2020-08-18
Abbinare bene i colori è una filosofia di vita
Michelle Hunziker, Monica Bellucci, Julia Roberts, Cameron Diaz (Getty Images/Ansa)
L'«armocromia» ha regole rigide: secondo questa tendenza, per stare meglio ognuno di noi deve abbracciare una sola gamma di sfumature, con cui scegliere abiti, arredi e pareti. Tutti siamo classificabili in uno dei quattro gruppi, a seconda del tono della pelle.Armocromia è una parola che non significa niente, esclusa da dizionari o compendi di intercalari. Eppure, a sé sottende un universo, modaiolo ed economico, che Instagram ha contribuito a rendere folle. «Armocromia», che etimologia vorrebbe rimandare all'armonia dei colori, è il neologismo con il quale si è deciso di indicare la pazza ossessione per gli abbinamenti cromatici. Nulla a che vedere con l'ordinaria ambizione che spinge i più arditi a coordinare il colore della cintura a quello delle scarpe. L'armocromia impone di abbracciare una certa gamma di colori, «palette» la chiamano, e di attenersi in ogni scelta a quella rosa soltanto. Perché, è difficile a capirsi, ma leggenda vuole che un perfetto abbinamento cromatico, benedetto per di più da cotanta scienza popolare, possa portare con sé un vago senso di pace. Di armonia, come termine suggerisce. L'armocromia, dunque, prescinde dal gusto personale, dal particolare dell'individualità, per elevarsi all'universalità della scienza, imponendo a chi decida di sposarla come filosofia di vita di attenersi a regole rigide. È bene sapere, infatti, che l'armonia dei colori è strettamente connessa al gruppo di appartenenza nel quale ogni «armo-folle», come ama definirsi l'adepto di questa strana religione cromatica, è chiamato a incasellarsi. I gruppi sono quattro, corredati ciascuno di numerosi sottogruppi. Capita di essere Inverno, Autunno, di trovarsi etichettati come Estate oppure Primavera. E capita, poi, di essere riconosciuti come «Soft», «Profondi», «Assoluti» o «Caldi», «Freddi» e «Brillanti». L'armocromia è il censimento della popolazione umana sulla base delle caratteristiche di cui si è dotati sin dalla nascita. Caratteristiche fisiche, individuabili nel tono, nel sottotono e nell'intensità della pelle. Perché l'avvicinamento progressivo all'armocromia possa rivelarsi efficace, è bene capire come il tono e il sottotono della pelle abbiano poco a che vedere con il colore superficiale di questa. Un bianco può, cioè, essere riconosciuto come caldo o freddo, venendo con ciò accostato a chi abbia la pelle nera o mulatta. Monica Bellucci, che secondo i principi dell'armocromia è identificabile come Inverno, condivide la stessa categoria con Kim Kardashian, che a una prima e superficiale occhiata potrebbe sembrarne la nemesi. Le due sono considerate identiche per via del sottotono della pelle, riconosciuto come freddo. Cosa, questa, che implica che la sclera dell'occhio sia bianca, le vene bluastre e le labbra violacee, la pelle spesso preda di rossori. Gli Inverno, tra i quali può essere annoverato anche Alessandro Gassman, sono gli unici a poter indossare il nero. Che, diversamente da quanto saggezza popolare vorrebbe, non sta con tutto. Sta con gli Inverno, e con questi soltanto. Ogni altra stagione, l'Estate di Michelle Hunziker, la Primavera di Angelina Jolie e l'Autunno di Emily Ratajkowski, non trae alcun beneficio dal nero, che ne spegne invece (o così si dice) la bellezza. Dunque, vengano gli abbinamenti corretti: le Estati vestano l'azzurro, il giallo le Primavere. Gli Autunno si accontentino del marrone. E chi ha dubbi sul proprio gruppo di appartenenza si prenda la pena di sfruculiare il profilo Instagram di Rossella Migliaccio. Rossella Migliaccio è la guru dell'armocromia, la prima professionista ad averne parlato in Italia, diffondendo la mania di una vita in palette. All'attivo, ha un best seller, Armocromia, il metodo dei colori amici che rivoluziona la vita e non solo l'immagine (Vallardi, 2019, pp. 272, euro 16,90), in cui ha riversato tutta la conoscenza acquisita nel corso degli anni, e la fondazione di un istituto di immagine, nel quale insegna come trarre il meglio da quel che la natura ha dato a ciascuno essere umano. Non è nata come influencer, Rossella Migliaccio, come donna deputata a spiegare perché mai Audrey Hepburn si infilasse soltanto in abiti rosa, freddi e brillanti, rimpiazzandoli di tanto in tanto con tubini neri. Ma, su Instagram, spinta dalle richieste continue di chi volesse esaltare al meglio la propria bellezza, ha cominciato a raccontare l'armocromia, vagheggiando di mondi in Technicolor dove Edith Head, costumista tra le costumiste di Hollywood, ha giocato ruoli determinanti. La popolarità di Rossella Migliaccio è cresciuta in fretta. La consulente di immagine ha dischiuso le porte di un universo, modaiolo e costoso. Farsi fare un'analisi cromatica per capire a quale gruppo e sottogruppo si appartenga ha un costo pari a circa 200 euro, mentre iscriversi a un corso che ci aiuti a diventare esperti del settore richiede circa 800 euro. Una cifra che i più non giudicano proibitiva. Le classi di Rossella Migliaccio sono prese d'assalto e, su Instagram, la consulente di immagine vanta un seguito di 205.000 follower e un esercito di «armo-folli», determinati ad applicare la teoria dei colori a ogni più piccola sfumatura dell'esistenza. Gli armo-folli vestono se stessi secondo la propria palette, truccano i propri volti con le tinte mutuate dalla rosa cromatica che scienza ha assegnato loro, si tingono i capelli badando bene a non tradire i colori amici. Gli armo-folli arredano la casa così che ogni soprammobile sia in pendant con l'incarnato di chi lo ha comprato. E, online, pubblicano freneticamente le proprie testimonianze di successo, delfini ambiziosi di Rossella Migliaccio, la cui esistenza negli anni è stata legittimata da alcuni tra i più amati vip italiani (vedi Chiara Ferragni).
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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