(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.
«Spara a Giorgia». Accanto, una stella a cinque punte, firmata con la sigla Br. Un messaggio diretto al premier Giorgia Meloni, sintetico e brutale, scritto su un muro del lungomare di Marina di Pietrasanta. A rilanciare la foto sui social ci ha pensato il responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, il deputato Giovanni Donzelli, che denuncia con forza il gesto «firma dell’estremismo comunista delle brigate rosse». «Solidarietà a Giorgia», aggiunge: «Il linguaggio di odio di certa sinistra fa guadagnare qualche ospitata televisiva e molti like, ma rischia di fomentare i facinorosi e far ripiombare l’Italia in un clima che non vorremo mai più rivivere. Giorgia non si farà intimidire. Non ci fermeremo».
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
Matteo Salvini, il gioielliere Mario Roggero è stato condannato dalla Corte di appello del tribunale di Torino a quasi 15 anni di galera e a un risarcimento di mezzo milione. Cosa pensa sul fatto, e cosa pensa di fare?
«Ho sentito Mario e gli ho ribadito la solidarietà della Lega: se potremo essergli vicini, anche economicamente, lo faremo. Nel 2019 abbiamo approvato una riforma che ha introdotto il principio che la difesa è sempre legittima. È stato un grande risultato della Lega: prevede la scriminante del grave turbamento delle vittime che sparano ai delinquenti e la possibilità di essere risarciti dallo Stato per le spese processuali se assolti. Mario purtroppo non ha avuto questa sorte: una parte di discrezionalità da parte dei magistrati è sempre possibile. Ora abbiamo proposto un ulteriore passo in avanti, a tutela di cittadini e forze dell’ordine: un cittadino che fa fuoco per difendersi da un’aggressione non dovrà più essere indagato in automatico, e varrà anche per gli agenti in servizio».
Il referendum sulla giustizia si avvicina. La Lega farà campagna attiva? Il governo rischia?
«La Lega sta già facendo campagna attiva: tutte le nostre sezioni diventeranno comitati per il Sì. Quanto al governo, non rischia: andremo avanti fino alla fine, e la vittoria del Sì sarà una vittoria degli italiani: fuori la politica e le correnti dai Tribunali».
Il governo dovrà decidere se prorogare gli aiuti militari all’Ucraina. Come Lega avete espresso la vostra contrarietà. Giorgia Meloni rassicura che il decreto arriverà: siamo al redde rationem per la maggioranza?
«Sulle armi e sulla prosecuzione della guerra la Lega da tempo invita alla prudenza, auspicando che le parole del Papa siano ascoltate e che il piano di Trump possa risultare efficace, come in Medioriente. Abbiamo sempre detto che mandare armi non avrebbe portato la pace, e che le sanzioni più che mettere in ginocchio Putin avrebbero danneggiato migliaia di aziende italiane ed europee. Così è stato. La nostra lealtà alla maggioranza è indiscutibile, proprio per questo dopo 12 pacchetti di armi e 19 di sanzioni è giusto riflettere. E la corruzione che sta emergendo in Ucraina, con uomini vicini a Zelensky che si arricchivano mentre mandavano migliaia di ragazzi a morire al fronte, non può lasciarci indifferenti».
Tajani ha detto che l’Italia chiederà di usare il Mes per finanziare l’Ucraina. Direte sì?
«Mai. Mi pare peraltro che gli stessi portavoce del Mes abbiano escluso l’opzione immaginata da Tajani. Per la Lega il Mes dovrebbe invece essere venduto per abbassare le tasse degli italiani, abbiamo miliardi di euro bloccati in quella operazione che non servirà mai a nessuno. Chiedo alla maggioranza di fare questa scelta coraggiosa».
Trump elabora una nuova dottrina e critica profondamente l’Ue, ma sembra lasciarla anche al suo destino. Tornano le suggestioni dell’esercito unico europeo: la preoccupa la cosa?
«Non sono d’accordo con un esercito europeo: se esistesse saremmo agli ordini di Parigi o Berlino e i nostri figli sarebbero già in guerra. Credo sia doveroso rafforzare la sicurezza interna italiana con l’assunzione di forze dell’ordine per proteggere le nostre città e i nostri confini, minacciati dall’immigrazione clandestina da Sud e non certo da cingolati o sommergibili sovietici. La guerra quotidiana ce l’abbiamo nelle nostre città: quella che trafficanti di esseri umani e mafie ci hanno dichiarato usando l’immigrazione clandestina, specie di matrice islamica».
I treni li prendiamo tutti. State facendo molti lavori. Innegabile. Ma è innegabile che i ritardi siano tanti. Non trova?
«Anche un ritardo sarebbe di troppo, ma stamattina noi abbiamo 1.300 cantieri aperti sui binari di tutta Italia, il massimo storico. Lavori necessari per garantire più sicurezza e più velocità: se non li facessimo fra pochi anni l’Italia sarebbe ferma. Nonostante questo sforzo, ogni giorno viaggiano 10.000 treni e un milione e mezzo di cittadini. La puntualità sta migliorando col diminuire dei cantieri. È un prezzo che paghiamo perché nei decenni precedenti non sono stati fatti i lavori necessari. Peraltro, l’85% degli italiani viaggia sui regionali, che a novembre hanno toccato il 90% di puntualità».
Stazioni, ma anche strade. L’esercito va utilizzato per altri compiti, sostiene il ministro Crosetto. Ma il presidente La Russa la pensa diversamente. La Lega?
«“Strade sicure” non va tagliata ma aumentata. La Lega ha proposto di aumentare i militari nelle strade già dal 2026 - oggi sono 6.800 -, altro che toglierli. Abbiamo bisogno di più agenti e soldati nelle piazze, sui mezzi pubblici e nei quartieri popolari, non a Kiev o a Mosca. Per offrire maggiore sicurezza su treni e stazioni abbiamo concretizzato un piano per rafforzare Fs Security: vigilantes per la sicurezza dei passeggeri che offrono risultati convincenti anche come prevenzione».
Esponenti Fiom menano i colleghi della Uilm: il clima la preoccupa?
«Certo: mentre perfino Hamas è stato costretto a sedersi a un tavolo di trattativa, in Italia ci sono irresponsabili che non si rassegnano e inneggiano alla violenza. Gente che se ne frega della Palestina e dei bimbi di Gaza: vogliono solo creare problemi al governo e bloccare strade e ferrovie. Nessuna tolleranza. A difendere la libertà sempre e comunque, ripudiando la violenza o la censura, siamo rimasti in pochi: sono contento che in questa battaglia ci siano la Lega e La Verità».
La legge di bilancio sarà approvata a breve. Ha scelto un dossier fondamentale?
«Dico pace fiscale: una attesa, storica e definitiva rottamazione di tutte le cartelle fino al 31 dicembre 2023. Si pagheranno in nove anni, con rate uguali e senza sanzioni: una boccata di ossigeno per milioni di cittadini perbene. Ricordo che abbiamo escluso i furbetti. Essere riusciti ad ottenere dalle banche circa dieci miliardi con cui tagliare tasse e assumere poliziotti è un’altra vittoria della Lega».
Dopo il parere della Bce sull’emendamento Malan sull’oro, cosa farà il ministro Giorgetti?
«L’oro non è di Bankitalia, è di proprietà degli italiani: meglio ricordarlo sempre. Anche in questo caso sono convinto che il governo troverà una soluzione con la consueta concretezza, la credibilità e la serietà del ministro Giorgetti sono un valore aggiunto per l’Italia e per la Lega».
Open Arms. L’11 dicembre si avvicina. La Cassazione deciderà su di lei. Preoccupato?
«Non sono preoccupato ma arrabbiato: è incredibile che dopo più di quattro anni di processo, e nonostante la piena assoluzione decisa dal tribunale di Palermo, qualcuno insista alla ricerca di una condanna politica. Difendere i confini non può essere un reato. Non mi spaventa il carcere, ma il caos che un’eventuale condanna scatenerebbe in Italia. Diventeremmo il campo profughi d’Europa».
Di fatto però, rispetto ai tempi di Lamorgese, non ci sono miglioramenti sostanziali. Cosa non ha funzionato?
«Da ministro dell’Interno ho tagliato del 90% gli sbarchi e i morti in mare, e ne sono fiero. Piantedosi sta lavorando tanto, le espulsioni aumentano e gli sbarchi si riducono, ma viene dopo un ministro inadeguato che ha smontato i decreti sicurezza e rispalancato i porti, costringendoci a lavorare il doppio. Senza contare le sentenze di giudici di sinistra che fanno battaglia politica sull’immigrazione, e un’Europa spesso latitante».
Si parla molto di remigrazione. È una prospettiva possibile?
«Sì, e ci sto lavorando. Sabato 18 aprile chiameremo in piazza Duomo a Milano patrioti da tutta Italia e da tutta Europa, per una grande manifestazione in difesa dei valori, dei diritti, delle tradizioni, delle libertà e della sicurezza dell’Occidente. La nostra civiltà rischia di morire per mano dell’Islamismo, del wokismo, del greenismo gretino e dell’ipocrita politica buonista di sinistra. Abbiamo il dovere di fermare questa deriva, per il bene dei nostri figli. Remigrazione? Sì».
Autonomia differenziata, a che punto siamo?
«Ho fatto la prima tessera della Lega nel 1990, facevo il Classico, proprio per l’autonomia. Dopo trent’anni ci siamo: le prime intese con le Regioni sono state firmate da Calderoli 15 giorni fa, le bozze preliminari si potranno portare in Cdm a gennaio. Abbiamo inserito in manovra i passaggi per realizzare il federalismo fiscale e in commissione al Senato va avanti anche l’esame del ddl delega per identificare tutti gli altri livelli essenziali delle prestazioni. Significa liberare fondi per la Sanità, per assumere medici e tagliare le liste di attesa».
Alle Regionali siete andati male in Toscana, ma oltre le aspettative in Veneto. Quanto vale la Lega?
«Più di quanto dicano i sondaggi. In Toscana il risultato è stato deludente e siamo già ripartiti, ma ottenere da soli il 36% in Veneto, avvicinare il 10% in Calabria, superare l’8% in Puglia prendendo più dei 5 stelle, oltrepassare i 100.000 voti in Campania sono risultati incredibili. Stiamo aumentando iscritti in tutta Italia, siamo parte di un’alleanza internazionale potente, abbiamo coerenza, idee, valori e obiettivi chiari. Alle elezioni del 2027 saremo determinanti per la vittoria del centrodestra».
Zaia immagina un modello Cdu- Csu per la Lega. Un partito «nordista» associato a uno nazionale nelle altre Regioni. Che ne pensa?
«Tutto quello che può far crescere la Lega mi interessa e con Zaia il rapporto è ottimo e quotidiano. Le mie priorità ora sono approvare una buona manovra, realizzare al meglio le Olimpiadi Milano-Cortina, vincere il referendum sulla giustizia e le elezioni comunali di primavera da Venezia a Reggio Calabria, da Lecco a Macerata; approvare una buona legge elettorale, preparare programma e squadra per le Politiche. Avremo modo e tempo di parlare anche dell’organizzazione interna del partito».
Vero che non ama il proporzionale col premio di maggioranza?
«A me piace ciò che dà valore al voto degli italiani. Proporzionale con premio di maggioranza? Perché no. Preferenze, alternanze, listoni? Si troverà una quadra».
La Lega esprimerà il candidato Presidente anche in Lombardia e Friuli-Venezia Giulia?
«Ha poco senso parlare adesso di elezioni che ci saranno fra due o tre anni. Chiedo invece al centrodestra di scegliere, bene e in fretta, i candidati sindaci delle grandi città che andranno al voto fra un anno e mezzo, a partire dalla mia Milano».
Prima Mogherini e poi Moretti. Bruxelles sta diventando «terra ostile» anche per il Pd.
«Non festeggio per le disavventure altrui, sono e rimango garantista. Certo, a Bruxelles negli anni la sinistra ha costruito una macchina burocratica, economica e politica infernale. Trump e Musk hanno detto quello che molti pensano: l’euro ci ha rafforzato o indebolito? L’Unione europea ci ha portato forza o debolezza? Nascondere la testa sotto la sabbia è da sciocchi. Sono orgoglioso che le idee, le denunce e le soluzioni proposte dalla Lega, che fino a pochi mesi fa venivano bollate come follie, piano piano si stiano rivelando sagge e veritiere. Andiamo avanti, buona Immacolata Concezione e grazie per la pazienza a ognuno di voi».
Pagliuzze e lenti al contrario, è sempre una questione di prospettiva. Sembra di sentirla Elly Schlein mentre lancia «l’allarme democratico» su ogni emendamento bocciato dall’esecutivo; sembra di vederla la ditta Bonelli&Fratoianni mentre sfila sotto lo striscione «pacifismo e resistenza» anche al corteo contro i test di Medicina all’università. Dal primo giorno del governo di Giorgia Meloni, la sinistra (con tutte le sue sfumature di rosso) mette in guardia il popolo dalle derive autoritarie, dalle tentazioni squadriste, dagli eccessi della polizia col manganello, dalle «coazioni a ripetere» in camicia ovviamente nera. Poi, liberata la coscienza, scende in piazza e mena. Scende in piazza e brucia i libri. Scende in piazza e fa scoppiare bombe chiodate in mezzo ai poliziotti. Con la consueta giustificazione: c’è il compagno che bisbiglia e quello che sbaglia.
Non si tratta di una provocazione dadaista, è la fotografia di un 2025 cominciato con il proposito di Maurizio Landini: «È arrivato il momento di una vera rivolta sociale». E concluso (forse, magari, chissà) con l’inseguimento a Genova di alcuni energumeni Fiom ai delegati della Uilm, con corollario artistico di calci e pugni in testa. Perché? Andavano convinti a fare sciopero. Mentre osservano con la lente le pagliuzze negli occhi degli altri, i pacifisti per decreto non hanno paura di mostrare travi grandi come l’albero maestro dell’Amerigo Vespucci. Nessuno gliele fa notare, men che meno i media compiacenti. Ergo, non esistono. Quindi si può procedere a esibire la mercanzia in ogni settore merceologico dell’opposizione violenta.
Violenta nelle manifestazioni pubbliche dove lo scontro fisico è tornato ad essere - dopo anni di concertazione con i questori - un imperativo categorico. In nome della pace e della causa Pro Pal si sfasciano vetrine, si bruciano automobili, si devastano luoghi pubblici. Centri sociali e Collettivi studenteschi di estrema sinistra sono liberi di pascolare nelle città (Roma, Milano, Genova, Torino ma anche Pisa, Venezia, Bari) cercando lo scontro con le forze dell’ordine perché «la rivolta sociale» chiamata da Landini non è un pranzo di gala.
Nel 2024 sono finiti all’ospedale 273 agenti, +127% rispetto all’anno precedente, con tendenza al peggioramento significativo nell’anno che sta per concludersi; per ora i feriti in divisa sono 325 (+52%). I fascisti sono gli altri, nel frattempo i manovali della rivoluzione permanente menano che è un piacere. Occhio alle pagliuzze e occhi neri.
L’esempio più recente di doppia morale è stato l’assalto alla redazione de La Stampa di Torino da parte dei black block di Askatasuna. Stupefacente la leggiadra copertura politica da parte del sindaco del Pd Stefano Lo Russo, che mentre i leonka torinesi devastavano gli uffici portava avanti il progetto per trasformare il centro sociale in «bene comune». Con la collaborazione degli ultrà da cittadinanza onoraria come Francesca Albanese, che ha preso lo spunto per definire «un monito ai giornalisti» il raid dei teppisti comunisti.
Identico principio per la violenza antisemita, ricomparsa sotto le keffiah e condita con l’ipocrisia di chi oggi governa la piazza usandola come arma contundente per governare domani il Paese. Ebrei all’indice, genocidio palestinese, Israele paragonato alla Germania nazista, la sinagoga di Monteverde a Roma imbrattata: a messaggi brutali seguono azioni brutali. E l’album di famiglia è sempre lo stesso. La sinistra radicale di Schlein si chiama fuori ma mostra la corda sul disegno di legge di Graziano Delrio (contrasto all’antisemitismo) per non irritare i Pro Pal. «Era un’iniziativa personale, non del partito», ha preso le distanze il Correntone del Nazareno. Come se stesse difendendo gli estremisti che al grido di «fuori i sionisti dall’università» a Ca’ Foscari hanno impedito a Emanuele Fiano di parlare.
«Mi hanno fatto il gesto della P38, anche mio padre fu zittito durante il fascismo», ha detto quasi in lacrime l’ex deputato dem. Poi, per un curioso riflesso condizionato antifa, ha fatto anche lui il tifo per la cacciata dalla rassegna libraria «Più libri più liberi» della piccola casa editrice di destra Passaggio al bosco, immediatamente mascariata di «nazifascismo». Caro Fiano, questa è coerenza. Così, oltre alla violenza fisica e a quella ideologica, ecco che nelle pieghe del progressismo illuminato si annida la violenza culturale. Con gli intellettuali cosiddetti liberal a reggere la coda alla censura: Alessandro Barbero, Antonio Scurati, Corrado Augias, il triste fumettista Zerocalcare.
Ottanta campioni del pluralismo a senso unico schierati a zona integrale, con in mano il fiammifero per mandare al rogo titoli che non piacciono, junk ideology, impraticabile per gente che si pretende alla moda. La kultur che passa la frontiera senza il rischio del controllo è quella delle idee liofilizzate: marxismo elementare, resistenzialismo apologetico, terzomondismo da delegata Onu, anticapitalismo studiato sui bigini. Dove la Storia non è più una scienza ma un genere letterario. Il brodo di coltura del perfetto doganiere del pensiero, che grida alla dittatura degli altri prima di usare la clava in proprio.
Lep. Sembra il fratello del Lem lunare. In realtà è qualcosa di molto terreno. Serve per attuare l’autonomia differenziata ma soprattutto per dare a tutta Italia un minimo sindacale di servizi pubblici. Lep sta per Livelli essenziali di prestazione. Attualmente, senza autonomia, gli ospedali non garantiscono la stessa efficienza da Nord a Sud. Peggio: in alcune regioni meridionali non c’è neppure il servizio mensa a scuola. Non parliamo della Rsa o degli asili nido... ci sono e non ci sono. Ecco, con i Lep queste mancanze, specialmente nel Mezzogiorno, dovrebbero sparire dato che saranno fissati dei criteri di base del tipo: un asilo ogni tot abitanti, una casa di riposo ogni tot anziani. Stiamo semplificando ma più o meno è così.
Certo, serviranno dei soldi per adeguare i servizi offerti. Ma non è detto che ne serviranno tanti, dato che spesso alcuni governatori hanno le risorse ma le spendono male o non le spendono, a differenza di altri presidenti di Regione che vedono invece arrivare nelle proprie strutture sanitarie dei pazienti provenienti proprio dalle zone dove i quattrini pubblici vengono male investiti.
Altra cosa: i Lep sono previsti nella Costituzione, quella riformata nel 2001 dal centrosinistra e confermata da un referendum Nessun governo, compresi quelli progressisti, li ha mai attuati. L’unico che da tre anni ci prova, nonostante raccolte firme di protesta o interventi della Consulta, è l’esecutivo Meloni nella persona del ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli. Per non perdere tutta la legislatura senza produrre nulla, l’esponente leghista ha fatto inserire nella legge di Bilancio alcuni articoli che facciano partire i criteri dei Lep. Finalmente dopo 24 anni di attesa. Il Pd però vorrebbe far aspettare i cittadini del Sud altri anni. Tant’è che Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, ha minacciato «ostruzionismo a oltranza» se non verranno stralciati i Lep, a costo di andare anche in «esercizio provvisorio». Insomma, il partito di Elly Schlein è disposto a far saltare il taglio dell’Irpef pur di non rispettare una norma costituzionale, quella Carta che a sinistra venerano più del Vangelo.
Perché questa paura di una riforma? I Lep, ricorda Calderoli, servono anche per centrare un obiettivo del Pnrr, il federalismo fiscale, entro giugno 2026. Pnrr, ricordiamolo, scritto dal governo Conte 2 e modificato da quello Draghi, nei quali il Pd era forza predominante. Forse i governatori del campo largo temono di confrontarsi con la responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche?
Il ministro leghista comunque tira dritto, forte anche della difesa di Fratelli d’Italia sui Lep nella legge di bilancio. E parallelamente martedì inizieranno le audizioni della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama sul disegno di legge di delega al governo per la determinazione dei Lep. L’ipotesi, secondo quanto emerso all’esito dell’ultima riunione, è quella di avviare il ciclo di audizioni, per poi proseguirlo a gennaio. Secondo quanto raccolto da Public Policy saranno sentiti Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e presidente del comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei Lep. E ancora: l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Anci, l’Unione delle province d’Italia, Cgil, Cisl, Uil la cassa degli infermieri d’Italia, l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo Svimez, e persino Antonino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Audizioni istituzionali, democratiche, aperte al confronto. Quello che il Pd non vuole sull’autonomia.

