2023-06-03
A un anno dal cambio deciso da Cingolani la gestione di Sogin va male come prima
La società che smaltisce i rifiuti nucleari ha raggiunto solo il 30% del piano di disattivazione dei siti. Il commissario va in scadenza.Le inondazioni delle ultime settimane in Emilia-Romagna hanno riattivato gli allarmi sul rischio idrogeologico in Italia. Ma a pochi è tornata in mente una storia rimossa del nostro Paese, quella dei 270 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi e acidi dell’ex impianto Eurex di riprocessamento del combustibile nucleare di Saluggia, dove risiede l’75% della radioattività italiana, in provincia di Vercelli. Se ci fosse un allagamento - e queste sostanze dovessero contaminare la Dora Riparia e quindi il fiume Po - bisognerebbe evacuare in fretta tutta la zona e si scatenerebbe un disastro ambientale che nel lontano 2001 il premio Nobel per la Fisica Carlo Rubbia aveva definito in una lettera come «confrontabile» con «i maggiori incidenti nucleari della storia recente». Dalla fine degli anni 70 a oggi la politica italiana ha continuato a perdere tempo, senza mai trovare una soluzione e senza mai nemmeno cominciare il vero decommissioning, cioè lo smantellamento delle isole nucleari delle nostre centrali e impianti ormai fermi dal 1987. La responsabilità di tutto questo ha un nome, Sogin, la società del Mef nata alla fine degli anni Novanta con il compito di mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti nella passata stagione nucleare (tra cui quelli di Saluggia) «entro il 2014» e di smantellare tutte le strutture «entro il 2019». Diventata negli anni un poltronificio dei partiti politici, molto ambita anche perché assegna appalti importanti e quindi può tornare molto utile per aiutare territori che possono diventare serbatoi di voto durante le elezioni, dallo scorso anno Sogin è stata commissariata. A deciderlo fu il governo Draghi, dopo le pressioni dell’allora ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani. Era il luglio del 2022 quando fu nominato come commissario l’ex prefetto di Genova Fiamma Spena, insieme con i vice Giuseppe Maresca e Angela Bracco. Il decreto era chiaro. Esponeva «tra gli obiettivi primari l’accelerazione delle procedure di decommissioning in particolare degli impianti e dei siti che presentano maggiori criticità». Prevedeva la decadenza dei rappresentanti in carica negli organi amministrativi e di controllo delle società controllate. Nel 2004, durante uno dei primi commissariamenti, quando fu nominato il generale Carlo Jean, si riuscì almeno a trasferire 125 metri cubi ad alta attività in una struttura bunkerizzata, il nuovo parco Serbatoi (Nps) per migliorare gli standard di sicurezza. Tra il 2022 e il 2023 ci si aspettava qualcosa di simile. Peccato che a quasi un anno di distanza non sia cambiato assolutamente nulla, anzi forse la situazione è peggiorata. E parte di questa responsabilità è anche delle scelte dell'ex ministro Cingolani, ora amministratore delegato di Leonardo. Del resto, il commissario Fiamma Spena, che avrebbe dovuto fare piazza pulita delle precedenti nomine del governo giallorosso di Giuseppe Conte, ha preferito non cambiare nulla. Così si è arrivati al paradosso che Emanuele Fontani, amministratore delegato nominato da Conte nel 2019, nonostante il commissariamento, sia rimasto in azienda e possa sfoggiare ancora adesso su Linkedin il suo incarico nella società del Mef. Anzi la commissaria a settembre scorso l’ha designato «coordinatore della task force per l’accelerazione del decommissioning». In un anno non è cambiato nulla. C’è chi sostiene che dietro questo immobilismo ci sia stato in realtà un accordo tra Draghi e Luigi Di Maio, l’ex grillino ora inviato nel Golfo Persico che spaccò i 5 Stelle la scorsa estate. A fronte del sacrificio, infatti, dentro Sogin il gruppo campano legato a Di Maio è rimasto inalterato. Non è un caso, infatti, che la direzione procurement & contract e quella legale della società siano entrambe dirette da Luigi Cerciello Renna, nato a Pomigliano D’Arco come l’ex politico grillino e da Di Maio imposto a Fontani. Nel curriculum di Cerciello non c’è traccia di esperienze connesse agli incarichi, ma spicca un dottorato in Scienze Agrarie, con studi sul pomodoro San Marzano. Cerciello si occupa della parte più delicata, ovvero gli appalti. È lui che ha gestito il contratto per la cementazione dei rifiuti liquidi di Saluggia. Fontani, dopo aver perso il precedente contratto con Saipem, nel 2020, da amministratore delegato aveva aggiudicato la gara al consorzio Cemex-2023, che aggregava una serie di imprese, tra cui il consorzio stabile Teorema di Napoli, specializzato nella costruzione di edifici residenziali. Ma nonostante i lavori a Saluggia fossero sostanzialmente fermi, Fontani e Cerciello, coadiuvati da Ivo Velletrani nella funzione di responsabile delle relazioni esterne, avevano continuato a dichiarare in ogni sede che tutto procedeva come previsto, «tranne un lievissimo ritardo». Quando, a dicembre dell’anno scorso, il contratto con Cem rx-2023 è stato risolto, in due anni era stato seguito meno del 2% dei lavori, che da contratto doveva terminare a fine 2023. Un mese fa è stata lanciata la nuova gara, l’ennesima, per la cementazione dei rifiuti a Saluggia. Il commissariamento è terminato. E sul futuro di Sogin non ci sono certezze. A oggi si calcola che sono stati bruciati almeno 4,5 miliardi di euro di fondi pubblici e il decommissioning è al 30%. Come? Quando agli inizi del nuovo millennio fu lanciata Sogin si pensò di prelevare i fondi direttamente dalla bolletta elettrica degli italiani. Il governo Meloni è riuscito a invertire il prelievo forzoso, trasferendo tutto alla fiscalità generale. E intanto il tempo passa. L’azienda è in una situazione molto difficile. I piani industriali dicono che il decommissioning finirà nel 2036, ma esperti stimano che si arriverà ben oltre il 2050, con costi fuori controllo.
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