2025-04-14
Xi si blinda in Asia mentre flirta con Bruxelles
Il leader in Vietnam, Malesia e Cambogia. Il regime cerca intese con l’Ue per tutelare il dominio nei commerci.La risposta cinese ai dazi di Donald Trump non si limita soltanto a barriere di ritorsione contro i prodotti statunitensi. Dopo aver ricevuto il premier spagnolo, Pedro Sánchez, ieri il presidente Xi Jinping ha avviato un tour nel Sud Est asiatico, presentandosi come difensore della stabilità del commercio globale. «Il protezionismo non porta da nessuna parte: una guerra commerciale non avrà vincitori», ha dichiarato ad Hanoi. Dopo il Vietnam, prima tappa del suo itinerario, il leader del Dragone è atteso oggi in Malesia e, il 17 aprile, in Cambogia, per rafforzare i legami economici con la regione.Il Vietnam, colpito da Trump con dazi al 46%, non ha reagito alle misure e ora, al contrario di Pechino, ha beneficiato della pausa di 90 giorni. Tuttavia, resta incertezza su che cosa succederà alla scadenza di questo termine. Durante la visita, Xi Jinping ha spiegato che «Cina e Vietnam dovrebbero salvaguardare con risolutezza il sistema commerciale multilaterale, la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali e un ambiente internazionale aperto e cooperativo». I due Paesi hanno firmato 45 accordi di cooperazione riguardanti, tra le altre cose, le catene di approvvigionamento, l’intelligenza artificiale, i pattugliamenti marittimi congiunti e le ferrovie. Nel 2024, l’interscambio commerciale tra Cina e Vietnam ha superato i 200 miliardi di dollari, con un netto surplus a favore di Pechino, mentre gli Stati Uniti nello stesso anno hanno importato beni vietnamiti per oltre 136 miliardi di dollari, a fronte di appena 13 miliardi di esportazioni (questi gli ultimi dati non destagionalizzati forniti dall’Us Census Bureau). Se da una parte la Cina, per Hanoi, rappresenta il primo investitore estero, dall’altra gli Stati Uniti sono il primo mercato finale per le esportazioni (solo quelle verso gli Usa contano quasi un terzo del Pil). Dal punto di vista economico, dunque, il Dragone non può presentarsi come il sostituto degli Usa. Inoltre, l’amicizia con gli States costituisce anche un argine alle mire espansionistiche di Pechino. Più che garantire la stabilità del commercio globale od offrirsi come ombrello al posto degli Stati Uniti, la Cina vuole tutelare i propri interessi. Ieri, in una conferenza stampa, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha annunciato l’intenzione di rafforzare i rapporti con l’Ue per «difendere le regole del commercio internazionale» dalla guerra commerciale avviata da Trump, che usa i dazi «come strumento di pressione estrema e di guadagno personale, ponendo i propri interessi al di sopra del bene collettivo internazionale». «Un classico esempio di unilateralismo, protezionismo e prepotenza economica», ha aggiunto, «che danneggia gravemente gli interessi di numerosi paesi, inclusi quelli di Cina e dell’Ue». Lo stesso ha anche sottolineato che Cina e Unione europea rappresentano rispettivamente la seconda e la terza economia mondiale (insieme contano un terzo del Pil globale e un volume di scambi superiore a quarto del commercio mondiale) e che entrambe le parti sono forti sostenitrici della globalizzazione economica e della liberalizzazione del commercio, nonché convinte difensori e promotori dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). E ci mancherebbe altro: la Cina e, almeno nei confrtoni degli Usa, l’Ue traggono grande vantaggio dalla globalizzazione del commercio, grazie a cui registrano ingenti surplus commerciali. È stato proprio l’ingresso nel Wto, avvenuto l’11 dicembre del 2001, che ha permesso al Dragone di diventare la fabbrica del mondo (con grande complicità dell’Occidente) ed esportare prodotti (e capitali) in tutto il mondo, godendo di costi del lavoro ridicoli rispetto alle economie avanzate. Allo stesso modo l’eurozona, costretta a schiacciarsi sul modello export-led voluto dalla Germania, da circa 15 anni ha aggredito i mercati internazionali attraverso la compressione dei salari e, in aggiunta, la svalutazione competitiva dell’euro. Che questi due soggetti, oggi, si ergano a difensori dell’ordine mondiale (di cui hanno largamente approfittato), oltre a essere grottesco è anche problematico dal punto di vista politico. Per sostituirsi agli Stati Uniti come garanti del commercio internazionale, infatti, dovrebbero essere disposti a rinunciare ai loro ingenti surplus della bilancia commerciale. E al di là dell’Unione europea, che nessuno al di fuori del Vecchio continente considera un soggetto politico unitario, sussistono ragionevoli dubbi sulla volontà della Cina di assumersi tale onere. E, anche qualora lo volesse, sulla possibilità di farlo nel breve termine.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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