2023-08-01
«Voleva fare i capelli per la concorrenza». I connazionali gli mozzano mani e testa
Fermati due egiziani per l’uomo mutilato ripescato a Chiavari. Faceva il barbiere per uno degli aggressori, poi aveva cambiato. Macellato dai barbieri egiziani, chiuso in un trolley e poi buttato in mare solo perché voleva andare a lavorare per la concorrenza. L’incredibile delitto di Mahmoud Sayed Mohamed Abdalla, 19 anni, egiziano arrivato in Italia su un barcone nel 2021, assassinato e fatto a pezzi in un’abitazione di Genova in cui viveva con i due presunti assassini, Ahmed Gamal Kamel Abdelwahab, 26 anni detto Tito, e a Mohamed Ali Abdelghani, 27 anni, detto Bob, è ricostruito nei due capi d’imputazione, che sembrano ripercorrere la sceneggiatura di una pellicola splatter, con i quali la Procura genovese ha disposto il loro fermo. Con tre coltellate in sequenza, il 23 luglio scorso, i due indagati gli hanno lacerato un polmone, lesionato il fegato e colpito il cuore. Poi hanno infilato il cadavere in un valigione e il giorno seguente hanno preso un taxi. A Chiavari hanno raggiunto la spiaggia, hanno tagliato la testa al cadavere, poi le mani. E alla fine hanno gettato tutto a mare davanti a Santa Margherita. I resti sono riemersi un po’ alla volta. Alla foce del fiume Entella un bagnino ha trovato sull’arenile una mano. Poco dopo un tender a supporto di uno yacht ha individuato la salma. L’altra mano è finita sulla battigia la mattina seguente. Le impronte digitali hanno fornito subito l’identità del cadavere: Mahmoud era stato accolto come minore straniero non accompagnato e fotosegnalato. Quindi le sue impronte erano nel database delle forze dell’ordine. Ospitato in una comunità genovese, il 5 settembre 2022, raggiunta la maggiore età, ha cercato di rendersi autonomo. Ha lavorato in tre barberie diverse, sempre di proprietà di nordafricani e sempre a Genova. E qualche giorno prima di sparire ha pubblicato sul suo profilo Instagram una foto che lo ritraeva mentre tagliava i capelli in una barberia concorrente, di proprietà di un marocchino. Mahmoud aveva insomma deciso di dimettersi dalla bottega Aly Barber Shop, in cui lavorava alle dipendenze di Tito in via Merano, a Sestri Ponente. Una scelta che i suoi datori di lavoro devono aver preso come una sfida, tanto da condannarlo a morte. I carabinieri del nucleo investigativo individuano proprio quella barberia come l’ultimo posto in cui il cellulare di Mahmoud aggancia una cella telefonica. Cercano il proprietario, ma si scopre che è in Egitto dal 26 giugno. Al suo posto si presenta in caserma Tito, che riferisce agli investigatori che il ragazzo, regolarmente assunto, non era più andato a lavorare, né a dormire nella casa che condividevano. Un collega di lavoro e amico di Mahmoud, poi, ha raccontato ai militari che il ragazzo si lamentava di dover stare molte ore in piedi, che doveva pagarsi lui il pranzo e che per mandare i soldi alla famiglia aveva bisogno di un altro posto di lavoro. Poi ha riferito che tra il diciannovenne e il suo datore c’era stata una lite. I sospetti a quel punto sono cresciuti.Quando i carabinieri riescono a individuare il titolare della barberia che stava per assumere Mahmoud, però, apprendono un secondo dettaglio interessante: l’uomo riferisce di aver ricevuto una visita da Tito e da Bob, fratello del proprietario della barberia che la vittima voleva lasciare, e perfino una telefonata del titolare dall’Egitto, che gli intimava di non assumere il ragazzo. A questo punto i sospettati erano già due: Tito e Bob. L’analisi dei loro tabulati telefonici ha permesso di scoprire che entrambi avevano preso un taxi e che si erano spostati a Chiavari proprio la notte della scomparsa del ragazzo. I video delle telecamere acquisiti a Genova dai militari confermano la partenza con la valigia. Quelli acquisiti a Chiavari, invece, li immortalano a 160 metri dal punto in cui è ricomparsa una delle due mani di Mahmoud. Il tassista, ricostruisce Il Secolo XIX, avrebbe confermato di aver cominciato la propria corsa in zona Sestri Ponente, dove due stranieri erano saliti a bordo con due valigie, una delle quali di grosse dimensioni e particolarmente pesante. Talmente pesante che lo stesso tassista aveva invitato i due clienti a metterla nel bagagliaio. Il tassista non ha riconosciuto le foto dei due sospettati, ma l’individuazione del suo taxi è avvenuta tramite le telecamere stradali e il testimone ha riconosciuto il punto preciso in cui ha recuperato i clienti. Tito e Bob vengono quindi riconvocati in caserma. E rilasciano dichiarazioni che vengono definite dagli inquirenti «contrastanti». Poi confessano. La versione di Bob: «Tito aveva litigato con il ragazzo e gli aveva inferto varie coltellate; lui si era frapposto ma poi si era spostato per non ricevere un fendente. Tito lo aveva quindi minacciato di morte, inducendolo a non dire nulla e costringendolo ad aiutarlo a far sparire il corpo». Tito, invece, avrebbe confessato spostamenti e occultamenti, ma avrebbe reso «dichiarazioni poco credibili sulla dinamica dell’omicidio». Secondo Tito il ragazzo avrebbe «litigato con Bob». I due si sarebbero insultati finché Mahmoud non avrebbe preso un coltello. A quel punto avrebbe tentato di disarmarlo ferendosi a una mano. Il ragazzo sarebbe caduto, finendo sulla lama. Nonostante la ferita gli si sarebbe avventato di nuovo contro e a quel punto l’avrebbe accoltellato, una sola volta, ma per difendersi. Anche sullo smembramento del cadavere i due si sono addebitati reciprocamente le responsabilità. Il pm della Procura di Genova Daniela Pischetola ha ricostruito tutto in un decreto di fermo, ritenendo che a carico dei due indagati «sussistano gravi indizi di responsabilità» e li ha accusati di omicidio volontario e distruzione di cadavere.
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
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