2023-12-08
Il Pd rincorre il loggionista sui social ma stecca la campagna anti Digos
L’urlo «antifa» di Marco Vizzardelli alla Prima della Scala scalda i dem: «Identificateci». La questura: «È la prassi».Esca Cecchettin, entri Vizzardelli. Marco Vizzardelli. La nuova icona della sinistra social, il nuovo idolo del Pd. Di professione, giornalista specializzato in equitazione (non immaginatevi lo Hugh Grant di Cavalli&Segugi, il collega segue i cavalli che corrono all’ippodromo e da qualche ricerca sul Web, pare sia il nipote dell’avvocato Paolo Mezzanotte, un tempo presidente del Jockey club, grande figura dell’ippica italiana). Appassionato di opera, loggionista, 65 anni, Vizzardelli è colui che alla Prima della Scala, dopo l’inno, ha gridato «Viva l’Italia antifascista».Ignazio La Russa dal palco reale dice di non averlo sentito, ma la Digos sì. E ha proceduto a indentificarlo. Ovvero, come ha raccontato lui stesso a Repubblica, a chiedergli le generalità («Gli ho detto: “Se avessi urlato Viva l’Italia fascista avevate il diritto di portarmi via. Ma avendo detto il contrario...”. Sono scoppiati a ridere anche loro»). Poi un’ospitata su La7 e frasi riportate dalle agenzie in cui rivendica il gesto. Tanto basta per diventare il nuovo eroe dei dem che hanno fatto partire su X e Facebook la ganzissima campagna social con l’hashtag #identificarsi. Il gregge ha prontamente risposto all’appello e subito - dai big all’ultimo degli uscieri del Nazareno (ma è spuntato, nel dubbio, anche qualche esponente renziano) - hanno cominciato a postare le loro generalità. Da Chiara Gribaudo a Susanna Camusso, da Arturo Scotto ad Antonio Ferrante. «Viva l’Italia antifascista». Poi nome, cognome, nato a, giorno, mese, anno. E poi l’hashtag. Mancava solo il codice fiscale e chissenefrega della protezione dei dati personale, l’importante è #identificarsi #antifascista. Perché se non ti identifichi spontaneamente, se non stai con Vizzardelli, sei un fascio. «E adesso identificateci tutti e tutte!», ha postato anche il profilo social del Pd. Poi tutti ad attaccare la Digos a chiamare in causa il ministro Matteo Piantedosi, a denunciare la deriva autoritaria alla Orbán, a buttare sul ring #Vizzardelli contro il generale #Vannacci e pure contro il gioielliere di Grinzane, considerati evidentemente delle icone della destra. All’ora del tè è arrivato anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, che da vero influencer su Instagram - mica in mezzo al popolo urlante dell’ex Twitter o ai gattini di Facebook - ha chiesto: «E al loggionista che gli si fa? Chiedo per un amico». Simpaticissimo. Insomma, la solita caciara. O farsa, o operetta, visti che tutto è partito dalla Scala. Ora, è vero che la Digos ha lanciato un assist mica da ridere alla sinistra social, però ieri la polizia di Stato ha precisato in una nota che l’identificazione di due loggionisti (quindi Vizzardelli non era l’unico) fatta prima dell’inizio dell’opera «non è stata assolutamente determinata dal contenuto della frase pronunciata» e che «è stata effettuata quale modalità ordinaria di controllo preventivo per garantire la sicurezza della manifestazione». Precisazione che, lo ammettiamo, fa un po’ sorridere. Forse sarebbe stato meglio ricordare, per esempio, che il 9 dicembre del 2000, all’epoca il governo era guidato da Giuliano Amato, successe la stessa cosa. Frugando nell’archivio del Corriere della Sera, si ritrova ancora oggi l’articolo: «Mauro Fuolega, 35 anni, milanese, impiegato di banca con la passione per l’opera», è lui «il loggionista terribile» che alla Prima del Trovatore, dopo la fatidica scena della pira, urla «buuu, vergogna» al direttore d’orchestra Riccardo Muti. Mentre si avvicina al guardaroba viene avvicinato da due carabinieri, che gli chiedono i documenti. «Se uno spettatore disturba durante una recita è lecito procedere alla sua identificazione», spiegò in quell’occasione l’allora questore di Milano, Giovanni Finazzo, definendola un’iniziativa a fini preventivi. «Così in caso di esposto, di querela della Scala, si sa già chi è». Ma ai tempi non c’erano i social.