2022-06-02
«Vaia allo Spallanzani senza i titoli»
Il direttore dell’istituto avrebbe avuto valutazioni più basse di altri in lista per la nomina. Eppure Nicola Zingaretti e Alessio D’Amato (Pd) scelsero lui. In vista i ricorsi degli esclusi al Tar.Francesco Vaia, attuale direttore generale dell’ospedale romano Inmi Spallanzani, non era il candidato ideale. Quantomeno guardando alle valutazioni formali della commissione interna alla Regione Lazio istituita per esaminare i candidati che, secondo il quotidiano La Repubblica, avrebbe ritenuto Vaia «mediamente orientato ai contenuti delle aree sondate». Eppure, quando la commissione Sanità del Consiglio regionale del Lazio ha ratificato la nomina proposta dalla giunta guidata da Nicola Zingaretti, l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, ha speso parole di apprezzamento e ringraziamento sulla gestione della pandemia da parte dello Spallanzani, di cui Vaia era diventato direttore sanitario nel gennaio 2020, a pochi giorni della scoperta, proprio nell’ospedale romano, del primo caso di Covid in Italia. Una scelta anche questa finita nel vortice delle polemiche, visto che all’epoca della nomina Vaia aveva 67 anni, un’età che sulla carta non avrebbe permesso di affidargli l’incarico. Infatti, fino a pochi mesi fa, quando un emendamento di Italia Viva inserito in un provvedimento sull’emergenza sanitaria ha alzato il tetto a 68 anni, i 65 anni erano il limite per ottenere certi incarichi. Secondo il quotidiano romano, dopo l’arrivo di Vaia allo Spallanzani, anche la Guardia di finanza avrebbe fatto approfondimenti sulla nomina, rilevando una serie di anomalie rispetto a quanto previsto dalla normativa. E adesso, nei corridoi della Regione Lazio si vocifera di possibili ricorsi al Tar da parte di altri candidati esclusi, che avrebbero già fatto richiesta di accesso agli atti. Al netto della procedura di nomina a dg, la scelta di Zingaretti e D’Amato di puntare tutto su Vaia è per molti un mistero. L’assessore alla Sanità infatti per anni è stato un feroce oppositore del medico che ha gestito la pandemia nel Lazio, al quale aveva dedicato perfino un pamphlet di denuncia, che prendeva spunto dallo scandalo legato a ipotesi di corruzione nella sanità che travolse nei primi anni 2000 la giunta regionale guidata da Francesco Storace. All’inizio di luglio del 2006 i carabinieri si presentarono a casa di Vaia con un’ordinanza di custodia cautelare. Ma il medico-manager non c’era. Si costituì il 24 luglio, e poche settimane dopo il tribunale del riesame lo mise agli arresti domiciliari. Nell’ordinanza del gip Luisanna Figliolia erano evidenziati i precedenti del neo pupillo di Zingaretti e D’Amato: «Particolare allarme sociale desta la situazione afferente al Vaia. Lo stesso risulta pluricondannato a una pena complessiva di anni uno e mesi sette di reclusione, e a lire 1.200.000 di multa, per associazione per delinquere, reato commesso in Napoli dal 1991 al 1993 […], nonché per vari e numerosi reati di corruzione e per atti contrari ai doveri d’ufficio», che però, in virtù di un provvedimento di estinzione del reato del 2014, non possono essere formalmente di ostacolo alla nomina. Mentre la vicenda giudiziaria laziale si è arenata nelle secche della prescrizione. Resta però l’anomalia di un politico che prima scrive un libro che racconta le malefatte di un manager della sanità e poi, una volta diventato assessore lo sceglie per incarichi di alta responsabilità. Altro mistero del tandem D’Amato-Vaia è la collaborazione dello Spallanzani con l’Istituto Gamaleya, inventore del famigerato vaccino anti Covid «Made in Russia», lo Sputnik V. Quelli che dall’interno del Pd ricordano le dichiarazioni di Matteo Salvini sul vaccino russo infatti dimenticano che a passare dalle parole ai fatti, sia pure a livello di scambio scientifico e non di sperimentazione, è stato solo lo Spallanzani. Una collaborazione che risulta essere stata proposta all’ospedale romano dai russi. Dopo lo scoppio del conflitto ucraino la collaborazione si è interrotta, ed è emerso il timore che i ricercatori russi venuti a Roma avessero avuto accesso ai dati sanitari dei pazienti, a quelli dei 120 ceppi di virus isolati e a quelli degli altri vaccini. Ipotesi però seccamente smentite sia da Vaia che dal direttore scientifico dello Spallanzani, Enrico Girardi.
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