2019-06-15
Washington e Riad puntano l’Iran (Putin permettendo)
Gli attacchi alle petroliere rinsaldano l'asse tra Usa e sauditi contro la Repubblica islamica. Ma Cina e Russia frenano.Torna a salire la tensione tra Stati Uniti e Iran. Teheran ha respinto «categoricamente» le accuse statunitensi secondo cui la Repubblica islamica avrebbe organizzato i recenti attacchi alle petroliere, avvenuti nel golfo di Oman. A renderlo noto, è stata la missione iraniana presso le Nazioni Unite che ha condannato «nei termini più forti» la tesi americana. «La guerra economica degli Stati Uniti e il terrorismo contro il popolo iraniano, nonché la loro massiccia presenza militare nella regione sono stati e continuano ad essere le principali fonti di insicurezza e instabilità nel Golfo Persico», si afferma nella dichiarazione di Teheran. «Né le invenzioni e le campagne di disinformazione, né incolpare vergognosamente gli altri», proseguono gli esponenti iraniani, «possono cambiare la realtà». Infine, la Repubblica islamica ha «espresso preoccupazione per gli incidenti alle petroliere», chiedendo per questo «alla comunità internazionale di essere all'altezza delle sue responsabilità nel prevenire le politiche e le pratiche sconsiderate e pericolose degli Usa». Del resto, la posizione del segretario di Stato americano, Mike Pompeo, era risultata piuttosto energica. «Gli spudorati attacchi nel Golfo di Oman», aveva dichiarato, «fanno parte di una campagna dell'Iran per aumentare le tensioni e creare sempre più instabilità nella regione. La risposta sarà economica e diplomatica». Una posizione in sostanza ribadita ieri dallo stesso Donald Trump durante un'intervista alla Fox, in cui ha affermato: «È stato l'Iran». Giovedì, gli Stati Uniti avevano tra l'altro diffuso un video che proverebbe la responsabilità iraniana nella vicenda: video che ha convinto Riad, lasciando tuttavia scettica Berlino. Tutto questo, mentre Cina e Russia stanno cercando di trovare una mediazione. «Nessuno ha informazioni sulle cause di questi incidenti e cosa ci sia dietro e quindi non si possono trarre conclusioni avventate», ha non a caso affermato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. La situazione si fa sempre più incandescente. E l'episodio delle petroliere viene adesso ad aggravare un contesto geopolitico già di per sé piuttosto complicato. Negli ultimissimi mesi, gli Stati Uniti hanno aumentato notevolmente la pressione economica e militare sull'Iran. Non solo la Casa Bianca ha inserito le guardie della Rivoluzione nella lista delle organizzazioni terroristiche ma ha anche inviato la portaerei Abraham Lincoln nel Golfo Persico, annunciando infine il dislocamento di millecinquecento soldati in Medio Oriente principalmente in funzione anti iraniana. Una linea dura, auspicata soprattutto dal consigliere per la sicurezza nazionale americano, John Bolton: notorio falco, che desidererebbe l'abbattimento del regime degli ayatollah. Un'impostazione molto severa che viene, del resto, condivisa da mondi variegati. Se tra i circoli di Washington si sta facendo sempre maggiore l'attività di lobbying da parte del principe ereditario iraniano Reza Ciro Pahlavi, anche sul fronte mediorientale c'è chi caldeggia questo approccio muscolare. In particolare, è l'Arabia Saudita ad auspicare un maggior coinvolgimento militare americano nell'area, da utilizzare come deterrente contro Teheran.Trump, dal canto suo, ha per il momento mantenuto una posizione meno rigida. Pur condividendo l'approccio duro contro gli ayatollah, non è sembrato - almeno sino ad oggi - troppo propenso a un cambio di regime in loco. Prova ne è il fatto che, qualche giorno fa, il presidente americano si sia cautamente detto disponibile ad aprire dei negoziati con l'Iran per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare. Un orientamento che può essere spiegato con varie ragioni. Innanzitutto è nota la propensione del magnate newyorchese a evitare di restare impelagato nei complicati scenari politici mediorientali. In secondo luogo, non è del tutto escludibile che Trump voglia salvaguardare il processo distensivo con Mosca. Nonostante i dossier divisivi tra Casa Bianca e Cremlino non siano affatto pochi, non è un mistero che il presidente americano auspichi ancora un disgelo con Putin. Non sarà del resto un caso che, pochi giorni fa, abbia annunciato un incontro con il presidente russo a margine del G20 che si terrà in Giappone a fine giugno. In tal senso, evitare un approccio troppo muscolare con Teheran (che di Mosca è la principale alleata mediorientale) potrebbe rientrare proprio in questa logica distensiva con la Russia. Infine, per Trump, un eventuale conflitto armato con l'Iran costituisce un pericolo alla luce del duello commerciale e geopolitico attualmente in atto con Pechino. Non dimentichiamo infatti che la Cina approfittò del pantano iracheno in cui si ritrovò Bush nei primi anni 2000 per incrementare il proprio peso geopolitico e militare. Adesso, queste tensioni stanno provocando una nuova escalation tra Washington e Teheran. E, non a caso, i recenti avvenimenti hanno rinsaldato l'asse della Russia con la Repubblica islamica. Ieri, il presidente iraniano Rohani ha infatti invocato un «riavvicinamento tra Teheran e Mosca», durante un vertice dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. E, mentre si attendono le prossime mosse di Washington, la situazione resta in bilico.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco