True
2020-08-29
«200.000 docenti a casa? Macché, sono il doppio. Sta per esplodere la bomba»
Lucia Azzolina (Antonio Masiello/Getty Images)
Mondo scolastico sempre più nel caos. A peggiorare la drammatica carenza di organico ci sono i professori che chiedono di non tornare in aula per paura del coronavirus. Così, il 14 settembre ad accogliere gli studenti mancheranno all'appello non 200.000 insegnanti «ma ben il doppio», afferma Pino Turi, segretario nazionale della Uil scuola. «Prevediamo che almeno il 50% dei docenti che rientrano tra i “lavoratori fragili" saranno consigliati dal loro medico di rimanere a casa. Stiamo parlando di almeno 200.000 persone decise a difendere il loro diritto alla salute, il ministro Azzolina nemmeno immagina quale bomba stia per scoppiare». Ai 200.000 che mancano strutturalmente all'appello perché mai assunti, quindi, vanno sommati altrettanti che daranno forfait per ragioni legate al Covid. Centinaia di docenti solo nel Veneto, una trentina a Salerno, hanno già chiesto di non rientrare a settembre perché soffrono di asma, di allergie, certificano patologie cardiovascolari o respiratorie, malattie croniche, stanno eseguendo cicli di chemioterapie. Lo stesso Vademecum del 21 agosto, pubblicato dall'Istituto superiore di sanità, ha ricordato che in base alla sorveglianza sanitaria contenuta nel decreto legge del maggio scorso, diventato legge a luglio, sono previste condizioni che «possano aumentare il rischio di contagio, l'età e gli eventuali stati di comorbilità». I datori di lavoro pubblici, perciò in questo caso i presidi, devono tener conto «dello stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti (due o più patologie) che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto, anche rispetto al rischio di esposizione a contagio». Devono nominare un medico competente, che effettui le visite mediche e decida se il soggetto può lavorare con dispositivi a più alta protezione o restare a casa. Perplessità erano sorte subito, leggendo nel documento che il referente scolastico per il Covid-19, tenuto ad occuparsi in ogni istituto dell'alunno con sintomi da coronavirus, deve essere in ottima salute e non «presentare fattori di rischio» al coronavirus. Ma qui si parla di centinaia di migliaia di professori, oltre a impiegati amministrativi e a breve, temiamo, anche bidelli, che per paura di contagiarsi o di non saper fronteggiare una situazione di rischio, stanno pensando di chiedere l'inidoneità alla mansione e quindi di essere sostituiti. Magari «solo» perché hanno più di 55 anni, sebbene l'Inail in aprile avesse redatto un documento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla base dei dati epidemiologici disponibili, evidenziando che rientrano nella categoria dei soggetti «fragili» anche le lavoratrici e i lavoratori di età superiore ai 55 anni, come ha ricordato pochi giorni fa Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, l'associazione insegnanti e formatori. Secondo l'Anief, gli organi competenti non hanno tenuto conto che quasi la metà del personale scolastico è di età media over 55. Ciò significa che «ben oltre 400.000 insegnanti» sono «fragili» e più esposti al rischio Covid-19. Nel conto vanno inseriti anche i 170.000 docenti con più di 60 anni. «Possiamo immaginare che almeno la metà di questi insegnati, diciamo 200.000, abbia più di una patologia o una patologia particolare», dichiara Turi. «Ma attenzione, possono fare domanda per restare a casa, però tutelarli è responsabilità del datore di lavoro, quindi del preside, che deve fare lo screening del personale a rischio e già lo sapeva. La scuola si deve organizzare per tutelare la salute di questi lavoratori, i sindacati hanno chiesto da tempo un incontro con il ministro dell'Istruzione per discutere di queste misure di tutela, di linee guida nel protocollo sicurezza. Non abbiamo ancora avuto risposte». Lucia Azzolina si è limitata a diffondere un comunicato invitando «a evitare allarmismi» perché, sostiene, «al momento non si registrano criticità». Avverte che «sono in corso specifici approfondimenti e interlocuzioni che coinvolgono anche le altre amministrazioni competenti in materia, il ministero della Salute e quello della Funzione pubblica, per fornire alle scuole, in tempi rapidi, un quadro ancora più chiaro». Secondo il segretario della Uil scuola, il governo «partorirà di tutto per tentare di rimediare. Se avesse almeno regolarizzato una parte dei precari, più giovani e quindi non fragili, oggi avremmo 36.000 problemi in meno». Al ministero, ne è convinto Pino Turi, non rimane altro da fare che «provvedere a sostituire queste persone. Un insegnante a rischio non può andare in aula sotto una campana di vetro, la scuola è di per sé comunità anche tra mascherine e distanziamento. Nemmeno gli è permesso di lavorare in smart working dopo il 14 settembre, quindi sarà messo in aspettativa retribuita». La procedura di assegnazione delle cattedre è terminata ma i sindacati ritengono che non si andrà oltre il 30% delle assunzioni previste, nella stima della Flc Cgil i supplenti necessari per il nuovo anno scolastico saranno 250.000. Tra due settimane basta solo che non si presentino 200.000 docenti ritenuti «a rischio» e potremmo dire addio alla riapertura delle scuole.
Continua a leggereRiduci
Pino Turi, segretario nazionale della Uil scuola, lancia l'allarme: «Almeno metà dei lavoratori “fragili" saranno invitati dal loro medico a non andare in classe».Mondo scolastico sempre più nel caos. A peggiorare la drammatica carenza di organico ci sono i professori che chiedono di non tornare in aula per paura del coronavirus. Così, il 14 settembre ad accogliere gli studenti mancheranno all'appello non 200.000 insegnanti «ma ben il doppio», afferma Pino Turi, segretario nazionale della Uil scuola. «Prevediamo che almeno il 50% dei docenti che rientrano tra i “lavoratori fragili" saranno consigliati dal loro medico di rimanere a casa. Stiamo parlando di almeno 200.000 persone decise a difendere il loro diritto alla salute, il ministro Azzolina nemmeno immagina quale bomba stia per scoppiare». Ai 200.000 che mancano strutturalmente all'appello perché mai assunti, quindi, vanno sommati altrettanti che daranno forfait per ragioni legate al Covid. Centinaia di docenti solo nel Veneto, una trentina a Salerno, hanno già chiesto di non rientrare a settembre perché soffrono di asma, di allergie, certificano patologie cardiovascolari o respiratorie, malattie croniche, stanno eseguendo cicli di chemioterapie. Lo stesso Vademecum del 21 agosto, pubblicato dall'Istituto superiore di sanità, ha ricordato che in base alla sorveglianza sanitaria contenuta nel decreto legge del maggio scorso, diventato legge a luglio, sono previste condizioni che «possano aumentare il rischio di contagio, l'età e gli eventuali stati di comorbilità». I datori di lavoro pubblici, perciò in questo caso i presidi, devono tener conto «dello stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti (due o più patologie) che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto, anche rispetto al rischio di esposizione a contagio». Devono nominare un medico competente, che effettui le visite mediche e decida se il soggetto può lavorare con dispositivi a più alta protezione o restare a casa. Perplessità erano sorte subito, leggendo nel documento che il referente scolastico per il Covid-19, tenuto ad occuparsi in ogni istituto dell'alunno con sintomi da coronavirus, deve essere in ottima salute e non «presentare fattori di rischio» al coronavirus. Ma qui si parla di centinaia di migliaia di professori, oltre a impiegati amministrativi e a breve, temiamo, anche bidelli, che per paura di contagiarsi o di non saper fronteggiare una situazione di rischio, stanno pensando di chiedere l'inidoneità alla mansione e quindi di essere sostituiti. Magari «solo» perché hanno più di 55 anni, sebbene l'Inail in aprile avesse redatto un documento sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla base dei dati epidemiologici disponibili, evidenziando che rientrano nella categoria dei soggetti «fragili» anche le lavoratrici e i lavoratori di età superiore ai 55 anni, come ha ricordato pochi giorni fa Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, l'associazione insegnanti e formatori. Secondo l'Anief, gli organi competenti non hanno tenuto conto che quasi la metà del personale scolastico è di età media over 55. Ciò significa che «ben oltre 400.000 insegnanti» sono «fragili» e più esposti al rischio Covid-19. Nel conto vanno inseriti anche i 170.000 docenti con più di 60 anni. «Possiamo immaginare che almeno la metà di questi insegnati, diciamo 200.000, abbia più di una patologia o una patologia particolare», dichiara Turi. «Ma attenzione, possono fare domanda per restare a casa, però tutelarli è responsabilità del datore di lavoro, quindi del preside, che deve fare lo screening del personale a rischio e già lo sapeva. La scuola si deve organizzare per tutelare la salute di questi lavoratori, i sindacati hanno chiesto da tempo un incontro con il ministro dell'Istruzione per discutere di queste misure di tutela, di linee guida nel protocollo sicurezza. Non abbiamo ancora avuto risposte». Lucia Azzolina si è limitata a diffondere un comunicato invitando «a evitare allarmismi» perché, sostiene, «al momento non si registrano criticità». Avverte che «sono in corso specifici approfondimenti e interlocuzioni che coinvolgono anche le altre amministrazioni competenti in materia, il ministero della Salute e quello della Funzione pubblica, per fornire alle scuole, in tempi rapidi, un quadro ancora più chiaro». Secondo il segretario della Uil scuola, il governo «partorirà di tutto per tentare di rimediare. Se avesse almeno regolarizzato una parte dei precari, più giovani e quindi non fragili, oggi avremmo 36.000 problemi in meno». Al ministero, ne è convinto Pino Turi, non rimane altro da fare che «provvedere a sostituire queste persone. Un insegnante a rischio non può andare in aula sotto una campana di vetro, la scuola è di per sé comunità anche tra mascherine e distanziamento. Nemmeno gli è permesso di lavorare in smart working dopo il 14 settembre, quindi sarà messo in aspettativa retribuita». La procedura di assegnazione delle cattedre è terminata ma i sindacati ritengono che non si andrà oltre il 30% delle assunzioni previste, nella stima della Flc Cgil i supplenti necessari per il nuovo anno scolastico saranno 250.000. Tra due settimane basta solo che non si presentino 200.000 docenti ritenuti «a rischio» e potremmo dire addio alla riapertura delle scuole.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
Continua a leggereRiduci
Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
Continua a leggereRiduci
Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
Continua a leggereRiduci
Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
Continua a leggereRiduci