2025-04-03
Preda della paranoia per l’invasione russa il piano di Ursula farà danni agli Stati
Roberto Vannacci (Imagoeconomica)
La retorica dell’urgenza porterà ad aumentare le disparità tra Paesi e a favorire i grandi gruppi a discapito delle Pmi.Il ReArm Europe plan è stato già ridenominato Readiness 2030 perché anche le parole contano: come se le pantere della polizia fossero più aggressive delle gazzelle dei carabinieri. ReArm era troppo militaresco, meglio metterla sul piano della «prontezza» anche per dare il contentino allo zainetto per la sopravvivenza che la commissaria Hadja Lahbib ci ha illustrato con un esilarante e quanto mai grottesco video. La più ambiziosa e meno utile iniziativa in materia di Difesa dell’unione Europea nasce, infatti, sull’onda allarmistica di una imminente e quanto mai fantasiosa invasione russa e di un disimpegno repentino statunitense dalla Nato e dall’Europa proponendosi l’utopistico obiettivo di trasformare il Vecchio continente in una potenza militare industriale strategicamente autonoma entro il 2030. Nonostante la retorica sull’urgenza, il Readiness 2030 non si basa su uno stato d’emergenza formalmente dichiarato, un aspetto che certamente mette in discussione la sua legittimità e necessità. Diversi elementi suggeriscono che la minaccia immediata sia meno concreta di quanto ci vogliano far credere per i seguenti fattori.Assenza di invasione: non ci sono prove di un’aggressione imminente contro l’Unione europea. La narrazione di una Russia pronta a colpire si basa su ipotetici scenari futuri, come dichiarato dal capo dell’intelligence estera tedesca, Bruno Kahl, il quale ha lanciato un inquietante allarme riguardo al crescente rischio di un conflitto militare diretto tra la Russia e la Nato e ipotizzato un possibile attacco a uno Stato Ue entro il 2030. Tuttavia, tali proiezioni sono speculative e contestate da esperti di questioni russe, come l’analista britannico Mark Galeotti, che ha sostenuto che il Cremlino «non ha né le risorse né l’interesse per un conflitto su larga scala con l’Europa». Paradossalmente, inoltre, esiste già uno Stato europeo occupato militarmente ma non dalla Russia: si tratta di Cipro che, dal 1974 vede una parte del proprio territorio occupato dalla Turchia, membro della Nato. Strano, quindi, che ci si mobiliti per un’ipotetica, fantasiosa e quanto mai inverosimile invasione futura quando invece ne esiste una concreta e reale già in atto. Improbabile disimpegno Nato: gli Stati Uniti, nonostante le esternazioni di Donald Trump, non stanno attuando un ritiro dalla Nato. Il Congressional research service rileva che Washington ha incrementato la presenza militare in Europa orientale nel 2024, con 20.000 truppe aggiuntive in Polonia e Romania, segno di un impegno continuo. Un disimpegno totale appare improbabile nel breve termine, come confermato dall’ex segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in un’intervista alla Cnn lo scorso 18 marzo 2025.Spesa già elevata: gli stati membri dell’Unione hanno investito 326 miliardi di euro in Difesa nel 2024, secondo quanto riportato dall’Agenzia europea per la Difesa, Eda. Si tratta di un aumento del 20% rispetto al 2020. Con un Pil condiviso di circa 20 trilioni di dollari contro i 2 trilioni della Russia (World Bank, 2024), l’Europa gode di un vantaggio economico e demografico schiacciante, con una popolazione di 450 milioni di abitanti contro 145 milioni della Russia, secondo i dati riportati da dati Eurostat nel 2024. Da sottolineare, inoltre, che l’economia russa si basa essenzialmente sull’esportazione di materie prime al contrario di quella europea che si basa su manifattura e industria e che quindi possiede una capacità di produzione infinitamente superiore rispetto a quanto il Cremlino possa obiettivamente mettere in campo. Macrofattori contro la minaccia russa: la capacità della Russia di invadere i Paesi dell’Unione è limitata. L’International institute for strategic studies (Iiss, Military Balance 2025) stima che in tre anni di conflitto in Ucraina il Cremlino abbia consumato il 40% delle sue risorse militari, perdendo 783.000 soldati, tra morti e feriti, e oltre 2.000 carri armati. La politologa tedesca Jana Puglierin conclude: «Il Readiness 2030 sembra più un progetto politico per l’autonomia europea che una risposta a una crisi reale».L’altra falla del costrutto risiede nel ricorso al debito comune per finanziare il Readiness 2030 che presenta rischi sistemici che potrebbero minare la stabilità economica europea.Erosione della sovranità: centralizzare il debito a livello Ue riduce l’autonomia fiscale e strategica degli Stati membri. The Economist avverte che «il debito condiviso sposta il potere decisionale a Bruxelles, indebolendo i parlamenti nazionali e creando tensioni tra i governi». Debito da restituire: i 150 miliardi di euro iniziali, pur distribuiti tra i 27 membri, graveranno sui bilanci futuri. Un’analisi di Bruegel stima che il rimborso potrebbe richiedere nuove tasse paneuropee o tagli alla spesa sociale, riducendo drasticamente le capacità economiche dell’Ue di fronte ad eventuali crisi future, come ad esempio una recessione globale.Ricadute sugli Stati ad alto indebitamento: Paesi con debiti elevati, come l’Italia (135% del Pil) o la Grecia (165%), rischiano di vedere peggiorare la loro sostenibilità finanziaria. L’economista Lucrezia Reichlin, in un articolo sul Sole 24 Ore, sottolinea: «Il debito comune trasferisce il peso sui Paesi fragili, creando un circolo vizioso di dipendenza da aiuti europei e misure di austerità che potrebbero destabilizzare ulteriormente le economie del Sud Europa».Le criticità aumentano se prendiamo in considerazione la parte del debito a carico degli Stati membri poiché il contributo diretto richiesto alle singole nazioni amplifica le difficoltà finanziarie e politiche.Pressione sui bilanci: Stati come Italia (debito/Pil al 135%), Portogallo (120%) e Spagna (115%) potrebbero dover tagliare investimenti in settori chiave come sanità e istruzione per rispettare gli impegni del piano. L’Ocse, nel suo Rapporto del 2025, prevede che un aumento della spesa militare dell’1% del Pil ridurrebbe la crescita economica dello 0,3% nei Paesi indebitati, con effetti sociali potenzialmente devastanti.Disparità tra membri: Paesi più ricchi, come la Germania (debito/Pil al 60%), possono assorbire i costi senza sacrifici significativi, mentre nazioni meno abbienti rischiano di rimanere indietro. La rivista tedesca Der Spiegel scrive: «Il Nord Europa finanzierà il piano, ma il Sud ne pagherà il prezzo politico ed economico».Rischio di crisi: l’economista tedesco Daniel Gros avverte che «forzare Stati indebitati a sostenere ulteriori spese senza una crescita proporzionale potrebbe innescare una crisi del debito sovrano simile a quella del 2010, con conseguenze devastanti per l’eurozona».Vi sono inoltre ulteriori rilevanti perplessità nei propositi del piano di escludere l’industria della Difesa non europea. Tale provvedimento, infatti, comporta svantaggi strategici ed economici.Limitazione delle opzioni: gli Stati Uniti dominano il mercato militare con sistemi d’arma come il caccia di 5° generazione F-35, operativo in 11 Paesi Ue. Escluderli riduce l’accesso a tecnologie collaudate, come segnalato da Defense News: «L’Europa non può replicare le capacità americane nel breve termine».Costi più alti: l’industria europea, pur avanzata, ha capacità produttive limitate. Jane’s Defence Weekly rileva che «l’Eurofighter costa il 20% in più dell’F-35, con tempi di consegna più lunghi».Tempi di sviluppo: sviluppare alternative richiede anni. Il programma Eurodrone, ad esempio, non sarà operativo prima del 2029 (Airbus Defence, 2024), un orizzonte temporale incoerente con l’urgenza dichiarata.Inoltre, escludere partner non Ue compromette progetti già avviati.Caccia di sesta generazione (Fcas): Coinvolge Francia, Germania e Spagna, ma dipende da input tecnologici esterni. L’agenzia di stampa Reuters prevede ritardi di 5 anni senza collaborazioni transatlantiche. Mentre l’altro programma di 6° generazione, il Global combat air programme (Gcap), è frutto di una collaborazione tra Italia, Regno Unito, quindi un Paese extra Ue, e addirittura il Giappone, una potenza asiatica, che sta condividendo tecnologie già sviluppate per il caccia autoctono F-X nel programma Gcap.F-35: Italia, Paesi Bassi, Germania e altri Stati membri hanno investito miliardi nel programma. Ignorarlo frammenterebbe la standardizzazione militare europea. Acquisti polacchi: Varsavia ha optato, già da tempo, per l’acquisizione di 1.000 carri armati K-2 Black Phanter e 360 obici semoventi K-9 Thunder, entrambi sudcoreani (SIPRI, 2024), più performanti ed economici delle alternative europee.Patriot e Arrow: la Germania acquisirà per la difesa aerea il sistema superficie-aria della americana Rtx Patriot Pac-3 e l’israeliano/americano Arrow 3, in grado di intercettare missili balistici a lungo raggio (Icbm). Al momento, l’industria europea non è in grado di produrre nulla del genere. In aggiunta, il piano potrebbe accentuare le disuguaglianze interne.Concentrazione industriale: Francia (Thales, Dassault, Safrane, Airbus) e Germania (Rheinmetall, Tyssenkrupp Marine) dominano il settore. Les Echos stima che il 70% dei contratti finirà a questi Paesi, marginalizzando molti altri dei 27stati dell’Unione. Disparità economica: gli 800 miliardi stimolerebbero crescita e occupazione nei Paesi più industrializzati, lasciando indietro le periferie (World Bank, 2024).Influenza politica: Francia e Germania potrebbero aumentare il loro peso politico, come rilevato da Foreign Policy: «Il Readiness 2030 è anche una partita di potere interno all’Ue».Infine, il piano favorisce i grandi conglomerati dell’industria della Difesa: Airbus, Bae Systems, Rheinmetall, Tyssenkrupp Marine, Dassault, Safrane e Leonardo monopolizzeranno i contratti (Financial Times). Le piccole imprese, che costituiscono la ricchezza e la peculiarità dell’Italia, ma che sono meno competitive nei grandi progetti, resteranno per lo più escluse (Rapporto Eda, 2024). La concentrazione sui big ridurrà la concorrenza, aumentando i costi a lungo termine (Bruegel, 2025).In conclusione, il Readiness 2030, pur ventilando l’ambizione di aumentare il peso strategico/militare degli Sati membri, rischia di erodere sovranità, accentuare disuguaglianze e favorire pochi, senza una minaccia concreta a giustificarne l’attivazione.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.