2019-11-14
Venezia sott’acqua piange il Mose che non c’è
Il maltempo causa due morti e l'acqua sale fino a 187 centimetri. Ci fossero state le barriere mobili, la città si sarebbe difesa. La prima pietra è del 2003, ma nel 2013 uno scandalo rallentò tutto. E ora servirebbero 100 milioni l'anno per la manutenzione.Quella del 1966 l'avevano battezzata «l'acqua granda». Sotto una marea alta quasi due metri, i veneziani ritrovarono l'orgoglio degli antichi signori dei mari e diedero un senso di maestosità a un evento tragico. Ma oggi all'orgoglio è subentrata la rabbia di ritrovarsi di nuovo sommersi dopo 53 anni e soprattutto dopo avere costruito il Mose, il profeta che avrebbe dovuto salvare Venezia dalle acque impedendo proprio quello che è successo ieri. Due morti, una marea che passa alla storia come la seconda mai salita (187 centimetri contro i 194 dell'alluvione), la basilica e la cripta di San Marco ancora invase dall'acqua quando gli ultimi restauri a marmi e mosaici millenari sono appena terminati, un incendio a Ca' Pesaro che ospita la Galleria d'arte moderna e il Museo di arte orientale. Il premier Giuseppe Conte che accorre, il governatore Luca Zaia che chiede lo stato di calamità, il sindaco Luigi Brugnaro che gira di casa in casa a fare il conto dei danni. Una città che tutto il mondo ci invidia piegata e piagata.I venti, le piogge, l'abbassamento del suolo dovuto allo svuotamento della falda sotterranea, l'innalzamento del livello medio dell'Adriatico, i canali scavati per fare passare petroliere e navi da crociera: fenomeni noti. Per contrastarli si è deciso di costruire barriere mobili, che normalmente giacciono in fondo al mare e vengono fatte emergere quando arriva l'onda cattiva. Un'opera di ingegneria idraulica unica al mondo. L'idea risale agli anni 70, la legge speciale che autorizza la progettazione è del 1984, la prima paratoia sperimentale fu posata nel 1988: 31 anni fa. Allora si parlava di una spesa di 3.200 miliardi di lire, cioè 1,65 miliardi di euro: siamo arrivati a 5,5 miliardi finora spesi e si prevede di toccare i 7 miliardi finali. Fino agli anni Duemila, il progetto attraversa ministeri, Tribunali amministrativi, Comitatone, commissioni di impatto ambientale, verifiche preliminari. Ci sono voluti due decenni per dare il via effettivo ai lavori, fu Silvio Berlusconi il 14 maggio 2003 a posare la prima pietra con il fido governatore veneto Giancarlo Galan a fianco. L'allora sindaco Massimo Cacciari insisteva a cercare progetti alternativi e ostacolare l'opera contro la volontà stessa del suo partito, al punto che furono due ulivisti, il premier Romano Prodi e il nuovo sindaco Paolo Costa, a dovere battere i pugni per fare avanzare i lavori. Una grande opera «bipartisan», dunque, la cui fine però è ancora lontana.Fino al 2013, il Mose avanzò secondo programma con le opere preliminari: posa dei sassi, rafforzamento dei fondali, tunnel sottomarino per le manutenzioni, cerniere subacquee, isola artificiale di sostegno, realizzazione dei 78 cassoni vuoti da collocare lungo le tre bocche di porto della laguna, cioè Lido, Malamocco e Chioggia. Una volta incardinati al fondo marino, in caso di acqua alta essi sarebbero stati riempiti d'aria, svuotati dall'acqua e portati in verticale a formare una barriera che doveva difendere la Serenissima da maree alte anche 3 metri. Ieri dunque Venezia sarebbe stata preservata dal disastro.Ma in quell'anno capitò quello che in Italia è ormai inevitabile quando si tratta di grandi opere: tangenti, indagini, arresti eccellenti. In manette finisce Piergiorgio Baita, l'amministratore delegato della Mantovani, una delle imprese associate nel Consorzio Venezia nuova (Cvn) che deve realizzare il Mose per conto del ministero delle Infrastrutture. Baita collabora con gli inquirenti. Dopo qualche mese ai domiciliari finisce Giovanni Mazzacurati, presidente del Cvn, che spalanca il libro nero delle mazzette distribuite. Nel giugno 2014 vengono arrestati l'ex governatore Galan, l'allora sindaco Giorgio Orsoni (poi assolto), l'ex assessore regionale Renato Chisso, l'ex europarlamentare Lia Sartori, i vertici delle imprese consorziate, generali della finanza, funzionari del Magistrato alle acque. Sono oltre 100 le persone coinvolte nella mangiatoia della tangentopoli veneta. I lavori bloccati dalle inchieste ripartono quando l'Autorità anticorruzione nomina tre commissari alla guida del Cvn. La gestione commissariale è ancora in carica. La fine delle opere, inizialmente fissata per il 2016, è ora slittata al 2021: al momento è completato il 93% del Mose e finché non è tutto pronto le paratoie sono inutilizzabili. Ora è tutto liscio, dunque? Nemmeno per sogno. I cassoni già collocati presentano problemi prima ancora di entrare in funzione: meno di un mese fa sono state rilevate vibrazioni preoccupanti in alcuni tubi delle linee di scarico e verifiche sono state condotte fino alla settimana scorsa. Le cerniere poste sul fondo, costate 250 milioni e in teoria garantite per 100 anni, sono già arrugginite. Gli stessi autori del progetto originale hanno avanzato critiche sulla qualità scadente dei materiali utilizzati. Secondo Roberto Linetti, ex provveditore alle opere pubbliche del Nordest, manca un piano complessivo per la manutenzione che dovrebbe costare non meno di 100 milioni di euro l'anno. E intanto Venezia continua ad affondare.