2023-05-28
Il woke ora fa paura ai suoi stessi legionari
Lo scrittore scozzese Irvine Welsh (Ansa)
Irvine Welsh critica la colpevolizzazione dei maschi bianchi etero, una delle Kardashian dopo aver affittato l’utero per non rovinarsi il fisico: «Non sento mio il bambino», Caitlyn Jenner contro le atlete trans. Hanno tutti una cosa in comune: sono totem progressisti.Forse c’è perfino un aspetto positivo nel fatto che la pressione della cosiddetta «ideologia Woke» sia divenuta così asfissiante. Siamo arrivati a una tale profondità di delirio che persino tra chi è imbevuto di narrazioni dominanti comincia ad accorgersi che qualcosa non torna. È il caso del noto scrittore scozzese Irvine Welsh, l’autore di Trainspotting, cioè il romanzo più emblematico di una particolare fase degli anni Novanta. Su Unherd.com, Welsh ha pubblicato un lungo saggio in difesa del maschio bianco eterosessuale, a suo dire ingiustamente messo all’indice. La cosa stupisce non poco, soprattutto perché lo scozzese non è certo un conservatore, un populista o un sovranista, anzi si definisce nemico del «privilegio bianco, borghese e maschile». Insomma, egli rientra perfettamente nei ranghi della sinistra europea contemporanea. Eppure, in un lampo di lucidità, è riuscito a notarne alcuni eccessi, in particolare la persecuzione del «white working-class man», quello che una volta si sarebbe chiamato proletario bianco.A suo dire, «l’imperialismo e il patriarcato ci sono costati molte vite». Tuttavia, «ironia della sorte, la maggior parte di quelle vite perse nella società occidentale erano quelle di maschi bianchi appartenenti alla classe operaia; fondamentalmente, quei cittadini indicati dal paradigma dell’intersezionalità che nega la classe come nemici del progresso. I maschi bianchi della classe operaia vengono ora presentati come gli schiumanti cani da combattimento dell’establishment; come i sorveglianti dell’imperialismo, che fanno rispettare gli ordini dei loro padroni più ricchi. Il loro ruolo nel garantire la maggior parte dei nostri diritti umani - attraverso la lotta sul posto di lavoro nei sindacati, negli scioperi, nelle manifestazioni, nelle guerre e nelle rivolte - deve essere cancellato dalla nostra coscienza collettiva».L’intersezionalità citata da Welsh è il feticcio della cultura «illuminata». Consiste nell’idea che esista una sorta di scala dell’oppressione su cui si possono collocare i vari gruppi sociali. Il più oppressivo di tutti, ovviamente, è costituito dai temibili maschi-bianchi-etero. Per lo scrittore scozzese oggi basta «avere un pene nelle mutande» per finire sul banco degli imputati. «In maniera perversa, i maschi proletari bianchi sono ammassati con i loro “fratelli” borghesi; estranei in questa festa color arcobaleno degli oppressi. In questo bizzarro modello schematico, i tifosi di calcio della classe operaia a Liverpool sono considerati dalla stessa parte dei rabbiosi portavoce dell’establishment. […] C’è qualcosa nella psiche borghese che produce una reazione viscerale a quella combinazione mortale di classe operaia, bianco ed etero, indipendentemente dalle opinioni reali e dalle esperienze di vita di qualcuno in quel gruppo. Il declino della politica di classe e la sua sostituzione con gli scismi dell’identità è parte integrante dell’ordine neoliberista».Che si condividano o meno le opinioni di Welsh sul neoliberismo, resta che il romanziere ha colto alcuni punti centrali. Per prima cosa, la demonizzazione del maschio - indicato come intrinsecamente violento e oppressore - è strumentale e ingiusta, utile soltanto a creare divisioni feroci all’interno del corpo sociale. In secondo luogo, le cosiddette «politiche dell’identità» sono una clamorosa truffa, perché valorizzano oltremisura alcune differenze e ne cancellano altre a seconda della convenienza. L’obiettivo è sempre il medesimo: creare fratture, permettere al potere dominante di imporre narrazioni artificiose che seppelliscono i luoghi reali del conflitto, contribuendo a mantenere le diseguaglianze e le ingiustizie.Welsh, a nostro avviso, ha compreso solo parzialmente la gravità della situazione e lo ha fatto con grande ritardo. Un po’ come altri suoi autorevoli colleghi, tra cui J. K. Rowling, divenuta da qualche anno una fiera oppositrice del transfemminismo che, in nome dei diritti «queer» sta tentando di cancellare le donne. Nelle scorse settimane, in concomitanza con l’annuncio della realizzazione di una nuova serie tv di Harry Potter per Hbo, ha ripreso ad ardere il fuoco delle polemiche nei riguardi della Rowling, accusata di transfobia. Lei continua a tenere il punto, e non arretra, ma gli attacchi che le vengono rivolti raggiungono punte di violenza verbale (e non solo, talvolta) impressionante. È anche in ragione di questi assalti alla sua amica che Salman Rushdie (altro scrittore orientato a sinistra), pochi giorni fa ha ripreso la parola sulla deriva autoritaria occidentale. «La libertà di pubblicare», ha detto Rushdie, «la libertà di leggere, la libertà di scrivere ciò che si vuole, di poter scegliere ciò che si vuole leggere e non averlo deciso dall’esterno, la libertà di pubblicare libri che dovrebbero essere pubblicati e che talvolta sono difficili da pubblicare a causa della pressione di questo o quel gruppo, non è mai stata minacciata come oggi in Occidente». Non ha torto, Rushdie. Dopo aver passato anni a difendersi da una minaccia esterna alla sua stessa esistenza fisica (che di recente si è ripresentata sotto forma di aggressione all’arma bianca a cui è scampato per miracolo), ora il romanziere di origini indiane vede emergere una minaccia interna, tutta occidentale.È indicativo che un numero crescente di intellettuali progressisti si rendano conto dei disastri prodotti dalla cultura che loro stessi hanno alimentato per anni. Il problema vero sta nel fatto che questa (sedicente) cultura - quella Woke - è per definizione priva di limiti. O la si rifiuta in blocco o è destinata a travalicare, divorando anche coloro che fino al giorno prima esaltava. La politica dell’identità, una volta imposta, è impossibile da arginare. Purtroppo, queste forme di consapevolezza si manifestano soltanto quando si viene in qualche modo aggrediti dalla realtà, cosa che può capitare persino a chi vive immerso in un mondo artificiale. È, quest’ultimo, il caso della strampalata famiglia Kardashian. Forse anche per pubblicizzare la nuova stagione del reality di cui sono protagonisti, alcuni dei curiosi personaggi che la compongono nelle ultime settimane si sono distinti per dichiarazioni fuori dall’ordinario (e dal consentito).Caitlyn Jenner, ex campione olimpico divenuto portabandiera della comunità trans, qualche giorno fa ha pubblicato un tweet molto critico riguardo alla partecipazione di atleti transgender alle competizioni femminili di atletica. La trans Athena Ryan aveva appena vinto la medaglia d’argento nella corsa dei 1.600 metri, superando alcune talentuose avversarie nate donne. Ebbene, secondo la Jenner si è trattato di una «ingiustizia». Caitlyn si è esposta come «ex star della pista e persona trans», e se l’è presa con il «culto radicale dell’ideologia di genere» che a suo dire danneggia non soltanto le donne nelle competizioni sportive, ma anche gli stessi trans, «utilizzati come pedine politiche».Queste uscite hanno suscitato appena meno sgomento di quello provocato dalle parole di un’altra Kardashian, Khloé. Anche lei, come la sorella Kim, ha fatto ricorso all’utero in affitto per avere un altro figlio senza rovinarsi la forma, ma ha ammesso di aver incontrato qualche difficoltà. Per la precisione, ha detto di «non sentirsi connessa» al bambino avuto tramite surrogata. Potremmo dire che non stupisce: dopo tutto non è il suo bambino, ma quello di un’altra donna. E Khloé, con candore quasi imbarazzante, lo ha ammesso. «Mi sentivo davvero in colpa per il fatto che questa donna avesse appena avuto il mio bambino… Io prendo il bambino e vado in un’altra stanza e lei viene separata... Vorrei che qualcuno fosse onesto riguardo alla maternità surrogata e al fatto che sia molto diversa».Abbiamo elencato casi molto diversi, di cui sono protagoniste personalità differenti con differenti gradi di consapevolezza. Tutte le vicende, però, hanno un elemento in comune: mostrano ciò che accade quando la realtà si divincola da sotto il tallone dell’ideologia. Se persino i «risvegliati» sperimentano i danni da politicamente corretto, significa che è davvero giunto il momento di tirare il freno d’emergenza.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.