2024-01-17
Più sanzioni a Mosca, altre armi e soldi. Zelensky esige dall’Ue un nuovo salasso
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Al Wef il presidente ucraino ha incassato il sostegno degli Usa ma solo a parole. Viktor Orbán: «I 50 miliardi a Kiev? Una violazione».A Davos i suoi alleati - da Jake Sullivan a Ursula von der Leyen - han voluto mostrare al presidente ucraino il bicchiere mezzo pieno. Ma, al netto dello stallo militare e delle significative perdite delle forze armate ucraine, le dichiarazioni rilasciate dai leader occidentali al World economic forum che si è aperto ieri a Davos appaiono poco più che speranze. Volodymyr Zelensky li ha tuttavia voluti cogliere per promuovere, davanti alle élite del Wef, il «suo» piano di pace, «Peace Formula»: la Svizzera ospiterà entro la fine dell’anno un vertice dei Paesi che sostengono il piano, come annunciato dalla presidente della Confederazione Viola Amherd dopo l’incontro con Zelensky. Ma il presidente russo Vladimir Putin, che a fine dicembre aveva silenziosamente segnalato di essere aperto a un cessate il fuoco in Ucraina, non ha tardato a stroncare il progetto: «L’Ucraina ha rinunciato ai negoziati con la Russia, sono stati degli imbecilli, sarebbe tutto finito tempo fa». Secondo Putin, «Peace Formula» contiene «requisiti proibitivi per i negoziati».Fatto salvo il riferimento al progetto di pace, ieri a Davos Zelensky ha presentato il solito format, anticipato da un tweet postato poco prima di intervenire ai lavori del Wef. «Se qualcuno pensa che tutto ciò riguardi solo l’Ucraina, si sbaglia», ha ammonito il presidente ucraino su X, paventando come sempre la «possibile aggressione russa» non solo contro l’Ucraina ma contro «altre direzioni». «Se negli anni a venire si dovrà combattere insieme contro Putin, non sarebbe meglio porre fine a lui e alla sua strategia di guerra adesso, mentre i nostri coraggiosi uomini e donne lo stanno già facendo?», ha chiesto il leader ucraino.Sono ormai due anni che Zelensky, quando incontra i leader mondiali per battere cassa, alza la posta. Lo ha fatto anche ieri, chiedendo d’inasprire ulteriormente le (inutili) sanzioni ed estenderle al nucleare russo: «Come possiamo essere soddisfatti se le sanzioni non bloccano neanche la produzione di missili russi? Naturalmente», ha precisato, «sono grato per ogni pacchetto approvato, ma la pace si potrà avvicinare solo assicurando che le sanzioni funzionino al 100%». Il leader ucraino ha anche chiesto che gli asset russi congelati siano utilizzati per «la difesa contro l’aggressione russa e la ricostruzione dell’Ucraina». E, per restare in tema, il presidente ucraino ha lanciato un appello per sostenere l’economia ucraina: «Rafforzate la nostra economia e rafforzerete la vostra sicurezza», è il suo slogan. Non poteva mancare la richiesta di armi: «Dobbiamo ottenere una superiorità aerea per l’Ucraina, due giorni fa abbiamo dimostrato che possiamo colpire aerei russi che non erano stati abbattuti finora».Gli alleati, come sempre, si mostrano rassicuranti, anche di fronte all’evidenza del fallimento e al costo salato che l’Occidente, soprattutto l’Ue, sta pagando a causa della guerra. Nonostante lo stop americano agli aiuti a Kiev, ad esempio, il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, intervenuto ieri pomeriggio, ha detto che «la battaglia in Ucraina non è finita» e che gli Stati Uniti continueranno a sostenere Kiev «in tutti i modi». Quanto alla fornitura di armi, «il presidente Biden è concentrato sul dossier, cerchiamo di fare in modo che l’obiettivo si realizzi», a dispetto di quelli che il consigliere Usa, minimizzando, ha definito «alti e bassi». Sullivan si riferisce alle proteste dei senatori repubblicani, che hanno sollevato dubbi sulla trasparenza nell’uso dei fondi Usa destinati a Kiev e sulla corruzione in Ucraina. Secondo un rapporto del Pentagono, gli Stati Uniti avrebbero perso traccia di oltre un miliardo fra armi e materiale militare spedito a Kiev.Anche Anthony Blinken ha ribadito il messaggio di Sullivan: «Siamo determinati a mantenere il nostro sostegno all’Ucraina e lavoriamo molto strettamente con il Congresso», ha detto il segretario di Stato americano dopo aver incontrato il presidente ucraino, mentre al Congresso si discutono nuovi aiuti militari. «So che i nostri colleghi europei faranno lo stesso», ha aggiunto.In effetti la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo speech a Davos dedicato alla lotta alla disinformazione, ha confermato (almeno per i pochi mesi che ci separano dalle elezioni europee di giugno, ndr) il sostegno all’Ucraina: «Gli ucraini hanno bisogno di finanziamenti per tutto il 2024 e oltre. Hanno bisogno di una fornitura di armi sufficiente e prolungata per difendere l’Ucraina e riconquistare il suo legittimo territorio», e hanno «bisogno di sapere che, grazie alla loro lotta, guadagneranno un futuro migliore per i loro figli. E il futuro migliore dell’Ucraina si chiama Europa», ha chiosato. «È con immensa gioia che il mese scorso abbiamo deciso di avviare i negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’Ue», ha detto von der Leyen davanti alla platea di Davos, «questo sarà un risultato storico per l’Ucraina. E sarà l’Europa a rispondere al richiamo della storia».Quella stessa Europa che, secondo il quotidiano britannico Financial Times, sta conducendo un’indagine sulle forniture di armamenti fornite a Kiev dagli Stati membri, su input di Olaf Scholz. Il cancelliere tedesco aveva affermato che i Paesi dell’Ue dovranno aumentare la spesa per l’assistenza militare all’Ucraina quando adotteranno un nuovo bilancio per il 2024, sostenendo che i volumi di forniture di armi previste dalla maggior parte dei Paesi membri dell’Ue per l’Ucraina sono «troppo bassi». Alcuni Stati, dicono autorevoli fonti Ue, non vorrebbero fornire i dati completi. E ancora ieri, Viktor Orbán ha ribadito che «donare 50 miliardi di euro dal bilancio della Ue con quattro anni di anticipo è una violazione della sovranità dell’Unione e degli interessi nazionali. Non sappiamo nemmeno», ha detto il primo ministro ungherese, «cosa accadrà fra tre mesi. Se vogliamo aiutare l’Ucraina, cosa che penso sia necessario fare, dobbiamo farlo in modo da non danneggiare il bilancio dell’Unione».
«It – Welcome to Derry» (Sky)
Lo scrittore elogia il prequel dei film It, in arrivo su Sky il 27 ottobre. Ambientata nel 1962, la serie dei fratelli Muschietti esplora le origini del terrore a Derry, tra paranoia, paura collettiva e l’ombra del pagliaccio Bob Gray.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
Ecco #DimmiLaVerità del 24 ottobre 2025. Ospite Alice Buonguerrieri. L'argomento del giorno è: " I clamorosi contenuti delle ultime audizioni".
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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