2024-02-17
Vannacci annuncia la candidatura tra le righe del suo secondo libro
A breve esce «Il coraggio vince», il nuovo volume del generale. Che risponde ai detrattori e tesse un elogio dei confini. Più che un banale saggio, però, sembra un manifesto politico che prelude a una discesa in campo.Roberto Vannacci è un amante dei confini. Chi ha letto il suo libro di prossima uscita per Piemme - Il coraggio vince - racconta che nel testo ne tesse un interessante elogio. Per lui, le frontiere sono linee sacre, tracciate dagli uomini però, non da Dio. Sono simboli delle nazioni e la difesa della patria si realizza innanzitutto preservandone i confini. Nel Vannacci pensiero, i confini sono divisivi per definizione: sono stati creati proprio per questo. Però nella cultura moderna non devono essere né bastioni difensivi né sbarre carcerarie. C’è una metafora che il generale scrittore ama ripetere: i confini sono come siepi (è una immagine mutuata da un maestro rabbinico). La siepe è un elemento naturale controllato dall’uomo. Definisce gli spazi senza impedire il dialogo. Al di qua e al di là di una siepe, ci si può guardare, conoscere, stringere la mano. Il confine, in sostanza, può pure unire. Da uno che elabora concetti del genere c’è da aspettarsi un rigoroso rispetto dei limiti, e infatti il generale si ferma sempre un attimo prima di varcare il confine che separa la sua attività collaterale di pamphlettista dalla militanza politica. Esprime idee che potrebbero dare corpo a un programma, ma non va oltre. A chi avesse voglia di arrivare in fondo al suo volume, tuttavia, Vannacci pare che riservi una sorpresa. Chi ha letto il libro fa un clamoroso spoiler, ma offre anche una notizia: in un pugno di frasi c’è quello che sembra l’annuncio di una candidatura. A una conduttrice tv che gli domanda perché non prova a raddrizzare il «mondo al contrario» che ha dato il titolo al suo bestseller, Vannacci risponde che in effetti un incursore potrebbe cimentarsi nell’impresa. Beh, e in che modo potrebbe raddrizzare il mondo un militare (colpi di mano latinoamericani esclusi) se non candidandosi? A quanto risulta, il programma è sostanzialmente già pronto. Vannacci lo enuncia nel secondo libro parafrasando il primo e ricorrendo sempre allo stesso escamotage: mette in scena la sua partecipazione a un talk show e snocciola risposte alle domande feroci degli interlocutori che gli rinfacciano le sue affermazioni più celebri e più discusse. In sostanza il generale (che per lo più, ci risulta, inanella capitoli autobiografici e militareschi) dettaglia e approfondisce i concetti espressi nel Mondo al contrario, risponde alle accuse e ribadisce le sue convinzioni con garbata fermezza. Esordisce - ci racconta una fonte - sempre raccontandosi dentro uno studio tv, con un’accorata difesa delle sue esternazioni sulle differenze etniche. Per lui, è noto, le differenze esistono e sono una ricchezza. Si fa vanto di avere comandato per 30 anni uomini straordinari e tutti diversi l’uno dall’altro. Il suo compito era riconoscere le loro differenze e valorizzarle. A chi lo descrive come razzista, replica raccontando del suo amico Jama, compagno di Accademia somalo, con il quale per due anni ha condiviso la stanza. Aggiunge di aver rischiato la vita - in Ruanda, nello Yemen, nella stessa Somalia, in Iraq e in tanti altri teatri di guerra - per salvare la vita di persone con la pelle diversa dalla sua. Molte delle accuse di razzismo gli sono derivate dal passaggio famigerato sulla pelle dei neri: «Quando vivevo a Parigi, facevo finta d’inciampare in metropolitana per appoggiare la mia mano su quella dei neri, e capire se la loro pelle fosse diversa dalla mia». A chi gli rinfaccia quelle parole, il generale risponde che, quando si svolgeva quella scena in metropolitana, lui aveva 6 anni e veniva dalla provincia, voleva toccare con mano ciò che non conosceva.Nel nuovo libro, ci dicono, c’è una sorta di filo conduttore, uno scontro che si ripete: da una parte gli accusatori che ruggiscono, dall’altra l’incursore che tiene botta. E fa sapere di non essere disposto a smussare o ingentilire i toni. Egli vuole restare saldo sulle sue posizioni, anche perché è sicuro che, se facesse anche un minimo passo indietro, verrebbe sbranato. Fermo, insomma, ma anche intenzionato a togliersi di dosso il marchio di infamia. A suo dire, accusare qualcuno di razzismo è un fatto grave, poiché il razzismo è un reato. Dare dell’omofobo a qualcuno significa invece dargli del malato, dato che la fobia è una patologia psichiatrica. Motivo per cui accusare una persona di essere fobica equivale a privarla della dignità di interlocutore. A Vannacci, lo ribadisce spesso, piacerebbe che si discutesse delle sue idee, non che queste venissero usate in maniera strumentale per metterlo in croce. Vorrebbe che si dimostrasse che ha offeso o leso la dignità di qualcuno e non che gli si ripetessero le frasi fatte su omofobia, istigazione all’odio e razzismo. Nessuna ritrattazione, dunque. Nessun cedimento. Solo una precisazione che ritorna con forza: Vannacci - lui ci tiene più di ogni altra cosa a chiarirlo - non è un odiatore. E infatti insiste su un punto: per decenni - da soldato - ha difeso tutti: bianchi, neri, rossi, verdi. Ha portato in salvo gente di ogni nazionalità in Costa d’Avorio, Somalia, Yemen, Ruanda. Ha comandato gay e lesbiche, donne e uomini di ogni provenienza, religione e orientamento sessuale. Ai suoi censori lancia una sfida: si faccia avanti chi pensa di essere stato offeso o discriminato dalle sue azioni, lui è pronto a risponderne in televisione, sui giornali e pure di fronte alla legge. E chissà, magari presto ne risponderà anche davanti agli elettori. Una incursione nella politica in effetti gli manca.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.