2020-01-15
Zingaretti blinda l’intesa con il M5s. Ma mezzo partito boccia la sua linea
Chiuso il conclave pd a Contigliano. Il segretario loda l'esecutivo e lancia 5 punti per la «fase due» di Giuseppi. Matteo Orfini lo gela: «Errore drammatico, noi subalterni ai grillini». Matteo Renzi annuncia: «Iv contro Emiliano in Puglia».Chiamatelo Pci-Pds-Ds-Pd… P5s. Il conclave dei dem a Contigliano (Rieti) si chiude con il segretario, Nicola Zingaretti, che blinda l'alleanza con il M5s e soprattutto lascia intendere che il patto giallorosso è destinato a diventare qualcosa di più che una coalizione di governo «d'emergenza». Non a caso Italia viva approfitta subito del clima matrimoniale che si respira nell'abbazia per smarcarsi dalla prospettiva di un'alleanza organica, se non addirittura di una confederazione, tra Pd e M5s. Anche dall'interno dei dem non mancano distinguo e aperte critiche alla prospettiva indicata da Zingaretti, ma la strada sembra tracciata: il segretario confida in una scalata di Roberto Fico e Vincenzo Spadafora al vertice del M5s, teorici della collocazione a sinistra del Movimento, e nella rapida emarginazione di Luigi Di Maio per portare a termine il suo disegno.«Altro che subalterni. Questo governo», argomenta Zingaretti, «ha salvato l'Italia dalla catastrofe. Ora serve una fase due: Giuseppe Conte si è impegnato ad aprirla, il Pd vuole dare una mano e propone cinque punti: rivoluzione verde per tornare a crescere, Italia semplice per sburocratizzare a favore di imprese e cittadini, Equity act per parità salariale uomo-donna ed equilibrio Nord-Sud, aumento della spesa per l'educazione, piano per la salute e l'assistenza». Zingaretti esalta l'alleanza con i pentastellati: «Abbiamo salvato l'Italia da una catastrofe economica, sociale e culturale», sottolinea il segretario del Pd, «sono serenamente convinto che abbiamo fatto bene a fare la scelta di varare questo governo, era una scommessa e in questi mesi c'è stato un surplus di polemiche che abbiamo tentato di sedare».Sedare: mai verbo fu più azzeccato per descrivere la situazione di questo partito, la cui leadership è perennemente impegnata a contrastare gli attacchi di Matteo Renzi. Guardate con quanto trasporto Zingaretti difende il reddito di cittadinanza, bandiera del M5s, che Renzi critica ogni santo giorno: «Trovo che il reddito», sottolinea il segretario, «sia un ottimo strumento di lotta alla povertà, lo abbiamo inventato noi con il Rei, magari avendo poco coraggio. Il reddito di cittadinanza è importante, vogliamo metterci le mani per migliorarlo, anche con più risorse, ma non sostituisce il tema delle politiche del lavoro».Zingaretti tenta in tutti i modi di stringere i bulloni dell'alleanza con il M5s. la prova? Il lungo colloquio riservato con il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. A quanto risulta alla Verità, i due hanno discusso delle suppletive del mese prossimo a Napoli, quando si dovrà eleggere un senatore, che prenderà il posto dello scomparso grillino Franco Ortolani. Zingaretti ha chiesto a De Luca la non belligeranza con il M5s, se non addirittura il sostegno al candidato che verrà scelto dai pentastellati. Poco prima, nel corso del suo intervento, De Luca aveva, come suo solito, preso in giro il M5s: «Evitiamo di omologarci con partiti che si rinnovano sotto la guida di Toninelli», aveva affermato tra gli applausi.Diverse le voci critiche: «Ai nostri alleati», sottolinea il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, «dobbiamo dire: o rinunciate all'antipolitica o la difficoltà di portare avanti questa esperienza di governo crescerà ancora di più. L'antipolitica al governo è come fare harakiri. È tipica di un Paese che vuole suicidarsi».Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, è ancora più duro: «Non mi convince il posizionamento verso il M5s. Non escludo affatto l'alleanza», dice Gori, «ma non in un campo che non è il nostro, quello dell'assistenzialismo e della protezione. Dario Franceschini dice che loro devono venire di qua, invece mi sembra che stiamo andando noi di là». Il riferimento di Gori a Franceschini non è casuale: il ministro dei Beni culturali, in costante contatto con il collega di governo Spadafora, è l'architetto dell'alleanza giallorossa, benedetta da Beppe Grillo, ed è il teorico della «cosa nuova» piddistellata. Durissimo l'ex presidente del partito, Matteo Orfini: «Costruire una forza di centrosinistra insieme a una forza che di sinistra non è», attacca, «è un errore drammatico. Stiamo incubando i virus di subalternità più che aprire a una nuova stagione politica. I decreti Sicurezza», aggiunge Orfini, «li vogliamo abrogare o ci ritiriamo dalla battaglia perché impopolare?». Critico anche il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci, mentre Renzi è caustico: «Se Franceschini e Toninelli si vogliono fidanzare per l'eternità», dice l'ex rottamatore a L'aria che tira, su La 7, «facciano pure. Ma noi faremo un'altra cosa, non pensiamo di stare con il M5s per sempre. Non è pensabile». Renzi pianta anche una grana non da poco: «In Puglia», annuncia, «il Pd appoggerà il governatore uscente, noi no. Avremo un candidato diverso da Michele Emiliano e da Raffaele Fitto e lo annunceremo a febbraio. La Puglia di Emiliano è l'emblema di un'intesa culturale tra grillismo e quella parte di sinistra che non amo troppo».
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