2021-03-02
Da Vauro alla Murgia. Ormai a sinistra non hanno più classe nemmeno nell’odio
Michela Murgia (Getty Images)
Cambiano gli intellettuali di riferimento e il livello scende sempre di più. Ma non si estinguono disprezzo e superiorità. Cambiano le generazioni, ma loro non cambiano. Sì, mutano i nomi e i volti, ma lo stile è sempre quello, l'arroganza è sempre quella. E, soprattutto, è identico il privilegio che rivendicano: l'impunità. Possono insultare chi vogliono, discriminare chi vogliono, ogni volta senza conseguenze. Si prendono la libertà di essere banali, ripetitivi, superficiali, stereotipati. Ma ovviamente non rinunciano a un grammo di superiorità, non smettono nemmeno per un attimo di dare lezioni. Trattano chi la pensa diversamente da loro come un bruto da rieducare, ma sono i primi a vellicare i bassi istinti del loro pubblico. Tra Michela Murgia è Vauro Senesi, per dire, lo scarto generazionale è evidente. Il vignettista è il residuo di un'epoca passata, un comunista che, almeno, non prova nemmeno a fingere d'essersi moderato. La scrittrice, invece, è la stellina in ascesa. Sforna libri a ripetizione, ha sostituito Roberto Saviano all'Espresso, dove firma la rubrica che fu di Giorgio Bocca, gode di una notevole esposizione cartacea e catodica. Insomma, parliamo di due personalità molto diverse, che per altro si esprimono con toni e modi differenzi. Eppure, a ben vedere, il loro atteggiamento di fondo è lo stesso. Il loro fastidio nei confronti dell'avversario politico e del nemico ideologico è ugualmente feroce, insistente, perfino violento. Sono entrambi ossessionati dal fascismo di ritorno, senza il quale non avrebbero probabilmente ragione d'esistere. «È una stupidaggine negare la deriva fascista!», dice Vauro in un libro intervista uscito da poco e intitolato Lo straccio rosso (Aliberti). «Io parlerei di fascismo diffuso per quanto sta avvenendo, purtroppo anche per grandi responsabilità di una sinistra che ha abdicato ai propri valori fondativi. Il fascismo, in senso gramsciano, sta diventando senso comune in questo Paese». La Murgia non esprime concetti molto diversi. La ricordiamo celebrata autrice di un «fascistometro», un test utile a scovare il fascista nascosto in ogni italiano. Degli italiani, dopo tutto, i nostri due protagonisti non hanno molta stima. La cara Michela si presenta sull'Espresso come «L'antitaliana»; Vauro ama ripetere di essere «purtroppo italiano». Significa che odiano i loro compatrioti? Non proprio. Piuttosto, sono convinti di appartenere a una specie superiore di italiano: più raffinata, più sensibile, più colta, ovviamente antifascista. Un gradino in più sulla scala evolutiva. Agli altri, ai «subalterni», come ebbe a chiamarli Gad Lerner, non resta che conformarsi o essere precipitati nella Gehenna. Lo dimostra il modo in cui entrambi hanno trattato la brutta faccenda degli insulti rivolti a Giorgia Meloni dal professore di Siena Giovanni Gozzini. Vauro è stato esplicito fin da subito: nessuna solidarietà a Giorgia. Motivo? Il solito: «La Meloni è leader di un partito che ha cavalcato la xenofobia e il fascismo». Frase che, tradotta, potrebbe anche suonare così: «Non è bello insultare, ma la Meloni gli insulti un po' se li merita, perché è fascista». La Murgia è stata appena più sottile. Per giorni ha fatto finta di ignorare la storia delle offese. Poi, sull'Espresso, ha ripetuto ciò che ha scritto nel suo nuovo libro «femminista» intitolato Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi). Nell'agile volumetto - un concentrato di luoghi comuni sui maschi arroganti e oppressivi in cui si fa largo uso della parola «patriarcato» - Michela scrive: «Solidarietà femminile è difendere dagli attacchi sessisti anche una donna con cui non sono d'accordo su nulla. Dagli attacchi sessisti, però, non da qualunque attacco. Fare body shaming su Daniela Santanchè o Giorgia Meloni sarà condannabile quanto farlo su Elly Schlein o Laura Boldrini, ma per tutto il resto si rimane libere di criticarle senza ledere in alcun modo la propria coerenza femminista». Sulla carta potrebbe perfino essere una posizione sostenibile. La pratica, però, ne svela tutta l'ipocrisia. Sull'Espresso, a malincuore, la Murgia solidarizza con la Meloni, ma la definisce «leader del partito più maschilista d'Italia» (ovvio: l'unico che ha a capo una donna è il più maschilista...) e si augura che gli insulti le siano serviti a «imparare qualcosa». Riecco il disprezzo. Gli insulti a una donna in quanto donna sono da condannare, ma gli insulti a una donna di destra devono essere «educativi». Di una donna di destra si può rispettare il genere, il suo essere femmina, ma non il pensiero. Ricordate, a questo proposito, quando Vauro disegnò Fiamma Nirenstein come il mostro di Frankenstein con una stella di David e un fascio littorio sul petto? Ancora oggi difende quella vignetta, anzi la definisce «eccessivamente e politicamente corretta», come a dire: avrebbe meritato di peggio. Dell'uomo di destra, invece, si può anche non rispettare nulla. E infatti la Murgia è quella che si permise di accusare Matteo Salvini (tirando in ballo addirittura Auschwitz) di avere «sulla coscienza migliaia di morti nel Mediterraneo», quasi che il capitano leghista affogasse personalmente gli stranieri. Questo è il punto irritante di tutta la faccenda. Personaggi come Vauro Senesi e Michela Murgia si arrogano il diritto di trattare gli avversari come se non fossero esseri umani. Li offendono, li dipingono come criminali, li paragonano costantemente agli aguzzini nazisti, non ne conoscono a fondo le idee ma le sviliscono ugualmente, e soprattutto sviliscono quelle di tutti gli italiani che si riconoscono a vario titolo nel centrodestra. La Murgia sostiene che le donne siano discriminate perché si sentono ripetere troppo spesso «Stai zitta» nei dibattiti televisivi (come se ai maschi non accadesse). Ma lei - che parla sempre e dovunque - è la prima a desiderare che chi non condivide il suo pensiero sia fatto tacere o, nel migliore dei casi, rieducato. Certo, potremmo anche non occuparci delle Murgia, dei Vauro e di tutti gli altri che, da decenni e con costanza alimentano il razzismo nei confronti della destra. Il problema è che loro continuano a occuparsi di noi. Continuano a insultare, a disprezzare, a discriminare. Continuano a dare lezioni di morale e di integrità. Accusano la destra di essere populista (in senso deteriore) e becera, ma le loro argomentazioni sono quanto di più basso la retorica possa offrire. Eppure, ancora, questi personaggi dominano il mondo culturale, spadroneggiano sui media, si permettono di tracciare la linea di demarcazione fra il bene e il male. Sì, un bel giorno smetteremo di occuparci di loro, di sfogliare i loro libri riciclati e i loro articoli supponenti. Prima, però, lasciate che rivolgiamo loro, a questi intellettuali abusive, due parole che ci escono dal cuore: state zitti.