2024-01-08
Abbiamo un problema toghe (grilline)
Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
Emanuele Pozzolo in mano a una pm candidata con i 5 Stelle. A valutare Marcello Degni il magistrato Tommaso Miele che sul Web aveva insultato i precedenti governi e per questo nominato dal M5s. In ballo oltre alla Consulta (pastette giallo rosse iniziate nel 2015) c’è la garanzia del giudizio.Lo citano per rivendicare l’autonomia della magistratura con la separazione dei poteri (peraltro in Italia - articolo 104 della Costituzione – quello giudiziario è un ordine) ma il povero Montesquieu sulla giustizia ne ha detta anche un’altra che si attaglia ai tempi presenti: «Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata all’ombra della legge sotto il calore della giustizia». Una giustizia a Cinque Stelle? Ancorati a Mani pulite e ai professionisti dell’antimafia – per dirla con Leonardo Sciascia – si pensa solo alle toghe rosse, ma ci sono anche i “grilli” inquirenti e giudicanti. Anzi sono i più ansiosi di assaltare la Bastiglia. Dal caso di Emanuele Pozzolo, a quello davvero clamoroso del giudice contabile Marcello Degni, dalle nomine alla Consulta allo sbraitare contro la (fantasiosa) legge bavaglio, fino all’assunzione come portavoce dell’associazione nazionale magistrati dell’amico di Giuseppe Conte le toghe stellate portano il loro attacco al potere. Dimenticando che ci fu il Termidoro restano all’eterna ricerca di un Robespierre. Il loro ideale è Antonio Esposito: condannò Silvio Berlusconi declamando il suo odio per il Cavaliere in un hotel di Ischia – aveva querelato i camerieri che lo riferirono, ma perse la causa - che si batté contro il Rosatellum con severi giudizi verso i politici. Lo stile è quello e da anni c’è un partito giustizialista della magistratura che si ispira al grillismo e che ora trama per dare l’assalto alla Corte Costituzionale. Nel frattempo è diventato presidente Augusto Barbera di nomina Pd che ha trovato modo di dire alla Meloni: l’uso del voto di fiducia non è democratico. La partita della Consulta è delicata: manca un giudice già adesso, altri due scadono entro quest’anno. In Parlamento Giuseppe Conte si prepara a un dejà vu del 2015 quando Renzi si mise d’accordo con i grillini per nominare tre consiglieri tra i quali appunto Augusto Barbera. Deve esser questo odore acre di fronda giudiziaria e di inciucio - ricorda i tempi di Luca Palamara sui cui Sergio Mattarella ha fatto cadere un istituzionale oblio - quello che ha avvertito Guido Crosetto e che ha indotto il ministro della Difesa a denunciare: esistono gruppi di giudici contro il Governo. Una prova? Marcello Degni – già professore a Ca’ Foscari voluto alla Corte dei Conti da Paolo Gentiloni (Pd) – ammiratore di Toni Negri ha rimproverato a Elly Schlein (segretario pro tempore del Pd) di non aver fatto sufficiente ostruzionismo sulla legge di Bilancio. Twittava il nostro «potevamo farli sbavare di rabbia sulla cosiddetta manovra blindata, arrivare all’esercizio provvisorio». Beccato ha provato a dire «non sum Digni», ma poi ricordandosi di Mani pulite e di Francesco Saverio Borrelli ha intonato: «Resistere, resistere, resistere». Come dire: politici non mi avrete. Rischia grosso, ma ecco il partito grillino. Tra i suoi giudici disciplinari – la Corte dei Conti ha una sorta di Csm interno – avrà Tommaso Miele presidente aggiunto della Corte contabile. È stato anche il sindacalista dei giudici dei conti e ha anche lui la passione per i cinguettii contro il Governo. In alcuni tweet in odio a Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio, dimostrava una sperticata simpatia verso i Cinque Stelle che lo hanno ripagato cercando di farlo diventare presidente a ogni costo. Rispolverando uno scoop de Il Foglio del 2000 si legge che l’inquisitore di Degni andava scrivendo a proposito di Matteo Renzi: «È tornato sulla scena il cazzaro di Rignano sull’Arno. Ancora parla. Ha la faccia come il...», e ancora, «Stasera ho deciso: per evitare che torni Micron (che proprio non lo reggo) voterò convintamente M5s». Miele si è difeso: l’account è mio, ma di certo me lo hanno hackerato. Chissà cosa dirà invece Paola Francesca Ranieri, sostituto procuratore a Biella, che sta indagando sul deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo per la sparatoria di Capodanno. Sul caso già si sprecano le interpretazioni. I giornaloni si affannano a dare versioni differenti dell’accaduto, ma di Pozzolo non sanno che farsene; hanno messo nel mirino il bersaglio grosso: il sottosegretario Andrea Delmastro - ha avuto un’imputazione coatta del Gip di Roma per rivelazione di segreto d’ufficio sul caso Cospito - uno dei Meloni-boys che a quella festa di Capodanno ha partecipato. Però se n’è andato prima – per dirla con Max Pezzali – di quando i cannoni hanno fatto bang, ma ai giornaloni non piace. Dall’indagine non arriva nessun chiarimento, si lascia, certo per riserbo investigativo, che la fantasia galoppi. Fa però un certo effetto sapere che la pm compaia ancora – sotto la dicitura di consigliere cessato – nel sito istituzionale del Comune di Parma dove si legge una sua biografia: nata a Taranto, ha studiato Giurisprudenza a Parma dove ha incontrato Federico Pizzarotti nella sua militanza post-grillina. Nel 2018 la magistrato è stata eletta tra i 18 consiglieri della lista «Effetto Parma» e di sé diceva: «Mi convince l’uno vale uno: non sono mai stata una grande fanatica del mondo politico, anzi in parte l'opposto». È con questo «bagaglio» che indaga su un deputato di Fratelli d’Italia. Lo stesso armamentario culturale che motiva Giuseppe Conte – come rivela su Il Tempo Luigi Bisignani – dopo aver trovato un posto a Paola Taverna e a Roberto Fico a sistemare anche il portavoce dell’ex presidente della Camera, Carlo Passarello all’ufficio stampa dell’Anm nel momento in cui i rapporti tra toghe e palazzo Chigi non sono dei migliori. Amicizia o intelligence? Ah saperlo! Giuseppe Conte vuole il bis del 2015 quando Matteo Renzi era sotto attacco e si dovevano eleggere tre giudici costituzionali col Parlamento bloccato sul nome di Francesco Paolo Sisto di Forza Italia. Sergio Mattarella premeva. Ettore Rosato, allora capogruppo Pd, fece nottetempo l’accordo con i pentastellati ed elessero Augusto Barbera (Pd) Franco Modugno (M5s) e Giulio Prosperetti. I Cinque Stelle ci riprovano: vogliono essere il partito delle toghe. Occhio però: dopo la Bastiglia viene il Termidoro.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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