2022-04-30
Visco si smentisce e ammette la recessione
Ignazio Visco (Imagoeconomica)
Il governatore di Bankitalia adesso parla del rischio di una crisi lunga due anni: soltanto sei giorni fa negava il pericolo. Nel primo trimestre Pil giù dello 0,2%. A ottobre, con il rialzo dei tassi e la mancanza di gas, si scatenerà la tempesta perfetta.Ormai le stime si dimostrano vere fino a quando arrivano alla prova della realtà. Ne sa qualcosa il numero uno di Bankitalia, Ignazio Visco, che a distanza di soli sei giorni è passato da «una recessione in Italia è poco probabile» a «c’è il rischio di una moderata recessione quest’anno e il prossimo». In mezzo che è successo? Stando alle dichiarazioni di Visco l’aumento della probabilità di un embargo sul gas russo con conseguenti blackout. In verità la situazione e le tensioni sull’energia sono parte di una escalation programmata e dunque prevedibile. Così come è altamente probabile che le schermaglie attorno al pagamento in rubli piuttosto che in euro, anche se non portassero a una chiusura totale, causino comunque il rialzo dei prezzi e un importante impatto sull’inflazione. Il concetto di «moderata recessione» ricorda quello di «inflazione temporanea» sostenuto dallo stesso Visco poco più di sei mesi fa. Quando il trend inflattivo era già chiarissimo e non ancora aggravato dallo scoppio della guerra. Al tempo il governatore di Bankitalia era a dire il vero in buona compagnia. Christine Lagarde nel giugno del 2021 davanti all’Europarlamento ha dichiarato che l’aumento dell’inflazione sarebbe stato temporaneo e che una stretta monetaria sarebbe stata prematura. A novembre è tornata sul tema: «Non prendiamo alla leggera questa fase di aumento dell’inflazione. Ma nella nostra revisione della strategia abbiamo concordato come affrontare il tipo di situazione che affrontiamo oggi e ci impegniamo a garantire che l’inflazione si stabilizzi al nostro obiettivo del 2% a medio termine».Tre mesi dopo, a fine gennaio, già i toni della Lagarde si dimostravano diversi. «Pronti ad agire se le stime dei prezzi lo richiedessero». Ecco che soltanto con lo scoppio della guerra i vertici delle istituzioni finanziarie hanno trovato il coraggio di ammettere il cambio di prospettiva economica. Lo hanno fatto consapevoli di poter attribuire colpe a eventi esterni e imprevisti (l’invasione russa) quando invece i fondamentali già avrebbero dovuto spingere chi ci governa a interventi straordinari. La pandemia ha spezzato la catena produttiva che si è formata in 20 anni di globalizzazione spinta. Ha creato colli di bottiglia che alimentano l’inflazione e ha prodotto restringimenti negli approvvigionamenti energetici aggravati dalle politiche ecologiche dell’Ue. Così facendo si è sprecato un anno intero. Non si è fatto nulla per correre ai ripari.E anche adesso basta interpretare le parole di Visco per comprendere che il rischio è arrivare alla tempesta perfetta del prossimo ottobre quando il muro contro cui sbattere sarà molto vicino alle nostre facce. Non c’è soltanto un tema di inflazione e di Pil (tornato a diminuire dello 0,2% da noi mentre la Francia ha segnato crescita zero nel primo trimestre) ma anche le necessarie mosse della Bce sulle politiche monetarie. «La nuova strategia si è riflessa nella ricalibrazione delle indicazioni prospettiche sui tassi di interesse e ha orientato la risposta della nostra politica monetaria agli andamenti economici nella seconda metà dell’anno», si legge nel report della Banca centrale di giovedì, «A fronte di una ripresa fragile e di un’inflazione contenuta, abbiamo fornito ampio sostegno monetario per riportare l’inflazione più vicina al nostro obiettivo. All’aumentare dell’inflazione abbiamo gestito con pazienza e persistenza il corso della nostra politica per evitare un inasprimento prematuro in risposta a shock indotti dall’offerta. Abbiamo adeguato il ritmo degli acquisti netti effettuati nell’ambito del programma di acquisto per l’emergenza pandemica in linea con l’evoluzione delle prospettive e con la nostra valutazione delle condizioni di finanziamento». Tradotto, a partire da ottobre ci sarà un rialzo dei tassi di interesse e comincerà a entrare nel vivo il passo indietro sugli acquisti dei titoli. Per un Paese iperindebitato come il nostro significherà avere un salvagente meno sgonfio. Una questione che avremmo dovuto affrontare ugualmente ma che con un eventuale stop energetico diventerà un problema vivo. Non avere energia per produrre significherà inchiodare la produzione e quindi mettere una zavorra al Pil. Ha ragione Janet Yellen, già collega di Mario Draghi e ora segretario di Stato Usa, quando fa capire che l’Italia non può più permettersi di aderire al Patto di stabilità. Con ciò non è che dobbiamo ulteriormente indebitarci, ma trovare un punto di caduta sulla spesa corrente. E non possono bastare le parole del commissario Paolo Gentiloni il cui incarico passerà alla storia come quello con il maggior numero di cigni neri: «La stagnazione è connessa alla durata della guerra» ha detto per poi scaricare le colpe su Vladimir Putin. La crisi del modello europeo era già in atto da tempo e i cittadini Ue meriterebbero una discussione aperta sulle alternative e non essere confusi da continue dichiarazioni nebulose e di facciata.
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