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2024-11-21
A Zelensky mine antiuomo, ma gli ucraini: basta
Volodymyr Zelensky e Joe Biden (Getty Images)
L’escalation militare tra Russia e Occidente è dietro l’angolo e potrebbe scattare da un momento all’altro. Dopo il lancio dei primi missili americani Atacms operato da Kiev nella regione di Bryansk con obiettivo un deposito di armi situato nei pressi della città di Karachev, ieri sia il Guardian che Bloomberg hanno riportato la notizia che le forze di difesa ucraine avrebbero utilizzato in un attacco nel Kursk missili Storm Shadow di fabbricazione britannica. Gli ordigni si sono infilati nel parco di una residenza storica, esplodendo nel sottosuolo di un boschetto. L’ipotesi è che si trattasse del comando sotterraneo da cui i generali di Mosca dirigono tutte le operazioni nella regione di Kursk.
Ora, tuttavia, un’altra linea rossa è stata varcata. Joe Biden, accusato dal Cremlino di voler gettare benzina sul fuoco, ha addirittura deciso di dare il via libera per la fornitura di mine antiuomo da utilizzare contro l’avanzata delle truppe russe.
La notizia è stata confermata e ufficializzata proprio ieri dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, il quale ha spiegato alla stampa americana che è una decisione presa in seguito al cambiamento di strategia adottato da Mosca negli ultimi giorni. Stando a quanto riferito da un funzionario del governo americano al Washington Post, si tratta di mine che si autodistruggono o perdono la carica, in modo da ridurre al minimo l’impatto pericoloso per i civili e l’esercito ucraino avrebbe assicurato l’impegno a non disseminarle in zone densamente popolate. Zelensky stesso ha celebrato «le importantissime mine per fermare gli attacchi russi» e che «rafforzeranno davvero le nostre truppe al fronte». Fatto sta che le recenti mosse del presidente statunitense, quando mancano esattamente meno di due mesi al cambio della guardia con Donald Trump, rischiano seriamente di sconquassare il già precario equilibrio del conflitto in Ucraina, perché in sostanza Kiev, per colpire la Russia, ha sostituito i droni con i missili a lungo raggio e ora anche le mine. «L’amministrazione americana uscente sta facendo di tutto per continuare la guerra in Ucraina» ha attaccato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, dopo aver precisato come il presidente Vladimir Putin sia disposto ad avviare i negoziati di pace, ma a nessun tentativo di congelamento della guerra. Volodymyr Zelensky, invece, che ha ringraziato Biden per la fornitura delle mine antiuomo, ha lanciato un messaggio a Trump, dichiarando all’emittente americana Fox News che «l’Ucraina perderà la guerra contro la Russia se gli Stati Uniti taglieranno i finanziamenti militari».
La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha commentato la notizia del permesso americano per l’utilizzo dei missili a lungo raggio affermando che si tratta di una «dimostrazione che l’Ucraina e gli ucraini sono uno strumento per l’Occidente e, una volta distrutto, non ha più valore».
Il timore diffuso è che Putin possa decidere di innalzare il livello di scontro, colpendo con un massiccio raid aereo l’Ucraina in più punti. Da Kiev, tuttavia, mostrano un cauto ottimismo riguardo al fatto che non ci sarà, perlomeno nelle prossime ore, un attacco sui cieli della Capitale e delle altre regioni del Paese, al punto che nel pomeriggio di ieri è stato fatto cessare l’allarme aereo che le autorità avevano fatto scattare in mattinata a Kiev e in dieci oblast. «La Russia sta portando avanti un massiccio attacco informativo e psicologico contro l’Ucraina», hanno fatto sapere fonti vicine all’intelligence militare del Gur, «il nemico, incapace di sottomettere gli ucraini con la forza, ricorre a misure di intimidazione e pressione psicologica sulla società. Si prega di essere vigili». Anche il capo del Consiglio per la sicurezza nazionale e la difesa dell’Ucraina, Andriy Kovalenko, ha rassicurato la popolazione dicendo che «la Russia sta cercando di seminare il panico tra gli ucraini». Il livello dell’allarme, però, non è affatto da sottovalutare perché il rischio di un’azione forte e determinata da parte del Cremlino, dopo gli ultimi sviluppi, è concreto e reale. Non a caso, ieri, le sedi di molte ambasciate occidentali, tra cui anche quella italiana e americana, sono state fatte evacuare e poi chiuse a scopo precauzionale. Il portavoce del ministero degli Esteri ucraino in un comunicato ha invitato le diplomazie occidentali a non «alimentare la tensione con la chiusura delle loro ambasciate» in quanto «la minaccia di attacchi è purtroppo una realtà quotidiana per gli ucraini da oltre mille giorni».
Persino gli ucraini ora implorano la pace
L’Ucraina farebbe meglio a trattare la pace con la Russia «prima possibile», a costo di rinunciare ad alcuni territori. Chi lo dice? Gli ucraini, interpellati dalla statunitense Gallup tra agosto e ottobre di quest’anno. Dunque prima che negli Stati Uniti vincesse Donald Trump, notoriamente favorevole a un accordo in tempi rapidi. Il 52% degli interpellati dalla casa di sondaggi chiede al suo presidente Volodymyr Zelensky di sedersi a un tavolo con Vladimir Putin e trovare un accordo, preferibilmente con la mediazione dell’Unione europea (70%). Mentre solo il 38% degli ucraini crede che si debba continuare a combattere sino alla vittoria finale.
Sono numeri che non solo non arrivano dalle famose centrali di disinformazione putiniane, ma che fanno capire come i vari sostenitori della guerra a oltranza e dell’invasione della Russia con armi europee, da Emmanuel Macron a Ursula von der Leyen, passando per il capo della Nato Mark Rutte, siano evidentemente mossi da una sollecitudine e da uno zelo bellico che scavalca gli ucraini stessi. E anche chi si nasconde dietro la formuletta farisaica della «pace giusta» (di fatto, non negoziabile) dovrà ammettere che per gli stessi ucraini la pace è la pace e di solito è il frutto di una trattativa che poi diventa trattato.
Sono passati 33 mesi da quando la Russia, violando ogni norma del diritto internazionale, ha invaso l’Ucraina. Putin era convinto di arrivare a Kiev in poche settimane, di rovesciare il governo filo Ue e filo Nato senza troppe difficoltà e che l’Europa, dipendente dal suo gas, si sarebbe voltata dall’altra parte. Invece non è andata così, sono intervenuti anche gli Usa e in Ucraina sono arrivati armi e soldi da tutto l’Occidente. Negli ultimi mesi, sul terreno, la guerra sostanzialmente non è andata né avanti né indietro. Ed è cresciuta la stanchezza di tutti, a cominciare da Washington, nella convinzione che quello che si doveva fare è stato fatto.
Dalla scorsa estate, guidati da un Macron in difficoltà a casa propria e dall’ex capo della Nato Jens Stoltenberg , i realisti più realisti del re hanno invece sostenuto che bisognava riconquistare tutta l’Ucraina, a costo di invadere pezzi di Russia e scatenare la Terza guerra mondiale, per poi giocare allo scambio di figurine. Dicevano di farlo per i fratelli ucraini, presto ammessi nell’Ue, ma adesso gli ucraini ci mandano a dire che della guerra sono stufi.
Gallup ha condotto il suo sondaggio, pubblicato ieri, tra agosto e ottobre, e ha rilevato che il 52% vorrebbe vedere il proprio governo negoziare la fine della guerra il prima possibile, mentre il 38% ritiene che si debba continuare a combattere fino alla vittoria. Nei primi mesi della guerra, Gallup aveva registrato che il 73% degli ucraini era a favore delle armi. Percentuale poi scesa al 63% nel 2023, fino al sorpasso della pace nel mese scorso. Gallup fa notare che il sondaggio precede le elezioni Usa del 6 novembre, ma riconosce che il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe avere acuito l’incertezza degli ucraini sul fatto che gli Stati uniti continuino a mandare aiuti economici e armi praticamente a getto continuo.
Interessante anche il cambio di opinione sulla guerra, a seconda delle diverse regioni dell’Ucraina. Nelle zone di confine con i territori invasi dai soldati di Putin il consenso alla lotta senza quartiere era intorno al 63% nel 2022 e al 61% lo scorso anno. Adesso, Gallup fa notare che anche vicino al fronte siamo sotto il 50%. Se poi si guarda all’Ovest e a Kiev, più lontane dai missili, la guerra ha perso ancora più sostegno e oggi va continuata solo per il 27% degli intervistati, contro il 63% che chiede a Zelensky di trattare la pace.
Come si vede, il tema della concessioni da fare a Putin sembra essere il cuore delle resistenze europee a un cessate il fuoco. Se si scompone il dato di quel 52% degli ucraini che vuole la pace, più della metà ammette che il loro governo dovrebbe essere disposto a fare concessioni territoriali alla Russia, mentre il 38% non è d’accordo e il 10% si dice indeciso. Il fatto è che tra coloro che due anni e mezzo fa erano più convinti nel rispondere all’aggressione di Mosca, c’era l’idea che andassero recuperati la Crimea e gli altri territori persi dal 2014. Nel 2022, a pensarla così era il 92% della popolazione, mentre oggi siamo all’81%. Che è sempre una maggioranza schiacciante, ma indica comunque una tendenza coerente con il resto della fotografia scattata dalla Gallup.
Se adesso la maggior parte degli ucraini vuole rapidamente l’inizio dei negoziati di pace, chi deve aiutarli a far ragionare Putin e il loro presidente in mimetica? Il 70% ritiene che un’impresa simile possa riuscire all’Unione europea, seguita dal Regno Unito con il 63%. Gli Stati uniti sono al terzo posto con il 50% circa dei consensi e questo indipendentemente dalla vittoria di Trump o Kamala Harris.
L’istituto di sondaggi americano ha poi spiegato che la popolazione ucraina che si trova nei territori occupati dai soldati russi non ha potuto rispondere al sondaggio per la mancata copertura da parte degli operatori di telefonia mobile ucraini. Un’esclusione dal campione che riguarda il 10-12% della popolazione.
Zelensky ieri ha affermato che «l’Ucraina perderà la guerra se gli Stati Uniti taglieranno i fondi». A settembre però aveva detto che la fine della guerra era «più vicina di quanto la gente creda». Il sondaggio Gallup gli dovrebbe dare conforto. Soprattutto, le rilevazioni ci dicono che mentre mezzo Occidente sostiene che bisogna andare avanti con la guerra «perché ce lo chiedono gli ucraini», ecco, semplicemente, non è più vero.
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Joe Biden alza ancora la tensione e manda a Kiev le armi «proibitissime». Colpito con missili britannici un possibile bunker sotterraneo di generali del Cremlino. Evacuate le ambasciate italiana e americana.Un sondaggio americano tira una bordata ai nostri bellicisti da divano: fra chi sotto le bombe ci sta davvero, il negoziato guadagna consenso. Oggi vuole trattare il 52% degli intervistati, mentre all’inizio del conflitto era il 22%. Solo il 38% vuole la lotta a oltranza.Lo speciale contiene due articoli.L’escalation militare tra Russia e Occidente è dietro l’angolo e potrebbe scattare da un momento all’altro. Dopo il lancio dei primi missili americani Atacms operato da Kiev nella regione di Bryansk con obiettivo un deposito di armi situato nei pressi della città di Karachev, ieri sia il Guardian che Bloomberg hanno riportato la notizia che le forze di difesa ucraine avrebbero utilizzato in un attacco nel Kursk missili Storm Shadow di fabbricazione britannica. Gli ordigni si sono infilati nel parco di una residenza storica, esplodendo nel sottosuolo di un boschetto. L’ipotesi è che si trattasse del comando sotterraneo da cui i generali di Mosca dirigono tutte le operazioni nella regione di Kursk. Ora, tuttavia, un’altra linea rossa è stata varcata. Joe Biden, accusato dal Cremlino di voler gettare benzina sul fuoco, ha addirittura deciso di dare il via libera per la fornitura di mine antiuomo da utilizzare contro l’avanzata delle truppe russe. La notizia è stata confermata e ufficializzata proprio ieri dal segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, il quale ha spiegato alla stampa americana che è una decisione presa in seguito al cambiamento di strategia adottato da Mosca negli ultimi giorni. Stando a quanto riferito da un funzionario del governo americano al Washington Post, si tratta di mine che si autodistruggono o perdono la carica, in modo da ridurre al minimo l’impatto pericoloso per i civili e l’esercito ucraino avrebbe assicurato l’impegno a non disseminarle in zone densamente popolate. Zelensky stesso ha celebrato «le importantissime mine per fermare gli attacchi russi» e che «rafforzeranno davvero le nostre truppe al fronte». Fatto sta che le recenti mosse del presidente statunitense, quando mancano esattamente meno di due mesi al cambio della guardia con Donald Trump, rischiano seriamente di sconquassare il già precario equilibrio del conflitto in Ucraina, perché in sostanza Kiev, per colpire la Russia, ha sostituito i droni con i missili a lungo raggio e ora anche le mine. «L’amministrazione americana uscente sta facendo di tutto per continuare la guerra in Ucraina» ha attaccato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, dopo aver precisato come il presidente Vladimir Putin sia disposto ad avviare i negoziati di pace, ma a nessun tentativo di congelamento della guerra. Volodymyr Zelensky, invece, che ha ringraziato Biden per la fornitura delle mine antiuomo, ha lanciato un messaggio a Trump, dichiarando all’emittente americana Fox News che «l’Ucraina perderà la guerra contro la Russia se gli Stati Uniti taglieranno i finanziamenti militari». La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha commentato la notizia del permesso americano per l’utilizzo dei missili a lungo raggio affermando che si tratta di una «dimostrazione che l’Ucraina e gli ucraini sono uno strumento per l’Occidente e, una volta distrutto, non ha più valore».Il timore diffuso è che Putin possa decidere di innalzare il livello di scontro, colpendo con un massiccio raid aereo l’Ucraina in più punti. Da Kiev, tuttavia, mostrano un cauto ottimismo riguardo al fatto che non ci sarà, perlomeno nelle prossime ore, un attacco sui cieli della Capitale e delle altre regioni del Paese, al punto che nel pomeriggio di ieri è stato fatto cessare l’allarme aereo che le autorità avevano fatto scattare in mattinata a Kiev e in dieci oblast. «La Russia sta portando avanti un massiccio attacco informativo e psicologico contro l’Ucraina», hanno fatto sapere fonti vicine all’intelligence militare del Gur, «il nemico, incapace di sottomettere gli ucraini con la forza, ricorre a misure di intimidazione e pressione psicologica sulla società. Si prega di essere vigili». Anche il capo del Consiglio per la sicurezza nazionale e la difesa dell’Ucraina, Andriy Kovalenko, ha rassicurato la popolazione dicendo che «la Russia sta cercando di seminare il panico tra gli ucraini». Il livello dell’allarme, però, non è affatto da sottovalutare perché il rischio di un’azione forte e determinata da parte del Cremlino, dopo gli ultimi sviluppi, è concreto e reale. Non a caso, ieri, le sedi di molte ambasciate occidentali, tra cui anche quella italiana e americana, sono state fatte evacuare e poi chiuse a scopo precauzionale. Il portavoce del ministero degli Esteri ucraino in un comunicato ha invitato le diplomazie occidentali a non «alimentare la tensione con la chiusura delle loro ambasciate» in quanto «la minaccia di attacchi è purtroppo una realtà quotidiana per gli ucraini da oltre mille giorni».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-zelensky-mine-antiuomo-2669964502.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="persino-gli-ucraini-ora-implorano-la-pace" data-post-id="2669964502" data-published-at="1732182726" data-use-pagination="False"> Persino gli ucraini ora implorano la pace L’Ucraina farebbe meglio a trattare la pace con la Russia «prima possibile», a costo di rinunciare ad alcuni territori. Chi lo dice? Gli ucraini, interpellati dalla statunitense Gallup tra agosto e ottobre di quest’anno. Dunque prima che negli Stati Uniti vincesse Donald Trump, notoriamente favorevole a un accordo in tempi rapidi. Il 52% degli interpellati dalla casa di sondaggi chiede al suo presidente Volodymyr Zelensky di sedersi a un tavolo con Vladimir Putin e trovare un accordo, preferibilmente con la mediazione dell’Unione europea (70%). Mentre solo il 38% degli ucraini crede che si debba continuare a combattere sino alla vittoria finale. Sono numeri che non solo non arrivano dalle famose centrali di disinformazione putiniane, ma che fanno capire come i vari sostenitori della guerra a oltranza e dell’invasione della Russia con armi europee, da Emmanuel Macron a Ursula von der Leyen, passando per il capo della Nato Mark Rutte, siano evidentemente mossi da una sollecitudine e da uno zelo bellico che scavalca gli ucraini stessi. E anche chi si nasconde dietro la formuletta farisaica della «pace giusta» (di fatto, non negoziabile) dovrà ammettere che per gli stessi ucraini la pace è la pace e di solito è il frutto di una trattativa che poi diventa trattato. Sono passati 33 mesi da quando la Russia, violando ogni norma del diritto internazionale, ha invaso l’Ucraina. Putin era convinto di arrivare a Kiev in poche settimane, di rovesciare il governo filo Ue e filo Nato senza troppe difficoltà e che l’Europa, dipendente dal suo gas, si sarebbe voltata dall’altra parte. Invece non è andata così, sono intervenuti anche gli Usa e in Ucraina sono arrivati armi e soldi da tutto l’Occidente. Negli ultimi mesi, sul terreno, la guerra sostanzialmente non è andata né avanti né indietro. Ed è cresciuta la stanchezza di tutti, a cominciare da Washington, nella convinzione che quello che si doveva fare è stato fatto. Dalla scorsa estate, guidati da un Macron in difficoltà a casa propria e dall’ex capo della Nato Jens Stoltenberg , i realisti più realisti del re hanno invece sostenuto che bisognava riconquistare tutta l’Ucraina, a costo di invadere pezzi di Russia e scatenare la Terza guerra mondiale, per poi giocare allo scambio di figurine. Dicevano di farlo per i fratelli ucraini, presto ammessi nell’Ue, ma adesso gli ucraini ci mandano a dire che della guerra sono stufi. Gallup ha condotto il suo sondaggio, pubblicato ieri, tra agosto e ottobre, e ha rilevato che il 52% vorrebbe vedere il proprio governo negoziare la fine della guerra il prima possibile, mentre il 38% ritiene che si debba continuare a combattere fino alla vittoria. Nei primi mesi della guerra, Gallup aveva registrato che il 73% degli ucraini era a favore delle armi. Percentuale poi scesa al 63% nel 2023, fino al sorpasso della pace nel mese scorso. Gallup fa notare che il sondaggio precede le elezioni Usa del 6 novembre, ma riconosce che il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe avere acuito l’incertezza degli ucraini sul fatto che gli Stati uniti continuino a mandare aiuti economici e armi praticamente a getto continuo. Interessante anche il cambio di opinione sulla guerra, a seconda delle diverse regioni dell’Ucraina. Nelle zone di confine con i territori invasi dai soldati di Putin il consenso alla lotta senza quartiere era intorno al 63% nel 2022 e al 61% lo scorso anno. Adesso, Gallup fa notare che anche vicino al fronte siamo sotto il 50%. Se poi si guarda all’Ovest e a Kiev, più lontane dai missili, la guerra ha perso ancora più sostegno e oggi va continuata solo per il 27% degli intervistati, contro il 63% che chiede a Zelensky di trattare la pace. Come si vede, il tema della concessioni da fare a Putin sembra essere il cuore delle resistenze europee a un cessate il fuoco. Se si scompone il dato di quel 52% degli ucraini che vuole la pace, più della metà ammette che il loro governo dovrebbe essere disposto a fare concessioni territoriali alla Russia, mentre il 38% non è d’accordo e il 10% si dice indeciso. Il fatto è che tra coloro che due anni e mezzo fa erano più convinti nel rispondere all’aggressione di Mosca, c’era l’idea che andassero recuperati la Crimea e gli altri territori persi dal 2014. Nel 2022, a pensarla così era il 92% della popolazione, mentre oggi siamo all’81%. Che è sempre una maggioranza schiacciante, ma indica comunque una tendenza coerente con il resto della fotografia scattata dalla Gallup. Se adesso la maggior parte degli ucraini vuole rapidamente l’inizio dei negoziati di pace, chi deve aiutarli a far ragionare Putin e il loro presidente in mimetica? Il 70% ritiene che un’impresa simile possa riuscire all’Unione europea, seguita dal Regno Unito con il 63%. Gli Stati uniti sono al terzo posto con il 50% circa dei consensi e questo indipendentemente dalla vittoria di Trump o Kamala Harris. L’istituto di sondaggi americano ha poi spiegato che la popolazione ucraina che si trova nei territori occupati dai soldati russi non ha potuto rispondere al sondaggio per la mancata copertura da parte degli operatori di telefonia mobile ucraini. Un’esclusione dal campione che riguarda il 10-12% della popolazione. Zelensky ieri ha affermato che «l’Ucraina perderà la guerra se gli Stati Uniti taglieranno i fondi». A settembre però aveva detto che la fine della guerra era «più vicina di quanto la gente creda». Il sondaggio Gallup gli dovrebbe dare conforto. Soprattutto, le rilevazioni ci dicono che mentre mezzo Occidente sostiene che bisogna andare avanti con la guerra «perché ce lo chiedono gli ucraini», ecco, semplicemente, non è più vero.
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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