L’Ucraina ora punta al bersaglio grosso: «Fermate Rosatom». Europa e Usa in crisi

Nella rete delle sanzioni occidentali contro la Russia si scorge un buco rilevante: quello di Rosatom. Eh sì, perché sia gli Stati Uniti sia l’Unione europea hanno finora tenuto una linea fondamentalmente blanda nei confronti dell’azienda statale russa per l’energia nucleare. Un’azienda che rappresenta una delle principali fonti finanziarie del Cremlino e che, secondo quanto riferito ad aprile dal Wall Street Journal, vanta un portafoglio di ordinativi esteri dal valore di circa 140 miliardi di dollari.
«Gli Usa e i loro alleati europei stanno importando grandi quantità di combustibile e composti nucleari dalla Russia, fornendo a Mosca centinaia di milioni di dollari in entrate estremamente necessarie, mentre fa guerra all’Ucraina», ha riportato appena il 10 agosto scorso l’Associated Press. La domanda è quindi d’obbligo: che senso ha aggredire gas e petrolio russi, se poi si lascia relativamente in pace un colosso come Rosatom? Gli Usa hanno cominciato a occuparsi di questa società soltanto nel 2023, quindi dopo un anno dall’avvio dell’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, Washington ha comminato a febbraio, aprile maggio e luglio delle sanzioni ad alcune sussidiarie dell’azienda e ad entità ad essa collegate. Tuttavia l’amministrazione Biden sembra restia a colpire direttamente il colosso russo e a rompere i legami con esso. Ancora più blanda si è rivelata la posizione di Bruxelles.
«Mentre l’Ue è sulla buona strada per liberarsi dai combustibili fossili russi, sta faticando a liberarsi della sua dipendenza dal nucleare russo. Di conseguenza, centinaia di milioni di euro continuano ad affluire nelle casse di Mosca», ha riferito a luglio Deutsche Welle. Il paradosso è evidente e rischia di danneggiare la strategia delle sanzioni occidentali. «Gli esperti sostengono che Rosatom rimane protetta dal ruolo vitale che svolge nell’energia nucleare globale e dal fatto che non può essere facilmente sostituita», ha riportato la Cnn a marzo. «Nel 2021, gli Usa hanno fatto affidamento sul monopolio nucleare russo per il 14% dell’uranio che alimenta i loro reattori nucleari», ha proseguito la testata, per poi aggiungere: «Rosatom fornisce anche servizi di arricchimento, che rappresentano il 28% di quanto richiesto dagli Usa nel 2021». L’Associated Press ha inoltre riferito che l’anno scorso la Russia ha fornito agli Usa circa il 12% del proprio uranio. L’approccio cauto dell’amministrazione Biden è quindi dovuto al timore che le sanzioni inneschino dei contraccolpi sull’approvvigionamento energetico statunitense. Dinamiche simili si riscontrano in seno all’Unione europea. «Le società statali francesi continuano a mantenere alcuni legami con Rosatom», riferì ad aprile Politico. Una situazione che all’epoca spinse alcuni Paesi europei a effettuare delle pressioni su Parigi per convincerla a rompere i legami con l’azienda russa. Va detto che Orano – società nucleare in maggioranza controllata dal governo francese – ha annunciato un investimento da 1,7 miliardi di euro per ridurre la sua dipendenza da Mosca: una mossa tuttavia arrivata a ottobre scorso, quindi oltre un anno e mezzo dopo l’avvio dell’invasione dell’Ucraina. Dentro l’Ue, anche l’Ungheria intrattiene stretti legami con Rosatom: non a caso, secondo Deutsche Welle, Budapest si è adoperata per evitare che l’undicesimo pacchetto di sanzioni europee includesse provvedimenti contro l’azienda russa.
Kiev ha intanto lasciato trapelare un certo malumore. Martedì, il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha definito «un grosso errore» l’atteggiamento soft di Bruxelles verso Rosatom. Giovedì, la richiesta di sanzioni contro il colosso russo è stata avanzata anche dal ministro dell’Energia ucraino, Herman Halushchenko, mentre incontrava alcuni senatori statunitensi a Washington. Nel frattempo, l’azienda statale russa continua a fare affari. Ad aprile ha inaugurato la centrale turca di Akkuyu e a ottobre ha siglato un accordo per realizzare un impianto nucleare in Burkina Faso. Tutto questo, mentre l’altro ieri si è detta pronta ad avviare una joint venture col Kazakistan nel settore dell’estrazione dell’uranio. E qui emergono due elementi.
Il primo è che Vladimir Putin sta usando Rosatom per consolidare i rapporti con Ankara e incrementare la propria influenza sul Sahel. Il secondo è che, stando a Rfi, a inizio novembre Emmanuel Macron si è recato in Kazakistan per rafforzare i legami in materia di energia nucleare con questo Paese (d’altronde proprio in Kazakistan Orano gestisce miniere di uranio). Un aspetto interessante è che il presidente francese ha cominciato a guardare con maggiore interesse ad Astana dopo il golpe di luglio in Niger (un Paese che fornisce circa il 15% del fabbisogno di uranio della Francia). Quello stesso Niger che, a settembre, ha sottoscritto un patto di mutua assistenza militare con Mali e Burkina Faso: due Paesi che sono ormai stabilmente entrati nell’orbita russa. Insomma, la strategia geopolitica di Mosca vede in Rosatom uno strumento fondamentale. Quanto impiegherà l’Occidente per capirlo?






