2024-01-10
Verso l’accordo permanente Santa Sede-Xi
L’attuale vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow (Ansa)
Il patto sino-vaticano scade alla fine dell’anno e le parti stanno ragionando di renderlo stabile. Anche se i vantaggi per Oltretevere sono scarsi visto che Pechino continua a violare i termini di un’intesa che, se rinnovata, provocherà altre spaccature nella Chiesa.Il 2024 potrebbe rivelarsi un anno cruciale per le relazioni tra Santa Sede e Cina. A sottolinearlo è stata mercoledì scorso la rivista dei gesuiti statunitensi, America Magazine. «Una questione importante su cui Francesco deve decidere entro ottobre 2024 riguarda l’accordo provvisorio sino-vaticano firmato a Pechino il 22 settembre 2018, riguardante la nomina dei vescovi nella Cina continentale», ha scritto la testata, per poi proseguire: «La Santa Sede e la Cina hanno rinnovato questo accordo nel 2020 e nel 2022. Quest’anno le due parti dovranno decidere se rinnovare l’accordo per altri due anni, renderlo permanente o apportarvi delle modifiche».Insomma, le due parti non starebbero trattando soltanto un probabile rinnovo, ma l’accordo potrebbe addirittura diventare «permanente». Si tratta di uno scenario tutt’altro che improbabile, visto che, nel corso del 2023, il Pontefice ha di fatto più volte confermato la propria svolta geopolitica filocinese. Durante il viaggio in Mongolia, a settembre, esortò i cattolici cinesi a essere dei «buoni cittadini». Senza, poi, dimenticare che, nell’esortazione apostolica Laudate Deum, ha de facto strizzato l’occhio alla Repubblica popolare. Inoltre, in settembre, il Papa ha creato cardinale l’attuale vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow: un notorio fautore dell’accordo sino-vaticano. Era lo scorso aprile quando Chow si recò nella capitale cinese, mentre a novembre è stato l’arcivescovo di Pechino, Joseph Li Shan, a visitare Hong Kong su invito dello stesso Chow.Un ulteriore elemento significativo sta nel fatto che a ventilare l’ipotesi di un accordo sino-vaticano permanente sia stata proprio la rivista americana dei gesuiti: la Compagnia di Gesù rappresenta uno dei gruppi che stanno maggiormente spingendo a favore della distensione tra Santa Sede e Cina. Un altro potente network che preme da sempre nella stessa direzione è la Comunità di Sant’Egidio. Il suo fondatore, Andrea Riccardi, è uno storico sostenitore dell’accordo sino-vaticano. Inoltre, domenica scorsa, un esponente della Comunità, Agostino Giovagnoli, ha pubblicato un editoriale su Avvenire, in cui - tra le altre cose - criticava Donald Trump: un presidente americano che non è stato esattamente tenero nei confronti di Pechino.Giovagnoli fa anche parte del comitato scientifico del Confucio Institute dell’Università Cattolica e, nel settembre 2021, moderò «Occidente e Cina: dialogo e collaborazione tra XX e XXI secolo». Si trattava di un evento online a cui presero parte, tra gli altri, il vice capo dell’ambasciata cinese in Italia Zheng Xuan e monsignor Claudio Maria Celli: uno dei principali negoziatori dell’accordo sino-vaticano, oltre che storico collaboratore del defunto cardinale Achille Silvestrini, noto sponsor di quel Giuseppe Conte che, secondo Repubblica, vorrebbe candidare Riccardi alle elezioni europee.Eppure, mentre la Santa Sede prosegue nella sua linea filocinese, Pechino continua a violare i termini dell’intesa. A luglio, la Cina ha nominato vescovo di Shanghai Joseph Shen Bin senza consultare il Vaticano, che ha deciso comunque di ratificare la designazione a fatto compiuto. Settimana scorsa Asia News ha riportato che il vescovo di Wenzhou, Peter Shao Zhumin, è stato arrestato dalle autorità della provincia dello Zhejiang. In particolare, l’arresto ha avuto luogo dopo che Shao aveva protestato con l’Associazione patriottica cattolica cinese (che è controllata dal governo di Pechino) per alcune violazioni della sua giurisdizione. Infine, dal 2018 Xi Jinping ha avviato una politica di indottrinamento dei cattolici cinesi sulla base dei principi del socialismo (la cosiddetta «sinicizzazione»). Non è un caso che, negli scorsi anni, l’accordo sino-vaticano sia stato criticato da vari porporati di area «ratzingeriana», che vorrebbero riportare in Occidente il baricentro della politica estera vaticana: da Joseph Zen a Timothy Dolan, passando per Raymond Burke e Gerhard Müller.D’altronde, se i suoi rapporti con l’amministrazione Trump erano pessimi, Francesco tende a giocare di sponda con gli esponenti più filocinesi dell’establishment democratico statunitense. A settembre, il Papa è intervenuto in video a un evento della Clinton Foundation, mentre a giugno ha ricevuto in udienza privata l’inviato speciale americano per il clima, John Kerry. Nell’attuale Casa Bianca, Kerry è la figura che spinge maggiormente per la distensione con Pechino, mentre i Clinton hanno ospitato agli eventi della loro fondazione personaggi non esattamente distanti dalla Cina (si pensi solo al direttore dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, o al ceo di BlackRock, Larry Fink). Bill Clinton fu inoltre, da presidente, il principale artefice dell’ingresso del Dragone nell’Organizzazione mondiale del commercio.Il probabile rinnovo dell’accordo sino-vaticano creerà ulteriori tensioni nel mondo cattolico e non potrà non intersecarsi con la campagna elettorale per le presidenziali americane del prossimo novembre. Senza, poi, trascurare i possibili impatti geopolitici. Se - come ipotizza America Magazine - l’intesa diventasse permanente, che ripercussioni ci sarebbero sulle relazioni diplomatiche tra il Vaticano e Taiwan? Non è che le manovre di Pechino sono finalizzate a ottenere un riconoscimento formale da parte della Santa Sede? E, se così fosse, la Santa Sede che cosa farà?
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