2018-09-05
Zingaretti nel Lazio ha sbagliato tutto, ma nel Pd ha chance: non sta con il Bullo
Tasse, trasporti, sanità: nella sua Regione i flop non si contano. Però, riunendo gli epurati dall'ex premier, può scalare il partito.La fortuna di Nicola Zingaretti è che il suo cognome sia assai più conosciuto di lui e dei suoi disastrosi risultati amministrativi. La fama di suo fratello, l'attore Luca, popolare interprete del commissario Montalbano, fa sì che un alone di simpatia circondi il cognome di famiglia, a tutto vantaggio dell'attuale governatore del Lazio. Ci sono perfino aspetti tragicomici in questa vicenda: pare che un buon terzo delle lettere scritte dai cittadini e recapitate alla Regione siano indirizzate a Luca (cioè a «Montalbano»), non a Nicola.Lui, Nicola, un prodotto del funzionariato Fgci-Pci-Pds-Ds-Pd, si è convinto di essere l'uomo giusto per il rilancio del Pd. Iniziano a crederci anche altri: gli ex Ds già rottamati da Renzi, una sorta di «comitato delle vittime» del Bullo, più i capicorrente Pd (Franceschini e Orlando), e adesso anche il potente partito di Repubblica, che ieri ha lanciato amorevolmente la candidatura, purtroppo (non tutte le ciambelle riescono col buco) con un paio di articoli-boomerang. Ci arriveremo.Prima, però, una rassegna del «record» amministrativo zingarettiano, da cinque anni e mezzo governatore, rieletto la scorsa primavera per un soffio. Mensilmente, Zingaretti rilascia interviste per annunciare che abbasserà le tasse: ma intanto il Lazio ha ancora l'aliquota addizionale Irpef più alta d'Italia. Peggio: la Corte dei Conti ha scoperto che questa supertassa non è nemmeno più giustificata da un disavanzo sanitario: al contrario, grazie all'iniquo balzello, nella sanità c'è perfino un extragettito, ma i soldi in più vengono utilizzati per la spesa corrente, a partire dal trasporto. E non finisce qui: a causa dei disservizi, la Regione spende pure 300 milioni di euro l'anno per far curare i suoi cittadini fuori dal Lazio. E i rifiuti? Una Waterloo: il Lazio smaltisce nel proprio territorio solo il 35% dei suoi rifiuti organici (dati del 2017), e il resto va in altre regioni o all'estero, mentre la giunta Zingaretti è anche una delle ultime nella raccolta differenziata. E i trasporti?Un'Apocalisse: a suon di incidenti, la Pontina è tragicamente nota come una delle strade più pericolose dell'intero Stivale, mentre la ferrovia Roma-Lido (100.000 passeggeri al giorno trattati peggio che bestie) è in gara per il podio della peggior linea ferroviaria del Paese. Vi domanderete: con questo disastro, almeno i conti saranno a posto? E invece no: l'indebitamento è aumentato di altri 10 miliardi per un anticipo di cassa che la Regione ha ricevuto dallo Stato nel 2013.Ricapitoliamo: più tasse di tutti, cattiva sanità, cattivi trasporti, disastro rifiuti, buco nei conti. Capite bene che, con questo palmarès, Zingaretti non poteva che aspirare alla leadership del Pd.Nicola deve la sua rielezione, pochi mesi fa, alle divisioni e alle improvvisazioni del centrodestra: Stefano Parisi paracadutato in extremis da Milano, in alternativa all'ex sindaco di Amatrice Pirozzi, poi in qualche modo a sua volta assorbito nell'orbita zingarettiana.Numericamente, in Consiglio regionale, Zingaretti sarebbe un'anatra zoppa: in teoria, non aveva nemmeno la maggioranza, poi guadagnata grazie a un paio di new entry. Ma il centrodestra dormicchia e i grillini, guidati dall'ala che fa riferimento a Roberta Lombardi e a Roberto Fico, da mesi consentono tutto a Zingaretti, che va avanti con fumose «maggioranze variabili». In questo, non ha torto chi immagina la candidatura Zingaretti, sul piano nazionale, come un assist per l'intesa Pd-M5s: nel Lazio la cosa è già lampante.Dicevamo dell'endorsement di Repubblica. Con lo zelo delle missioni impossibili, il quotidiano di Largo Fochetti arruola in squadra Luigi Zanda, il sociologo Mauro Calise, lo storico Umberto Gentiloni (indovinate di chi è fratello?), il figlio del gran ciambellano ancien régime Andrea Manzella, l'ex sottosegretaria Paola De Micheli, più qualche cattocomunista tra San'Egidio e Civiltà cattolica. Non esattamente un dream team. E gli altri? Un fuggi fuggi: chi non sa ancora (il sindaco di Milano Beppe Sala è «quasi convinto»), chi si nasconde (l'ex uomo forte del Pci romano Goffredo Bettini, che «evita di farlo in pubblico»: e Rep non ci dice cosa), e chi ha solo ricevuto visita (il sindacalista Bentivogli). Di qui la tragica conclusione di Repubblica, in un articolo che voleva essere di lancio: «Zingaretti deve uscire dal Raccordo Anulare».In compenso, Rep difende Zingaretti dai primi attacchi. Uno sconosciuto militante Pd, tale Massimo Mariani Parmeggiani da Tor Lupara (non esattamente il perfido Goldfinger dei film di 007) ha messo su Facebook due o tre infografiche critiche. Apriti cielo! Rep insorge e Zingaretti fa sapere: «Se pensano di mettermi paura, si sbagliano». Bum.A ben vedere, dunque, una candidatura fragilissima. Che ha un solo punto forte: Renzi non è con lui. Il Bullo, che nella sala degli specchi pensa solo a sé stesso, quando ne esce sfoglia la margherita dei possibili campioni da sostenere: la Bellanova, la Serracchiani, Delrio, Richetti, Bonaccini. Ma non Zingaretti. Che, a questo punto, ha almeno un motivo per sperare.