2020-10-05
A Salvini per vincere serve l’archiviazione. Il processo fa a pezzi la democrazia
Matteo Salvini e l'avvocato Giulia Bongiorno (Ansa)
La decisione del gup di sentire Giuseppe Conte e i ministri sulla Gregoretti sottopone al giudizio dei magistrati scelte politiche insindacabili.Vorrei sbagliarmi, ma ho la netta sensazione che, contrariamente a quanto ritenuto da molti di coloro che sostengono le posizioni di Matteo Salvini, vi sia ben poco da rallegrarsi per la decisione assunta dal gup del tribunale di Catania, all'esito della prima udienza preliminare del processo per sequestro di persona a carico dell'ex ministro dell'interno, di disporre ulteriori indagini, comprensive, tra l'altro, dell'audizione del presidente Giuseppe Conte e dell'attuale ministro dell'interno, Luciana Lamorgese. Il pubblico ministero, come è noto, in perfetta coerenza con l'orientamento espresso fin dall'inizio della vicenda, aveva chiesto che il gup pronunciasse già da ora sentenza di non luogo a procedere per l'insussistenza del fatto reato. E ciò a onta del fatto che, per complesse ragioni procedurali che non è qui il caso di illustrare, avesse dovuto, dopo l'accoglimento da parte del Senato della richiesta di autorizzazione a procedere, avanzare egli stesso richiesta di rinvio a giudizio come adempimento formalmente necessario per la fissazione dell'udienza preliminare. Per quanto è dato sapere, la richiesta di non luogo a procedere si basava, sostanzialmente, come già la originaria richiesta di archiviazione, non accolta a suo tempo dal cosiddetto «tribunale dei ministri» di Catania, sulla ritenuta insindacabilità della condotta attribuita a Salvini, quale ministro dell'Interno, essendo stata la stessa adottata sulla base di scelte di natura politica effettuate nell'ambito del legittimo esercizio dell'attività di governo; scelte ovviamente opinabili ma comunque non lesive di diritti soggettivi di alcuno, a cominciare da quello dei «migranti» alla propria libertà personale e alla propria incolumità.Il gup di Catania, con la sua decisione, ha evidentemente dimostrato di non condividere tale impostazione, giacché, altrimenti, non avrebbe avuto ragione alcuna di disporre le ulteriori indagini ritenute necessarie - secondo quanto riportato dagli organi di stampa - per «accertare quanti e quali episodi di sbarchi di migranti simili sotto il profilo degli accadimenti a quello della nave Gregoretti si siano verificati nel periodo in cui l'inquisito rivestiva la carica di ministro dell'Interno estendendo l'accertamento anche ad altri sbarchi avvenuti successivamente anche quando è cambiata la compagine di governo (Conte 2)», nonché per «fare un'adeguata verifica adottata a livello governativo, in materia di immigrazione all'epoca dei fatti e ai rapporti con l'Ue anche con riferimento al cosiddetto “Patto di governo"». Tali indagini, infatti, anche se disposte, almeno in parte, in accoglimento di richieste avanzate dalla stessa difesa (in via subordinata, peraltro, rispetto a quella principale volta alla pronuncia di proscioglimento immediato), si rivelano, a ben vedere, come finalizzate a sottoporre a verifica giudiziaria non la natura di «scelta politica» attribuibile alla condotta di Salvini (di per sé già evidente e difficilmente contestabile), ma il merito di quella medesima scelta, sotto il profilo della sua conformità o meno a indirizzi concordati a livello governativo e, più ancora, a veri e presunti obblighi derivanti da norme o accordi internazionali. In tale prospettiva appare quindi del tutto ragionevole attendersi che, ove quella conformità, per un profilo o per l'altro, sia ritenuta dal giudice insussistente (eventualità tutt'altro che remota, dati i precedenti), venga da ciò stesso tratta la conclusione della sussistenza, invece, del reato. Il che, in linea di principio, dovrebbe essere, in realtà, escluso, dal momento che una scelta politica in ipotesi errata, non condivisa o contraria a obblighi di natura internazionale può dar luogo a varie forme di responsabilità politica ma certamente non può dar luogo, di per sé, alla configurabilità di un reato; così come, del resto, sulla base di principi di diritto assolutamente pacifici in dottrina e in giurisprudenza, non può, di per sé, costituire reato l'adozione di un provvedimento amministrativo o giurisdizionale da qualificarsi come illegittimo per violazione di legge. Ma sulla effettiva operatività del suddetto principio, nel caso in questione sarebbe assai azzardato fare pieno affidamento, dovendosi piuttosto ragionevolmente temere che esso venga disatteso; ciò in linea, del resto, con un indirizzo generale che vede sempre più affermarsi la sottomissione dell'azione politica al controllo, formalmente di legittimità ma sostanzialmente di merito, da parte della magistratura. Il che equivale, come già innumerevoli volte rilevato da voci autorevoli, anche di diverso orientamento politico, alla fine «tout court» del sistema democratico.Pietro Dubolino(Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione)
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