturale, sociale e politica, partendo dall'assunto, assolutamente scientifico e razionale, che «il concepito è uno di noi» e in quanto tale va difeso, aiutato e rispettato come ogni essere umano. Spesso mi citava il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: «Il riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Carlo Casini è stato un testimone ed un militante onesto e coerente del «vangelo della vita» e a lui si addicono perfettamente le parole della Scrittura «servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt.25). Oggi abbiamo un'occasione d'oro per onorare la sua memoria: il mondo dell'associazionismo propone al Paese, alle sue istituzioni, ai partiti di ogni schieramento, alla cultura di ogni tendenza di istituire una «Giornata Nazionale della Vita Nascente» che ci aiuti ad uscire dalla morsa della denatalità. Il prossimo 27 marzo lanceremo questo appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, con la certezza che l'intero Paese si arricchisce se nasce una vita in più. Grazie Carlo.
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Il ricordo, a un anno dalla sua scomparsa, dell'uomo che si oppose con tutte le sue forze all'ondata abortista che da fine anni Settanta travolse il nostro Paese. Magistrato senza paura di andare controcorrente, si deve a lui l'esistenza del Movimento per la vita. Un anno fa faceva ritorno alla casa del Padre Carlo Casini, dopo una lunga e dolorosa malattia durata due anni, con il sostegno di accudimento devoto e amore totale della moglie Maria e della figlia Marina. Ho avuto l'onore e la fortuna di conoscerlo personalmente, condividendo tante battaglie nel nome della difesa della vita, della difesa del più debole, innocente e vulnerabile degli esseri umani: il concepito, il bimbo che sta crescendo nel seno materno. L'eredità umana e culturale che ci ha lasciato è tanto grande che noi possiamo solo riconoscerci come suoi piccoli ed inadeguati discepoli, ma ricchi di quella certezza che ci viene dalla Rivelazione: «Quando siamo deboli, è allora che siamo forti». Carlo Casini nel 1975, quando era pubblico ministero a Firenze, ebbe il coraggio di prendere in mano il dossier della denuncia di aborti clandestini che venivano praticati in una «clinica degli aborti» che aveva sul campanello il nome del Partito Radicale. Fu fatto oggetto di insulti e minacce di ogni genere, ma non si tirò indietro neppure di un passo, facendo arrestare, tra gli altri, l'allora segretario radicale Gianfranco Spadaccia. Nacque proprio in quegli anni la consapevolezza che si doveva fare qualcosa di concreto per aiutare e sostenere le donne gravide, che - in condizioni spesso di grande precarietà economica, sociale, esistenziale - imboccavano la strada dell'aborto, nell'illusione che potesse essere l'unica via d'uscita dai loro problemi. Il 15 gennaio 1980 nasce così il Movimento per la Vita, e con esso i Cav (Centri Aiuto alla Vita), il Progetto Gemma, le case di accoglienza per i bambini e le loro mamme: una meravigliosa opera che ha consentito ad oggi di venire alla luce a più di 200.000 bimbi, con la gioia - si badi bene! - delle loro mamme. Come amava dire Carlo, «le donne sono forti e coraggiose, molto più degli uomini. Se si dice loro la verità sul bimbo che hanno in grembo e si tende loro una mano, salviamo loro e il loro figliolo… C'è bisogno di un nuovo femminismo, che aiuti le mamme ad incontrare lo sguardo del loro bimbo». Nel 2015, al termine di una manifestazione per la difesa della vita nascente, ci sedemmo in un bar di Roma e mi disse che l'iniqua legge 194 è stato il frutto di un momento storico che descrisse con tre parole d'ordine: tragicità, fretta, bugie. Il maggio del 1978 è una pagina intrisa di sangue per la storia del nostro Paese: Aldo Moro viene rapito ed ucciso dalla Brigate Rosse. Si tentò dunque di far argine al terrorismo con un patto di «solidarietà nazionale» di tutte le forze politiche e si decise, quindi, di velocizzare i tempi di approvazione di quella legge 194 che stava pericolosamente dividendo i partiti ed il Paese. Il relatore di maggioranza dell'epoca, Giovanni Berlinguer, dichiarò: «Siamo costretti ad approvarla per evitare il referendum. Poi ci penseremo». Si intensificò, così, una vergognosa campagna propagandistica alimentata da una vera montagna di bugie: 25.000 donne all'anno morte nelle mani delle «mammane» a causa di aborti clandestini (i dati ufficiali Istat di quegli anni documentavano circa 9.000 donne morte in età fertile, ogni anno per le ragioni più diverse!); i feti deformi di Seveso e diossina (non un solo feto abortito era risultato portatore di malformazioni!); la legge nasce per soccorrere le donne vittime di stupro, con gravidanze frutto di violenza carnale (e così, si arrivò ai numeri tragici del 1982/83: più di 230.000 aborti. Tutti stupri?!). Tutti coloro che sono credenti sanno bene chi è il «padre della menzogna» e, ahinoi, questa iniqua legge porta l'inequivocabile timbro della sua opera. Dal 1978 ad oggi in Italia sono più di 6 milioni i bimbi abortiti, e moltissimi di questi - con una virtuosa politica che si prende sulle spalle mamme e bimbi, lontano da ogni demagogia, nel rispetto della vita del bimbo e della donna - potevano essere salvati ed essere oggi fra noi, in questo gelido Paese piegato da una tragica denatalità. A questo proposito è bene che tutti si sappia la dimensione di questo tragico trend culturale nel mondo, che spaccia per «diritto umano» la soppressione del bimbo che porta in grembo: in piena pandemia, dal primo gennaio al primo maggio 2020, nel mondo, a fronte di 237.469 morti per Covid, ci sono stati 14.184.388 aborti (fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità, worldometers.info)! Una società che uccide gli innocenti si avvia al proprio destino di morte. Tutto questo intuì e comprese con lucidità Carlo Casini, rivelandosi un vero «apostolo» della vita e - a mio parere - un «profeta» del nostro tempo. Il nostro ricordo, la nostra illimitata riconoscenza, la nostra gratitudine sono doverose, ma comunque sempre molto inadeguate rispetto all'opera che egli ha sostenuto in anni e anni di vera militanza culturale, sociale e politica, partendo dall'assunto, assolutamente scientifico e razionale, che «il concepito è uno di noi» e in quanto tale va difeso, aiutato e rispettato come ogni essere umano. Spesso mi citava il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo: «Il riconoscimento della dignità di tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Carlo Casini è stato un testimone ed un militante onesto e coerente del «vangelo della vita» e a lui si addicono perfettamente le parole della Scrittura «servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt.25). Oggi abbiamo un'occasione d'oro per onorare la sua memoria: il mondo dell'associazionismo propone al Paese, alle sue istituzioni, ai partiti di ogni schieramento, alla cultura di ogni tendenza di istituire una «Giornata Nazionale della Vita Nascente» che ci aiuti ad uscire dalla morsa della denatalità. Il prossimo 27 marzo lanceremo questo appello a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, con la certezza che l'intero Paese si arricchisce se nasce una vita in più. Grazie Carlo.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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