2025-01-05
La difesa del vino è un tema di libertà ma soprattutto di tutela dell’export
Ennesima trovata da Stato etico: etichette sulle bottiglie per segnalare i rischi. Così si affossa un’eccellenza italiana.Il surgeon general degli Stati Uniti, il funzionario federale che si occupa di sanità, ha proposto di etichettare le bottiglie di vino alla maniere delle sigarette. Vivek Murthy, nominato da Joe Biden, cita studi «scientifici» secondo cui l’alcol contribuirebbe a circa 100.000 casi di cancro e 20.000 morti ogni anno. La validità degli studi sembra simile a quella relativa ai report contro il fumo o le nuove forme di sigarette. Nel senso che da entrambi i lati vanno presi con le pinze. I numeri sono importanti, ma possono sempre essere tirati per la giacchetta. E in questo caso i motivi per storpiare i numeri sono vari e tutti pericolosi. Primo per una deriva da Stato etico e secondo per battaglie economiche che valgono miliardi di euro, citando solo i valori di export del nostro Paese verso gli Usa. Per quanto riguarda la deriva etica, purtroppo gli Usa non sono così dissimili da Bruxelles. Non tanto perché nell’ambito della Commissione si discute da tempo la questione dei vini dealcolizzati, ma anche perché già due nazioni in Ue impongono etichette che equiparano senza alcuna sfumatura l’uso del vino agli effetti dell’abuso. A Milano se si fuma per strada in determinate condizioni dal primo gennaio si rischia una multa. La cosa grave è che gli amministratori locali hanno palesemente dichiarato che le motivazioni dietro ai divieti sono anche di natura sanitaria. Il che significa che l’aspetto educativo (che vale per il fumo quanto per l’alcol) rimane prioritario nella testa di questi legislatori. Convinti che il bene collettivo sia primario rispetto a quello individuale. Noi sappiamo come il bene collettivo sia solo un’immagine distopica creata dalla politica (soprattutto socialista) e che in realtà esiste solo il bene individuale con l’aggiunta del rispetto delle leggi penali e degli spazi altrui. Che significa? Semplice. Che sia per il fumo che per il vino serve l’educazione in famiglia e quella a scuola. Non serve una legge che vieti per sapere che non si fuma vicino a un bambino o a un anziano. Così come non serve una legge che spinga nella direzione dell’abolizione dell’alcol per non abusarne. Al contrario, le etichette e i divieti sono parte integrante di una cultura che azzera l’educazione e il libero arbitrio per costruire una civiltà nella quale i cittadini non sono più tenuti a pensare e fare scelte di buon senso. Non siamo qui dunque a fare una battaglia per il piacere di fumare o bere, ma per mantenere una struttura nella quale lo Stato sia paritetico rispetto al cittadino e non al contrario il primo diventi una struttura piramidale nella quale esistano soltanto sudditi. In fondo, si chiama democrazia e di questi tempi, anche per via della spinta iper tecnologica, diventa doverose ribadire l’ovvio. Meglio non stancarsi di farlo. Senza contare - e questo vale soprattutto per chi segue il dito piuttosto che la luna - che dietro l’annosa battaglia contro il vino naturale si nascondono interessi enormi che nulla hanno a che fare con la salute. Sul fronte macroeconomico, nel 2025 la produzione alimentare rappresenterà per il nostro Paese un traino rispetto a quella manifatturiera generale. Quest’anno, secondo i dati di Filiera Italia, la produzione industriale totale dovrebbe toccare il -1,0% (nel 2024 era a -3,3%), mentre la produzione dell’industria alimentare è prevista fra il +1,0% e il +1,3% (nel 2024 è stata +1,7%). Si tratta di un traino legato in particolar modo all’export che consoliderà sostanzialmente la crescita dell’anno appena trascorso. Sempre secondo Filiera Italia, si prevede che l’export totale per il 2025 si attesti tra +1,0% e +1,5% (era -0,7% 2024) mentre le esportazioni dell’industria alimentare raggiungeranno nel 2025 un +7,0%. Un valore di poco al di sotto del 2024 (+8,6%) legato aduna stabilizzazione del mercato Usa, da sempre trainante per il comparto e che tiene già conto della minaccia di dazi. Chi si straccia le vesti per il pericolo Trump alla Casa Bianca proprio per la possibile recrudescenza della strategia dei dazi dovrebbe temere ancor di più queste politiche pseudo sanitarie sul vino. Ieri su La Repubblica Carlo Petrini, fondatore di Slow food, apriva - anche se con cautela - al business dei vini senza alcol. Il distinguo era «purché non si usi chimica». Ma sappiamo tutti che il tema è questo. La nostra industria agroalimentare si batte contro i cibi processati e lo stesso contro la deformazione del vino naturale. Lo scadimento qualitativo dell’alimentazione e un maggior consumo di cibi ultra processati, ricchi di ingredienti chimici, che potrebbero essere i veri responsabili di un’ondata di malattie croniche non trasmissibili legate all’obesità, sono due dei maggiori pericoli per il 2025. Anno in cui potrebbero venire al pettine una serie di nodi e di battaglie in sede Ue e non è escluso in sede Usa. Non sappiamo al momento, ad esempio, quale sia il pensiero e il posizionamento di Donald Trump sulla proposta del surgeon general dell’altro giorno. Questo resta una incognita per il momento. Ciò che è certo è che per l’Italia si tratta di una battaglia ancor più delicata di quella dei dazi. Perché gli avversari politici sventolano la nostra stessa bandiera, quella blu con le stelle dell’Ue. Medesimo discorso degli accordi multilaterali tra Europa e Mercosur. Nella speranza illusoria di salvare il mercato dell’auto devastato dalla transizione green, l’Ue non si fa problemi a sacrificare un pezzo del business degli agricoltori. Esattamente ciò che va evitato. Basta tornare a dare uno sguardo ai dati di eproduzione ed export. Per i prossimi anni, sempre che il manifatturiero si riprenda, a salvarci sarà l’agroalimentare.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)