2025-05-05
Vannia Gava: «Puntare soltanto sull’energia green rende vulnerabili»
Vannia Gava (Imagoeconomica)
Il viceministro dell’Ambiente: «Siamo un Paese manifatturiero: imitare Madrid sarebbe una tragedia. La sicurezza la dà il gas».«Se L’Italia seguisse la strada “green” della Spagna, altro che blackout: sarebbe una tragedia nazionale. Ci troveremmo di fronte a scelte drammatiche: diamo la corrente alle industrie o agli ospedali?». Vannia Gava, leghista di terra friulana, è viceministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Solitamente silenziosa, rifugge i riflettori televisivi sui temi delicatissimi di cui è chiamata ad occuparsi in questa difficile fase geopolitica. Ma quando parla, va dritta al punto, e chi la conosce la definisce «caterpillar»: «Diciamolo. La nostra stabilità energetica, la nostra sicurezza, al momento, dipende dal gas. La transizione non si fa dall’oggi al domani, altrimenti ci esponiamo a rischi altissimi. Le centrali a carbone vanno tenute come sistema d’emergenza. E sul nucleare, se la politica fa i compiti a casa e non ostacola le imprese italiane, vedrete che i tempi si dimezzeranno. E probabilmente, nel tempo, scenderanno anche i prezzi».Il blackout che ha lasciato al buio Spagna, Portogallo e parte della Francia, ha spiazzato un po’ tutti. Un’ intera rete collassata in cinque secondi. Che cosa possiamo imparare da questo episodio?«È chiaro che dobbiamo essere prudenti, probabilmente ci sarà una commissione di inchiesta per capire cosa è davvero accaduto. Per il resto, l’ho sempre detto e lo ribadisco: non possiamo essere dipendenti da una sola fonte energetica. Perché non conta solo la sicurezza, ma anche la stabilità della rete».Quasi l’80% dell’energia prodotta in Spagna è «carbon free». Gli esperti in Spagna avevano avvisato per tempo: l’overdose di rinnovabili genera instabilità. Se fosse accaduto in Italia?«Sarebbe stata una tragedia immane. Gettarsi a capofitto sulle rinnovabili nel nostro Paese, fino a farne la fonte di energia prevalente, sarebbe un salto nel buio. L’Italia, per la sua struttura economica, diventerebbe vulnerabile».Perché?«Perché siamo un Paese manifatturiero, di grandi trasformatori: acciaieri, ceramisti, cartiere. È impossibile, per noi, basarsi solo sulle rinnovabili. Ci troveremmo a scegliere se far andare gli ospedali o le industrie».Al di là della domanda energetica, c’è anche carenza di infrastrutture?«Assolutamente sì, mancano le reti che possano gestire i picchi di produzione delle rinnovabili, cioè l’overproduzione che manda in tilt il sistema. Sono tutte cose che devono essere pensate prima, non ci si può lanciare nel baratro. Dobbiamo essere razionali e fare un passo per volta. Le ideologie green ci portano contro un muro a tutta velocità».Dunque, escludiamo pale eoliche e pannelli solari «alla spagnola»?«Sarebbe impensabile, anche perché non esiste ancora un’accettazione sociale rispetto a queste fonti di energia. Davanti a ogni termovalorizzatore, sotto ogni pala eolica, intorno alle ruspe che scavano per le casse di espansione, spunta un comitato che si mette di traverso. In questa situazione, non c’è alcuna garanzia che gli obiettivi messi nero su bianco nel Pniec (Piano Nazionale Energia e Clima) possano essere davvero raggiunti».Quindi?«Si chiama “transizione” ecologica, dunque ci vuole tempo. Vuol dire che. prima ancora di pannellare il territorio, bisogna creare una cultura. Il sistema non può cambiare dalla sera alla mattina, altrimenti si rompe».Quindi qual è la soluzione?«Tutti vogliamo il “green”: ma vogliamo anche sopravvivere, senza ammazzare il sistema economico. Ora, abbiamo scoperto che fino al 2050 il gas si può usare. Ed è il gas che ci assicurerà la stabilità energetica. Per il resto, la soluzione è trovare un mix: raggiungere una adeguata diversificazione tra fonti fossili – stabili – e rinnovabili – non stabili».L’Italia è pronta a investire dieci miliardi per acquistare il gas naturale liquefatto americano, e scongiurare i dazi di Donald Trump. È una soluzione sostenibile?«Il gas liquefatto, che deve essere trasportato e rigassificato, ovviamente ha un prezzo maggiore del gas via tubo, ma è necessario. L’errore è stato quello di interrompere la ricerca di nuovi giacimenti nel nostro territorio. Ci siamo inginocchiati all’ipocrisia, quella di comprare il gas all’estero senza estrarlo in Italia. Potevamo avere energia a chilometro zero nell’Adriatico e nel Mediterraneo, se solo negli anni scorsi avessimo avuto più visione a lungo termine».Se Trump dovesse alla fine raggiungere l’obiettivo di un accordo di pace in Ucraina, quali saranno gli impatti sul piano della nostra sicurezza energetica?«Ci sono tanti motivi per cui augurarsi la pace. Intanto l’accordo tra Stati Uniti e Ucraina sulle materie prime è una buona notizia anche per chi tifa rinnovabili, perché i materiali necessari a certe tecnologie arrivano da lì».Che fine fanno le centrali a carbone?«È vero che andrebbero spente entro il 2025, ma attenzione: una volta spente, non le riaccendi più, si smantellano. Nessuno vuole tornare al carbone come gli altri Stati, ma in nome della sicurezza energetica dobbiamo averle pronte all’uso. Come nelle famiglie si tengono delle riserve per far fronte agli imprevisti, allo stesso modo il carbone è la nostra risorsa emergenziale, a cui far ricorso in caso di necessità in questi tempi imprevedibili».La retorica ambientalista europea è al capolinea?«Qualcosa era già cambiato dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, quando sono subentrati problemi di approvvigionamento e speculazione. Nella tassonomia energetica è rientrato il gas e il nucleare, quindi un cambio di registro c’è stato».Il Partito popolare europeo a Valencia attacca i «disastri del Green deal».«Noi della Lega lo diciamo da sempre. È un buon segnale, purché alle parole seguano i fatti. Per esempio, mi aspetto che battano un colpo sul Clean industrial deal, il piano europeo per l’industria, su cui non ho visto ancora volontà di grandi cambiamenti».Quali regole ambientali europee devono essere abbattute immediatamente?«Va smantellata la selva di regole burocratiche che vincolano l’economia. Va cancellata la scadenza del 2035 per il blocco delle auto benzina e diesel, che sta condannando il settore cruciale dell’automotive, per legarci mani e piedi a una tecnologia ancora immatura. Le reti della ricarica non ci sono, è inutile fingere che non sia così. Senza contare che dietro il tubo di scappamento ad emissioni zero, c’è una parte di produzione fortemente impattante sul piano ambientale».È ripartita la corsa all’energia nucleare?«Sì, ed è una partita da cui non possiamo restare fuori, perché sarà l’unica fonte che ci consentirà di avere una decarbonizzazione senza desertificare l’economia. Non voglio anticipare i risultati prima che i fatti li confermino, ma probabilmente il nucleare porterà anche a una diminuzione dei prezzi dell’energia».C’è anche quel problema sul tavolo.«Sono chiamata a garantire non solo la sicurezza energetica e la tutela ambientale, ma anche la competitività delle imprese italiane».Quali sono le scadenze sul nucleare? Si parla di 20 anni, come minimo.«Parliamo ovviamente di anni, ma essendo orgogliosamente italiana credo nella forza dei nostri imprenditori. Se riusciamo ad accompagnare la nostra industria in questa sfida, i tempi si potranno dimezzare».Addirittura?«Siamo il Paese di Enrico Fermi, abbiamo una capacità di ricerca formidabile, se la politica riesce a imprimere la giusta spinta iniziale. Abbiamo pronta una legge delega che dovrà andare in conversione».Dunque le storiche resistenze del Paese, che poi si sono concretizzate nei referendum contro il nucleare, saranno superate?«Sì, perché stiamo parlando di nuove tecnologie, che nulla hanno a che fare con le centrali tradizionali. Ci saranno i piccoli reattori, e poi il sogno è quello di realizzare la svolta della fusione nucleare. Insomma, abbiamo fatto capire che ci crediamo».
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