2025-04-01
Secondo i giudici, i violenti del collettivo Askatasuna agivano senza coordinarsi
Condannati 18 attivisti torinesi, ma cade l’accusa di associazione per delinquere. Loro esultano. Fdi: «Eppure la Cassazione parlò di "luogo dove si pensa alla lotta armata"».Al processo contro i militanti legati al centro sociale Askatasuna, al movimento No Tav e ad altre realtà antagoniste cade l’accusa più pesante, quella di associazione per delinquere, ma la giustizia non ha trasformato gli attivisti in martiri: le condanne, su 28 imputati, sono 18, per un totale di 21 anni di carcere. E anche se i leader del collettivo esultano, la realtà è che buona parte degli imputati ha qualcosa da scontare per accuse che, a vario titolo, vanno dalla violenza privata alla rapina, alla resistenza a pubblico ufficiale, fino all’incendio e al danneggiamento. Ovvero i reati tipici da centro sociale. Con un’ulteriore contestazione: l’intimidazione a un migrante ospite di una casa occupata. Le condanne più pesanti colpiscono Umberto Raviola, 4 anni e 9 mesi, e Giorgio Rossetto, storico leader del centro sociale, 3 anni e 4 mesi. Per Andrea Bonadonna, volto noto della galassia No Tav, 9 mesi. Assolti invece Dana Lauriola e Guido Marco Borio, due nomi di peso nella struttura di Askatasuna. La lettura del dispositivo è durata 18 minuti, tempo necessario per snocciolare i 72 capi d’imputazione che coinvolgevano gli imputati. Il Tribunale di Torino, presieduto da Federica Bompieri, con a latere Andrea Natale e Rachele Olivero, ha riconosciuto anche un risarcimento alla società Telt, che gestisce la Torino-Lione: 500 euro di danni, oltre alle spese legali. La presidenza del Consiglio e i ministeri della Difesa e degli Interni, che avevano chiesto risarcimenti per 6,8 milioni di euro, si dovranno accontentare, per i giudici, di 6.504 euro per le spese di costituzione in giudizio. Nessuna provvisionale. La mattinata si è aperta con un’aula piena di militanti. L’ultima volta si erano messi a intonare «Bella ciao», ieri invece hanno contestato una circolare della Procura che ha vietato l’ingresso nel palazzo di giustizia a chi è sottoposto a misure di prevenzione e ha imposto l’identificazione obbligatoria per il pubblico. Niente caschi, niente megafoni, niente maschere. In tribunale niente simboli di battaglia. Ma fuori la protesta non si ferma. Duecento persone presidiano il Palagiustizia, accolgono gli assolti con applausi e slogan. Qualcuno accende un fumogeno. Il solito copione. Bonadonna prende il microfono e arringa la folla: «Siamo la Torino che lotta». Rivendica la militanza e cerca di trasformare la sentenza in una vittoria politica. «Chi lotta per il bene della città e del quartiere non può essere equiparato a un delinquente», dice, ignorando il fatto che 17 «compagni» di lotta, lui compreso, sono stati condannati. «Il teorema è crollato», ripete, mentre i manifestanti ballano e cantano. Fin qui la narrazione di parte. Ma non è crollato del tutto. Perché la giustizia ha stabilito che Askatasuna non è un’associazione per delinquere, ma neanche un innocente gruppo di attivisti incompresi. Tra assoluzioni e condanne, il messaggio è chiaro: la militanza non è un lasciapassare per l’impunità. Le ricostruzioni investigative delle azioni durante le manifestazioni in città e i cortei del Primo maggio, gli scontri con i militanti di destra all’università e gli attacchi contro il cantiere Tav, verranno ora storicizzate dai giudici di primo grado nella sentenza. Il procuratore aggiunto Emilio Gatti e il pm Manuela Pedrotta avevano chiesto in aula un totale di 88 anni di carcere. Nella memoria depositata a fine processo, la Procura descriveva «l’associazione a delinquere» con una struttura verticistica, ruoli definiti, basi logistiche e operative. Sono rimaste le azioni violente. E infatti per il segretario generale del Coisp (diversi sindacati hanno chiesto al ministro dell’Interno Piantedosi di impugnare la sentenza), Domenico Pianese, la sentenza «umilia profondamente tutti i poliziotti che hanno servito lo Stato in condizioni estreme. Dopo anni di violenze organizzate, assalti al cantiere Tav, manifestazioni trasformate in vere e proprie azioni di guerriglia, con centinaia di poliziotti feriti in modo grave, sentirsi dire che non esiste un’associazione a delinquere è semplicemente surreale». Per Pianese Askatasuna avrebbe «operato come un gruppo strutturato e con metodi paramilitari». Ma c’è anche un aspetto politico. Il consigliere comunale torinese di Fratelli d’Italia Ferrante De Benedictis commenta: «Oggi cade l’accusa di associazione a delinquere ma vorrei ricordare che rimangono scolpite su pietra le parole della Cassazione che parla di “luogo dove si pensa alla lotta armata”. La sentenza conferma per diversi imputati le condanne per reati contro il patrimonio e per gli attacchi nei confronti delle forze di polizia. Da un punto di vista politico questo è sufficiente per confermare la nostra contrarietà al progetto di legalizzazione di Askatasuna portato avanti dal sindaco Stefano Lo Russo». Mentre il vicepresidente della Regione Piemonte, Elena Chiorino, ha ricordato che «lo Stato non dovrà mai scendere a patti con i militanti di Askatasuna». E ha aggiunto: «Le sentenze si rispettano sempre, ma la politica ha il dovere di non arretrare di fronte a chi usa la violenza come strumento di lotta». Per Augusta Montaruli, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, «chi si professa fuori da ogni regola, assurgendo a professionisti del disordine, minaccia le istituzioni, devasta la città, i beni della cittadinanza e il patrimonio, così come chi aggredisce le forze dell'ordine, non può mai essere un interlocutore dello Stato e pertanto delle amministrazioni degli enti locali». Messa da parte la questione giudiziaria, infatti, resta aperta la sanatoria con la quale l’amministrazione comunale torinese sta cercando di legalizzare Askatasuna.
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)