2022-09-10
Più contagi tra i bimbi immunizzati. E finiscono più spesso in intensiva
Il farmacologo Marco Cosentino: «Indagare di più sulla proteina Spike dei sieri a mRna».Sul tema «Elezioni in vista e gestione della pandemia», la Commissione medico scientifica indipendente (Cmsi) ieri aveva invitato gli schieramenti politici a esporre le proprie posizioni a proposito di obbligo vaccinale, vaccinazione ai bambini, green pass. I partiti avevano un’ora a disposizione, complessivamente, per spiegare agli elettori, in diretta streaming, come la pensassero su questioni tanto importanti per il Paese, dal momento che ne hanno condizionato la vita per oltre due anni. Pochi sono stati gli intervenuti, purtroppo, troppe le defezioni tra le quali spiccavano quella del Pd, che ha declinato l’invito con un «no grazie», di Sinistra italiana, di Europa Verde ma anche della Conferenza episcopale italiana che avrebbe dovuto avere argomentazioni per il mondo cattolico. Alle promesse elettorali è poi seguito un seminario di aggiornamento sul vaccino anti Covid, ricco di dati, spunti, occasioni di confronto scientifico che rimangono aperte. Alberto Donzelli, presidente della Fondazione Allineare sanità e salute, già dirigente di Sanità pubblica, ha ripercorso i risultati delle vaccinazioni nella popolazione, soprattutto nelle fasce più giovani. La protezione dall’infezione dei vaccinati è nettamente inferiore rispetto a quanti non si sono fatti alcuna dose, come emerge da studi danesi (-76% dopo 3-5 mesi), svedesi (dopo 9 mesi si è al di sotto dei non vaccinati), inglesi (dopo 13 settimane nella fascia 18-69 anni risultavano quasi quattro volte più esposti; dopo 6 mesi dal booster la protezione è zero). Così pure lo si vede dai numeri forniti dal nostro Istituto superiore dalla sanità, sui soggetti over 80, al di sotto del 30% rispetto ai non vaccinati dopo 8-9 mesi. «In Italia, nella fascia 40-59 anni, la propensione all’infezione è maggiore quando sono state fatte tre dosi, o nei soggetti con due dosi da meno di 120 giorni. Una situazione paradossale», ha commentato Donzelli. «Immaginiamo solo il massimo di rischio per pazienti fragili sottoposti a trattamento odontoiatrico da parte di dentisti super vaccinati, che possono essere più trasmissivi di infezioni». La quarta dose non risolverebbe la situazione secondo studi israeliani che hanno mostrato come l’efficacia pratica del doppio richiamo contro l’infezione «svanisce più presto, in dieci settimane». Sempre più urgente, da affrontare con un vero confronto scientifico, è anche la vaccinazione nei minori, ha ribadito Donzelli. Negli Stati, uno studio mostra come «a distanza di 45 giorni ci sia -41% di efficacia della protezione nella fascia 5-11 e 12-17». I Cdc quasi due mesi fa mostravano che i «i bambini di 5-11 anni vaccinati si infettavano il 54% in più dei non vaccinati», ha illustrato sempre nel suo intervento. Nel monitoraggio dal 17 gennaio al 13 aprile di quest’anno, pubblicato da Lancet, la protezione da Covid grave nei bambini italiani vaccinati con due dosi era scesa al 21,2% tra 43 e 84 giorni. «In realtà, calò molto di più», puntualizza il medico mostrando gli elaborati. «Secondo i dati dell’Iss, dal 23 marzo e nelle tre settimane successive era andata in negativo, scendendo al -10%, al -19% e al -21%. Nella settimana del 23 marzo c’erano più infezioni tra i bimbi di fascia 5-11 anni vaccinati: +19,1% rispetto al 25 febbraio. È stato un crescendo fino al 27 luglio». Nota conclusiva, il riferimento alle terapie intensive, che nella fascia 5-11 vede dal 15 giugno un aumento dei ricoveri in rianimazione per i vaccinati, anche di cinque volte in più rispetto ai senza dose. Davvero non c’è più tempo per rimandare in confronto sulla necessità di vaccinare i più piccoli contro il Covid. L’intervento di Marco Cosentino, docente di farmacologia all’Università dell’Insubria, ha riportato l’attenzione sui vaccini a mRna. «Non possono essere definiti vaccini», ha esordito, «perché quelli convenzionali contengono uno o due antigeni che esercitano il loro effetto sul sistema immunitario e vengono eliminati. Questi, invece, sono prodotti farmaceutici, contengono le istruzioni per creare la Spike, che è un principio attivo. Ma in quali cellule entra la proteina virale?» Di certo, non solo in quelle del muscolo dell’inoculo. Pochi studi si sono concentrati a seguire il percorso della Spike nella circolazione sanguigna. Il professore ha citato una pubblicazione di Cell, prestigiosa rivista di biologia, che riporta la presenza dell’antigene in linfonodi ascellari, fino a otto settimane dopo la vaccinazione. «Le biopsie si fermavano a quell’arco di tempo, ma la Spike potrebbe restare più a lungo», osserva Cosentino. Studi realizzati da una rete di patologi in Germania su infiammazioni cardiache post vaccinali, hanno rilevato la presenza della Spike, addirittura dopo nove mesi dall’inoculo. Tutto questo per ribadire quanto sia fondamentale, seppur trascurata, la questione sicurezza di questi anti Covid. Trattati, impropriamente, come vaccini convenzionali, sono sottoposti a linee guida diversissime dai farmaci dei quali vanno invece accertati effetti desiderati e indesiderati. Considerandoli vaccini, scatta la finestra temporale plausibile delle due settimane, oltre le quali non si può parlare di eventi avversi e se non c’è evidenza in letteratura, tutto quello che non è stato studiato su questi farmaci non viene preso in considerazione. Nel vuoto vergognoso della farmacovigilanza attiva «basterebbe che un centro vaccinale per Regione effettuasse un controllo completo dei vaccinati prima e dopo le somministrazioni», suggerisce l’esperto. «Non è un approccio contrario ai vaccini, ma servono trasparenza e rigore scientifico nella raccolta dati».
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)