2020-01-28
A Chernobyl non sono mai esplosi i tumori
I dati delle agenzie Onu e ucraine smentiscono la diceria secondo cui il famigerato disastro nucleare avrebbe causato un boom di malattie neoplastiche. E tanti casi di cancro alla tiroide si sarebbero evitati se i comunisti avessero agito anziché insabbiare.Tutti associano l'incidente del 1986 alla centrale nucleare di Chernobyl, Ucraina, all'epoca parte dell'Unione Sovietica, a 16 chilometri dal confine bielorusso, con i danni severi sulla salute che continuerebbero ancora oggi, e la popolazione di quella regione è ritenuta a incrementato rischio di malattie, leucemie e altri tumori. Ma le cose stanno proprio così dopo 34 anni?È noto che l'esplosione avvenne per una maldestra sperimentazione finita male, con piena responsabilità del regime dell'epoca (il direttore della centrale era il figlio del segretario del partito comunista dell'Ucraina), mentre l'allora presidente dell'Urss, Mikhail Gorbaciov, quello della «perestroika» e della «glasnost», cioè della trasparenza, cercò di tenere nascosto l'incidente per diversi giorni. Finché la Svezia si accorse dell'anomala nube tossica. Specialmente in Italia il tutto fu contrabbandato come il fallimento del nucleare e con relativo referendum (1987) fu vietata la determinazione delle aree suscettibili di insediamento di una centrale nucleare nel nostro Paese. La contaminazione radioattiva causata dall'esplosione ha contaminato gran parte del Nord Europa, dell'Europa orientale, dell'Europa centrale fino agli Stati Uniti, con la maggior parte del fallout in Ucraina, Bielorussia e Federazione Russa. Tra i contaminanti più diffusi c'erano gli isotopi di iodio e di cesio. Sono noti gli effetti delle radiazioni ionizzanti sui tumori (in particolare dei polmoni, della mammella, dello stomaco, della vescica, dei reni e la leucemia), ma quali sono stati gli effetti a lungo termine delle radiazioni di Chernobyl sull'incidenza del cancro? Un rapporto del Chernobyl forum redatto da agenzie Onu tra le quali l'Oms, conta 65 morti accertati e più di 4.000 casi di tumore alla tiroide fra le persone che avevano tra 0 e 18 anni di età al tempo del disastro, gran parte dei quali probabilmente attribuibili alle radiazioni, e in maggioranza trattati con evoluzione favorevole. I dati ufficiali dell'Oms sono contestati da associazioni antinucleariste internazionali come Greenpeace e i Verdi, che parlano di milioni di morti a livello mondiale. Gli studi epidemiologici si sono concentrati per lo più sugli effetti dell'esposizione radioattiva a iodio 131 sul carcinoma della tiroide, effetti che peraltro si sarebbero evitati se entro qualche ora dall'incidente fosse stato somministrato iodio alla popolazione vicina alla centrale nucleare. Questo semplice intervento avrebbe protetto la tiroide dall'azione dello iodio radioattivo. Ora è ben documentato che i bambini e gli adolescenti esposti a iodio radioattivo dopo l'incidente hanno avuto un aumento del rischio di cancro alla tiroide dipendente dalla dose assorbita, anche se la mortalità per questa patologia è stata praticamente nulla, in quanto i trattamenti messi a disposizione di questi soggetti sono stati efficaci. Prendendo spunto dell'elevato rischio di leucemia rilevato tra i sopravvissuti ai bombardamenti atomici in Giappone, c'è stato anche un notevole interesse sull'incidenza di neoplasie ematologiche dopo Chernobyl, ma qui gli studi non hanno trovato prova di un aumento delle leucemie infantili e degli adulti, tranne che in una piccola popolazione di liquidators, cioè le 600.000 persone - tra vigili del fuoco, medici e militari - che erano intervenute immediatamente ed eroicamente per domare l'incendio della centrale. Per quanto riguarda i tumori solidi non tiroidei, l'effetto delle radiazioni di Chernobyl non è evidente. Anche perché è necessario considerare un periodo di latenza minimo più lungo per i tumori solidi eventualmente indotti dalle radiazioni: decenni, invece del minimo di 4 anni del cancro alla tiroide e di 2-7 anni delle leucemie. Molti fattori, tra cui screening e ulteriori esposizioni ambientali, possono essere motivo dell'aumento dell'incidenza del cancro in questa regione. La stessa moltiplicazione di rilevamenti, segnalazioni e diagnosi effettuati dopo Chernobyl potrebbe essere risultata in tassi di incidenza superiori. Il National cancer registry of Ukraine è la rete dei registri dei tumori basata sulle province amministrative del Paese che monitora l'incidenza e la mortalità per cancro: uno studio condotto da un gruppo di ricerca americano, ucraino e italiano e pubblicato su una rivista dell'American society of clinical oncology (Asco) ha concluso che, nonostante l'esistenza da oltre 20 anni di tale registro, vi sono stati aumenti statisticamente significativi dei tassi di incidenza dei tumori del colon-retto, del rene, della mammella e del collo dell'utero nelle donne e della prostata negli uomini, con contemporanea e significativa riduzione dei tumori dello stomaco e del polmone per tutti gli ucraini, sia per gli uomini che per le donne. Queste tendenze però sono paragonabili a quelle del cancro nei Paesi vicini, anche in quelli in prossimità dell'incidente di Chernobyl, e a quelle riscontrabili negli Stati Uniti in termini di direzione del cambiamento, sebbene negli Stati Uniti si siano verificati notevoli diminuzioni nell'incidenza del cancro del colon e del collo dell'utero, mentre in Ucraina ne sono stati osservati aumenti. Questo però può essere ben spiegato con la presenza di programmi di screening, tra cui pap test e colonscopie, che rilevano lesioni premaligne, già in uso clinico molto prima del 1999 negli Stati Uniti e non in Ucraina e Bielorussia. In conclusione, non vi è evidenza scientifica che il disastro di Chernobyl abbia causato tra i residenti di Bielorussia, Federazione Russa e Ucraina un incremento di incidenza dei tumori (escluso quello della tiroide) né del tasso di mortalità, né di insorgenza di patologie che potrebbero essere collegate all'esposizione di radiazioni. Molti altri problemi alla salute non direttamente collegabili con l'esposizione alle radiazioni sono stati riscontrati nella popolazione, in particolare un incremento dei livelli di ansia e depressione, con tassi di alcolismo e di suicidi nettamente incrementati, anche a causa della diffusione di notizie terroristiche che vanno assolutamente contrastare con la verità dei fatti. L'azione di sorveglianza epidemiologica condotta da Oms, Unscear (comitato Onu per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) e dagli istituti superiori di sanità di Russia, Bielorussia e Ucraina su «liquidatori», evacuati e popolazione residente (5 milioni) a lungo raggio, non ha evidenziato aumento dopo il disastro né di leucemie, né di tumori solidi altri che il tumore alla tiroide, né infine di anomalie genetiche, malformazioni congenite alla nascita, aborti spontanei o riduzione della fertilità. Sono certi, invece, i gravi danni subiti dai liquidators, anche se in una percentuale abbastanza contenuta: molti di questi eroici lavoratori sono in vita senza gravi patologie. Pertanto sarebbe il caso di smetterla di parlare delle leucemie e dei tumori causati da Chernobyl, perché ciò non corrisponde alla verità, secondo i risultati del registro tumori ucraino e non solo.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)