2025-06-22
I progressisti scossi dalle guerre in serie: sullo scacchiere vince chi è più forte
Da «Repubblica» alla «Stampa», via al dibattito sul tramonto del diritto internazionale. Inerme nella lotta per il nuovo ordine.«È la politica, non il diritto, la causa della formazione dell’ordine». Il professor Carlo Galli è uno studioso troppo arguto per non rendersi conto che, in dodici parole, ha demolito il totem della sinistra liberal-globalista generata dalla «fine della Storia». Lo ha fatto ieri, sulle pagine di Repubblica, quotidiano organico a un’area culturale che le «regole di funzionamento, di manutenzione» dei sistemi internazionali, di cui egli ha inquadrato il declino, le aveva rese un feticcio.L’ordine fondato sulle norme era stato costruito dopo il massimo trionfo dell’anomia: la seconda guerra mondiale. Ma ormai quella struttura è, per usare l’espressione di Galli, in pieno «smottamento». E non è ancora arrivata un’altra «normalità». «In questa fase magmatica, tutta politica, il diritto internazionale non ha più voce», «non ha più terreno su cui basarsi», perché «fra le armi tacciono le leggi». «Il diritto internazionale», ha concluso l’autore, «è il volto razionale, riconoscibile e prevedibile, di una normalità che non è alla sua portata creare». Sullo stato d’eccezione, diremmo con Carl Schmitt, decide la sovranità politica.Così, il vero dramma della nostra epoca non è tanto che «lo sforzo di costruire una legalità internazionale attraverso le Nazioni Unite, le Corti internazionali e i diversi trattati, è stato vanificato dalle scelte politiche degli ultimi decenni», come ha lamentato sul Fatto Quotidiano il fisico Carlo Rovelli. La tragedia l’ha fotografata ancora Galli: il guaio è che quella volontà politica non sa esprimersi se non attraverso la guerra, mentre non è in grado di «elaborare un’idea di pace, di delineare un progetto di ordine nuovo». Ce ne siamo accorti osservando il luogo di più profondo occultamento della realtà sostanziale del potere mediante la forma giuridica: l’Unione europea, la maggiore utopia della «neutralizzazione» della politica, è stata incapace di proporre soluzioni diplomatiche - cioè politiche - alla crisi in Ucraina. E il suo Alto rappresentante, Kaja Kallas, costitutivamente impossibilitato a prendere una posizione sul Medio Oriente, si limita a sciorinare un documento che illustrerebbe le violazioni dei diritti umani, da parte di Israele, a Gaza e in Cisgiordania. Abusi orrendi, certo. Ma siamo sempre lì: al posto dello scacchiere, al posto degli interessi, ossia al posto della realtà, ci sono i paraventi del diritto internazionale e della morale. Che però non sono autocefali; stanno in piedi solo se sorretti da un ordine che è stato un atto di forza a istituire.Adesso, dinanzi allo sgretolamento dell’egemonia americana, allo scenario multipolare che sobbolle e s’infiamma, alle sempre più frequenti picconate all’armonica sinfonia di precetti del mondo postsovietico, i progressisti si scoprono impreparati. Si accorgono, con lo sprovveduto sgomento di Concita De Gregorio a È sempre Cartabianca, che appellarsi a principi astratti, ancorché nobili, non basta più. Perché - ritorna Schmitt - la «tirannia» dei valori assoluti, da affermare contro Sansone e tutti i filistei, non è più puntellata da un potere che sia nelle condizioni di esercitarla davvero.La sfrontatezza con la quale Israele sta facendo piazza pulita delle illusioni giuridiche ed eticheggianti deve aver scosso la sinistra, che negli ultimi giorni si sta interrogando e arrovellando. A parte il professor Galli su Repubblica, sulla Stampa di ieri campeggiava la recensione dell’accorto Domenico Quirico al recente libro del reporter egiziano Omar El Akkad. L’inviato di guerra tuonava: «Il diritto internazionale, le corti penali planetarie, le incriminazioni stampate su atti di accusa monumentali non sono che nostre bugie, polvere burocratica, inganno». Siamo ben oltre la critica di maniera all’inefficacia o all’ipocrisia dell’Onu; è il de profundis di un’era, la fine di un’allucinazione. Una finestra spalancata all’improvviso sulla politica di potenza, riemersa dalle nebbie del multilateralismo. Il desiderio degli Stati di sopravvivere e restare sovrani, accrescendo anche il proprio potere, magari a scapito degli altri, da sempre prevale sulle considerazioni di civiltà, giustizia e umanità. Anzi, persino gli altissimi proclami morali, spesso, sono stati piegati ai comodi del più forte. Non si tratta di compiacersene; solo di constatarlo. E non significa neppure che, a fronte della fondamentale anarchia del sistema internazionale, sia inutile negoziare delle regole. Ne era convinto Hedley Bull: un concerto di Stati, a suo parere, poteva darsi nome di condotta condivise. E checché ne pensi John Mearsheimer, per le democrazie liberali sarà comunque più difficile che per le autocrazie giustificare prepotenze, soprusi, violenze. Solo che, quando si arriva alle questioni di vita e di morte, le chiacchiere sono destinate ad andare via col vento.«Il diritto internazionale è un inganno», ha detto al quotidiano di Torino, giovedì, il saggista Robert Kaplan. «Qui», nel caso del conflitto in Iran, «è in gioco la sopravvivenza degli Stati. […] Lo Stato ebraico vive sotto la minaccia della propria esistenza […]. L’Europa può pensare in termini di diritto internazionale e di regole Onu solo perché la sua sicurezza è garantita dagli Usa. È un lusso che Israele non ha». Per qualcuno, l’arrivo dell’età adulta si sta trasformando in uno psicodramma.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.