
Oggi alla Camera l’ex ministro presenterà il suo libro senza il vagheggiato lockdown. Ripeterà che non vuole la Commissione d’inchiesta ma «gruppi di studio sulla pandemia». Una strada smentita dai suoi stessi atti. Sarà merito delle pressioni della Verità, o magari degli ultimi residui di senso del ridicolo che gli sono rimasti. Fatto sta che Roberto Speranza, alla fine, s’è visto costretto ad aprire al pubblico la presentazione del suo libro alla Camera, insieme all’altro campione dell’emergenza Covid, Giuseppe Conte, e alla segretaria del Pd, Elly Schlein. Mentre esce dal lockdown, però, la lettura del suo best seller mancato, Perché guariremo, porta a galla l’ennesima balla dell’ex assessore all’Urbanistica di Potenza.Nel volume, che nell’autunno 2020 dovette ritirare causa seconda ondata, l’uomo per cui la commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid è un «plotone d’esecuzione» ha avuto il coraggio di scrivere: «È un vero peccato che, anche fuori dall’emergenza, (...) non si riesca a impostare una discussione seria sul significato e sulle lezioni degli anni terribili della pandemia». È arrivato a invocare addirittura «gruppi di studio» che analizzino «punti di forza e di debolezza del nostro Servizio sanitario nazionale». Peccato che, quando era ministro, non abbia sfruttato l’occasione per condurre lo studio che dichiara di auspicare. In lungotevere Ripa, di relazioni sulla gestione del virus, non c’è manco l’ombra. Ne se qualcosa Robert Lingard, esperto di politiche pubbliche che aveva collaborato con la Procura di Bergamo. Lo scorso luglio, ha inoltrato varie richieste di accesso agli atti al dicastero. Guarda un po’, non gli sono mai pervenuti i documenti sulle cosiddette post valutazioni. Per la precisione, risultano disperse la post valutazione del piano di comunicazione della campagna vaccinale, la post valutazione del piano di comunicazione del rischio applicato durante la prima ondata, la post valutazione del piano di comunicazione del rischio applicato durante la seconda ondata e la post valutazione del piano di comunicazione del rischio riferito all’intera pandemia. Naturalmente, mancano analisi complessive sulla governance del Covid.Lo stato d’emergenza è finito il 31 marzo 2022, ma fino alla fine del suo mandato, Speranza non si è ma interrogato su cosa sia andato bene e cosa sia andato male. Nel libro pontifica, immagina esperti revisori, ma lui non ha mai prodotto mezza carta. E se l’ha fatto, l’ha tenuta segreta. Talmente segreta, che persino nel suo piano pandemico, quello riferito al periodo 2021-2023, c’erano solamente richiami generici alle lezioni che bisognava trarre dalla pandemia, ma nessun riferimento bibliografico, se non alle post valutazioni di Oms ed Ecdc. Certo, chi ha preso il suo posto - Orazio Schillaci - non s’è affrettato a elaborare una retrospettiva. Così, anche il piano 2024-2028 è orfano di riflessioni sull’efficacia delle misure anti Covid. Forse è il motivo per cui la bozza, che il ministro ha promesso di modificare, ripropone provvedimenti ormai screditati, a cominciare dal lockdown. La commissione, in Aula, avrà parecchio su cui lavorare. Altri organismi analoghi, all’estero, sono stati più fortunati: avevano in mano tanto materiale da consultare. Ad esempio, la commissione neozelandese - partita ad aprile 2023, mentre la nostra ha dovuto subire persino l’intervento a gamba tesa del Quirinale - poteva contare su 75 documenti di revisione già pronti, dai quali erano state ricavate 1.639 raccomandazioni. A noi italiani, il commissario Domenico Arcuri giurò: «Siamo stati straordinari». Ma se lo disse da solo. Contributi indipendenti che lo attestino non se ne sono visti. E il poco che esiste è monco. Proprio Arcuri dovrebbe ricordarsi dell’«Indagine sulla percezione della campagna vaccinale», portata avanti dal ministero di Speranza tra gennaio e inizio marzo 2021. Quando le somministrazioni procedevano a rilento, erano riservate alle categorie prioritarie e, vista la scarsità di dosi, i mostri da additare non erano i no vax, bensì i saltafila negli hub. Dopo quel rapporto precoce - ottenuto sempre dal pervicace Lingard - l’esecutivo non ha più sondato gli umori dei cittadini.Tuttavia, le linee guida Oms, diffuse nel 2020, suggerivano di «identificare e monitorare potenziali minacce» alla campagna di immunizzazioni, in modo tale da «pianificare come, quando e cosa comunicare e a chi». L’idea era che l’esitazione vaccinale andasse compresa nelle sue ragioni, per rassicurare il pubblico in caso di «incidente»: tipo «la pubblicazione di nuovi dati», di informazioni sugli effetti collaterali, oppure la «sospensione temporanea di un vaccino». Cosa che accadde davvero, nella primavera del 2021, con il preparato di Astrazeneca, imputato per alcune trombosi fatali. Il governo Draghi combinò un pasticcio: prima interruppe le somministrazioni; poi le sbloccò, ma solo negli over 60; alla fine, propinò addirittura il «mix and match», cioè il richiamo con un vaccino diverso rispetto a quello della prima dose.L’allora ministro della Salute, desideroso di discutere sulle «lezioni della pandemia», avrebbe potuto chiedersi se i pastrocchi con le iniezioni e il negazionismo sulle reazioni avverse avessero qualcosa a che fare con le titubanze dei renitanti. O forse era più facile insultarli, perseguitarli, sbeffeggiarli in quanto «no vax». Anziché riflettere sugli errori e correggerli, era più comodo trovare un capro espiatorio. Tanto che, oggi, il vero interrogativo non è «perché guariremo», ma perché siamo guariti nonostante Speranza e compagni.
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