2024-10-09
A 42 anni dall'attentato alla Sinagoga restano i misteri sui legami tra l'Italia e i terroristi palestinesi
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Ansa
Ricorre l'anniversario dell'attacco di cinque terroristi palestinesi che provocò la morte di un bambino di appena due anni, Stefano Gaj Tachè. I feriti furono 38. La procura di Roma ha riaperto l'indagine e tra i nodi da sciogliere anche i legami del Sismi con il fronte di liberazione palestinese.
Ricorre l'anniversario dell'attacco di cinque terroristi palestinesi che provocò la morte di un bambino di appena due anni, Stefano Gaj Tachè. I feriti furono 38. La procura di Roma ha riaperto l'indagine e tra i nodi da sciogliere anche i legami del Sismi con il fronte di liberazione palestinese.A distanza di 42 anni dall’attentato alla Sinagoga di Roma, era il 9 ottobre del 1982, di sicuro c’è probabilmente quella tragedia poteva essere sventata dalle nostre forze di sicurezza. Nel 2021, infatti, alcuni documenti ufficiali del Sisde (attuale Aisi) che sono stati desecretati in questi ultimi anni hanno confermato che all’epoca c’erano state almeno ben sedici segnalazioni di possibili attentati durante le festività ebraiche. La stessa comunità aveva chiesto protezione, ma non era arrivata. Il 9 ottobre è Shemini Atzeret, il giorno in cui i bambini ricevono una benedizione speciale, secondo la tradizione romana. «Nonostante questo e nonostante le molte richieste della comunità ebraica di incrementare le misure di sicurezza» ricordava la giornalista Maria Antonietta Calabrò in un articolo, «proprio quel giorno persino la singola camionetta che usualmente stazionava davanti al Tempio, quella mattina venne rimossa. Circostanza confermata in un'intervista a Repubblica da uno dei sopravvissuti». Per questo, si chiede Calabrò. «Perchè? Come mai il Viminale non dette seguito alle informative del Sisde? Cosa può dire il Ministro dell'Interno dell'epoca Virginio Rognoni oggi?». Di sicuro si tratta di una delle pagine più tristi del secondo dopoguerra per Roma, ma soprattutto per la comunità ebraica della Capitale. Fu un commando di cinque terroristi di origine palestinese, appartenente al Consiglio Rivoluzionario Al Fatah di Abu Nidal, a lanciare tre bombe intorno a mezzogiorno e a esplodere raffiche di mitra sulla folla. I cinque erano in abito elegante, per non destare alcun sospetto e anche perché era sabato, shabbat ma appunto si celebrava la benedizione dei bambini. C’erano oltre 300 persone nel Tempio. L’attentato fu organizzato nei minimi dettagli. Via Catalana fu bloccata da una parte del commando, mentre altri si misero all’ingresso. A morire fu un bimbo di appena due anni. Si chiamava Stefano Gaj Tachè, mentre i feriti furono 37. Erano gli anni, come allora, dove si discuteva degli attacchi di Israele contro il Libano. A giugno la Cgil, durante una manifestazione, aveva persino inscenato un funerale sotto la Sinagoga per poi scusarsi poco dopo. «Molti dirigenti sindacali sottovalutarono la gravità dell'episodio» scriveva in un articolo su Italia Oggi, a gennaio, Michele Magno, ex responsabile del dipartimento internazionale della Cgil. «La stessa lettera con cui Lama replicava alla condanna del rabbino Elio Toaff conteneva dei passaggi discutibili. La verità è che allora molti di noi erano vicini alle sofferenze del popolo palestinese e lontani dalle ragioni di Israele». Dei cinque terroristi responsabili dell'assalto ne venne identificato solo uno, Al Zomar, nonostante un arresto in Grecia non venne estradato in Italia e pare resto in Libia fino alla caduta di Gheddafi: è stato condannato in contumacia. Nel 2020 la procura di Roma ha riaperto l’indagine. E lo scorso anno i magistrati, che procedono per il reato di strage, hanno indagato Walid Abdulrahman Abou Zayed, Gamal Tawfik Arabe El Arabi, Mahmoud Khader Abed Adra e Nizar Tawfiq Mussa Hamada. Il ricordo dell’attentato alla Sinagoga di Roma ci riporta anche agli anni bui del terrorismo, quando l’Italia era un punto di passaggio anche per i palestinesi. Nel documento conclusivo della commissione Mitrokhin del 2006 e della seconda commissione Moro, presieduta da Giuseppe Fioroni, si parla molto della vicinanza della vicinanza dei nostri servizi segreti alle forze di liberazione della Palestina. «A Beirut, operava il colonnello Stefano Giovannone, capocentro Sismi. La sua collaborazione con il servizio italiano era iniziata nel 1965, in Somalia. Da allora, la sua area operativa si estendeva al Medio Oriente dove aveva creato una fitta rete informativa che gli garantiva un flusso di informazioni costante» si legge nel testo. «Nei momenti critici dopo le guerre arabo-israeliane del 1967 e del 1973, col sostegno dell'onorevole Aldo Moro, sia da presidente del Consiglio sia da ministro degli esteri Giovannone si adopero per stabilire e avviare contatti con l'organizzazione per la liberazione della palestina». Una storia complessa che riguarda e tocca molti misteri d’Italia, non solo l’attentato alla Sinagoga di Roma nel 1982, ma anche la strage di Bologna e soprattutto il sequestro di Aldo Moro.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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