2025-01-19
Zelanti ad accusare i carabinieri. Silenti con la difesa
Il video sull’inseguimento di Ramy ha suscitato paginate sul presunto cambio di capo d’imputazione. L’ex capo della polizia Franco Gabrielli ha criticato l’intervento e certa sinistra ha parlato di «migranti uccisi dagli agenti». Ora che la Procura ha smentito tutti, nicchiano.«Omicidio di Ramy. Per i due carabinieri l’ipotesi dolosa» (Repubblica). «Ramy, è polemica sui filmati. L’ipotesi dell’omicidio volontario» (Corriere della Sera). «Per la morte di Ramy i carabinieri rischiano l’omicidio volontario» (Stampa). «Ramy, l’ipotesi è omicidio. La fidanzata: disumani» (Fatto quotidiano). «Ramy, dopo i filmati la procura valuta l’omicidio volontario» (Messaggero). Quelli che ho appena riportato sono i titoli comparsi l’8 e il 9 gennaio sui principali quotidiani italiani. La notizia di un aggravio della posizione dei carabinieri che la notte del 24 novembre inseguirono Ramy per le vie del centro di Milano era infondata. Ma a riferire che la Procura non aveva affatto deciso di cambiare il capo di imputazione - da omicidio stradale a omicidio volontario - a carico dei militari fu, dopo aver verificato le informazioni, la sola Verità. Certo, capita a tutti, anche ai più bravi, di incappare in un infortunio giornalistico, però forse poi bisognerebbe rimediare, ammettendo di aver raccontato una balla. Quando poi la Procura diffonde un comunicato che chiarisce i fatti e mette a tacere le polemiche, come è accaduto venerdì, per lo meno sarebbe opportuno riportarlo, magari pubblicandolo con la stessa evidenza con cui si è data notizia di un’ipotesi di reato che non c’era. E invece no. Ieri mattina, aprendo i giornali ho perfino pensato che ad aver sbagliato fossimo stati noi de La Verità, che in prima pagina riportavamo come titolo d’apertura la nota dei pm con cui non soltanto si escludono nuove accuse a carico dei carabinieri alla guida della vettura che fino all’ultimo tallonò Ramy e il suo amico, ma si mette fine alle chiacchiere su un presunto accanimento nell’inseguimento dei due giovani. Si precisa infatti che «i carabinieri del nucleo radiomobile non hanno commesso violazioni e illeciti nella scelta e modalità di inseguimento dello scooter Tmax su cui nelle prime ore del 24 novembre viaggiavano gli amici Fares e Ramy». Altro che caccia all’uomo pericolosa o «modalità non corretta di inseguimento», come ha detto Franco Gabrielli, ex capo della polizia ora delegato di Beppe Sala alla sicurezza, secondo il quale sarebbe bastato prendere la targa (e magari per fermarli invitare i due fuggiaschi al bar a prendere un caffè oppure offrire loro un pacchetto di sigarette). La Procura ha chiarito che l’unica norma giuridica a cui le forze dell’ordine sono tenute a uniformarsi è l’articolo 55 del codice di procedura penale. «La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercane gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire all’applicazione dell’azione penale». Ovviamente, inseguire chi non si ferma all’alt di una pattuglia, si sottrae ai controlli e commette il reato di resistenza a pubblico ufficiale, rientra nelle fattispecie previste dall’articolo 55. Fine.Eppure, i filmati della folle corsa dei due giovani in scooter, inseguiti da tre auto dei carabinieri, invece di far comprendere la drammaticità della fuga, sono stati ribaltati come prove a carico dei militari, documento parlante di una volontà persecutoria nel continuare a tentare di fermare i due giovani. Certo, sono stati bravi i legali di Fares Bouzidi, il tunisino alla guida dello scooter, che sono riusciti in un’operazione mediatica che rende quasi inesistenti le responsabilità del loro cliente in una fuga che per come è stata condotta non poteva non contemplare il rischio di un tragico epilogo, come poi è accaduto. Però sono stati pessimi i giornali che hanno paventato l’ipotesi dell’omicidio volontario senza che i pm avessero deciso alcunché. Ma soprattutto sono stati inqualificabili alcuni politici, i quali non hanno nemmeno aspettato le risultanze delle indagini prima di emettere una sentenza di condanna a carico dei carabinieri in servizio quella sera. Da Ilaria Cucchi a Marta Collot, per finire alla segretaria del Pd lombardo Silvia Roggiani, tutte a dare addosso ai militari. Per Collot, esponente di Potere al popolo, è chiaro che Ramy «è stato ammazzato dai poliziotti» (la giovane pasionaria evidentemente non fa distinzione di divisa e appartenenza delle forze dell’ordine), mentre la dirigente del Partito democratico non solo ha parlato di «poliziotti che hanno ucciso Ramy» (anche lei deve avere qualche problema nel distinguere gli agenti dai carabinieri), ma ha aggiunto che quei «poliziotti esultavano mentre uccidevano un immigrato».Insomma, i soli colpevoli sono gli uomini delle forze dell’ordine, i quali hanno insistito nell’inseguire due ragazzi e sono pure razzisti, perché hanno ucciso un immigrato è poi ne hanno gioito. E queste signore dovrebbero garantire la sicurezza degli italiani? Sono loro a voler tutelare i cittadini? Da loro e da quelli come loro purtroppo derivano solo il caos e il pericolo che vediamo nelle nostre città.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
Continua a leggereRiduci
Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)