2020-11-12
Vaccino in mano al genio dei banchi a rotelle
Il governo sceglie ancora il commissario per l'emergenza e per la ripartenza a scuola, Domenico Arcuri: sarà lui il responsabile del piano operativo per la distribuzione del farmaco anti Covid in Italia. Sperando non vada a finire come il fallimento di Immuni.Ex Ilva, restano i nodi irrisolti degli esuberi, del piano industriale e del valore degli impianti.Lo speciale contiene due articoli.Tre giorni fa Pfizer e Biontech hanno annunciato l'arrivo del vaccino anti Covid. Al di là della tempistica della comunicazione (si è atteso l'esito del voto Usa), dei risvolti politici e delle polemiche attorno all'incontro più o meno riservato tra i capi di Pfizer e il ministro Roberto Speranza, ancora non si sa il livello di efficacia. L'unica cosa certa è che rappresenterà per tutte le nazioni del mondo una immane sfida logistica. Le dosi andranno conservate a una temperatura che si aggira sui meno 80 gradi. Un valore che pochissimi impianti di stoccaggio oggi sono in grado di garantire. Varrà ovviamente per tutta la catena di distribuzione: dall'uscita dall'impianto fino alla somministrazione finale. In pratica, una delle sfide più complicate da immaginare per una macchina pubblica. Così complicate che il premier Giuseppe Conte ha deciso di affidarla al pluri commissario alla tragedia italiana (del Covid) Domenico Arcuri. I vaccini arriveranno a destinazione? Vedremo. Ma la vera domanda a cui non sappiamo dare risposta è «Perché?». Per quale motivo scegliere il manager calabrese anche per questo incarico, dopo mesi di insuccessi. Il 16 marzo Arcuri è stato nominato commissario per la ripartenza.Palazzo Chigi gli ha affidato il compito di recuperare mascherine, Dpi e strumenti sanitari idonei a fronteggiare l'emergenza. A luglio, in occasione del decreto Semplificazione, il governo ha allargato i suoi poteri delegando al manager, che continua a ricoprire il ruolo di ad di Invitalia, pure la responsabilità di riaprire le scuole. La soluzione individuata in coppia con il ministro Lucia Azzolina è stato l'acquisto di 2 milioni e 400.000 banchi con le ruote. A fine settembre ne erano arrivati a destinazione poco di 200.000 per di più dopo una telenovela di annunci, bandi di gara, assegnazioni e riassegnazioni. Aziende senza alcun criterio scomparse e sostituite. Insomma, una gestione scarsamente trasparente, giusto per usare un eufemismo. Senza dimenticare che l'invio dei banchi è poi di fatto coinciso con la nuova chiusura delle scuole superiori e parte delle medie. La maggioranza degli studenti è stata lasciata a casa a studiare con l'ormai celebre Dad, la didattica a distanza. E dei banchi il governo sembra già essersi dimenticato. Non è andata meglio con i primi incarichi, quelli risalenti a marzo. Infatti, solo a ottobre si è scoperto che i cantieri per 7.500 posti letto per le terapie intensive non erano stati avviati, nonostante il decreto Rilancio avesse stanziato oltre un miliardo di euro. Rimpallo tra Arcuri e i vertici delle Regioni e il manager, che chiede i poteri ma preferisce evitare le responsabilità, scarica sui governatori. In parallelo sempre Arcuri (lo scorso 2 ottobre) ha annunciato un bando di gara da 713 milioni per rafforzare il servizio sanitario nazionale: destinatari 457 ospedali. La scadenza del bando è stata il 12 ottobre, quando dal governo si gridava l'allarme della curva dei positivi. Non solo, sempre la struttura commissariale ha indetto poche settimana fa un altro bando di gara per recuperare ambulanze e barelle. In questo caso si è evitato di fare troppo pubblicità. Si è evitato di spiegare agli italiani le motivazioni di questo ulteriore ritardo e del perché si sia aspettato l'avvio della seconda ondata di Covid. Fosse stata una eventualità impossibile da prevedere.... Invece c'è pure da ricordare che da Conte in giù, compresi i politici di maggioranza, i virologi di Stato e i manager si è trascorsa l'estate a stracciarsi le vesti e ad annunciare il pericolo imminente. Scaricando sulla popolazione gran parte delle colpe e sgomitando sui giornali per rilasciare interviste. Unica consolazione, le mascherine: soprattutto quelle chirurgiche, ora non mancano. Si trovano frequentemente a 50 centesimi come promesso da Arcuri, solo che gran parte provengono dalla Cina. «A settembre ci saranno sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane», annunciava con orgoglio, il 27 maggio, il commissario per l'emergenza in commissione Affari sociali alla Camera, sottolineando che per quella data la produzione italiana sarebbe stata a pieno regime. «Entro la fine di giugno», aggiungeva l'ad di Invitalia, le 51 macchine acquistate dallo Stato per la produzione dei dispositivi saranno in grado di immettere sul mercato 31 milioni di mascherine al giorno. Invece i flussi di ingresso di mascherine dall'Oriente e soprattutto dalla Cina non sono cambiati in maniera sostanziale. Dagli ultimi giorni di febbraio alla metà di maggio ne sono state importate 1,5 miliardi. Da quella data a oggi altri 3 miliardi circa (basta andare sul sito delle Dogane e verificarlo) e il 90% del materiale sdoganato viene dalla Cina continentale. Pure la promessa della totale autarchia è andata in fumo. Così, per sommare ritardi ad altri ritardi bisogna attendere il 22 ottobre per leggere la lettera firmata Arcuri con cui viene assegnato l'acquisto di 5 milioni di test antigenici rapidi alla Technogenetics srl. Un distributore italiano di proprietà di una azienda quotata a Shenzen, in Cina. Speriamo che qui la catena di coordinamento funzioni meglio del contact tracing dell'App Immuni. Dopo mesi il governo si è accorto che le strutture sanitarie non agganciavano i positivi (segnalati dall'App) ai rispettivi data base. Nel penultimo decreto Conte ha infilato un milione di euro per pagare gli addetti chiamati al tracciamento. Anche questo capitolo è stato affidato alla responsabilità di Arcuri che fino al giorno prima si è ben guardato dal bussare al campanello di Palazzo Chigi per dire: «Houston abbiamo un problema».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vaccini-affidati-al-manager-dei-mille-flop-2648867612.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="arcuri-ha-due-settimane-di-tempo-poi-tentera-di-papparsi-pure-lex-ilva" data-post-id="2648867612" data-published-at="1605160009" data-use-pagination="False"> Arcuri ha due settimane di tempo poi tenterà di papparsi pure l’ex Ilva Passo indietro di Arcelor Mittal a Genova. Si torna infatti al lavoro nello stabilimento di Cornigliano, teatro di protesta in queste ultime 48 ore. L'incontro in prefettura, avvenuto dopo il corteo di ieri mattina, si è concluso con il ritiro da parte dell'azienda di tutte le 250 lettere di sospensione dall'attività lavorativa inviate nel corso della giornata di martedì e la fine di scioperi e blocchi ai varchi avviati dai lavoratori per protestare contro i licenziamenti comunicati dalla Arcelor Mittal. Inoltre è stato reintegrato Luigi Guadagno, l'operaio che aveva ricevuto la comunicazione di licenziamento per aver denigrato il direttore in un messaggio vocale su whatsapp: per lui scattano tre giorni di sospensione. «Pensiamo di aver portato a casa con questo sciopero e con questa mobilitazione un risultato», ha detto il segretario Fiom Genova, Bruno Manganaro, « Ora, dopo questa mediazione, si tratta di tornare a discutere del futuro di questo stabilimento». Fin qui la cronaca dei fatti esplosi dopo la legittima scelta di lasciare a casa alcuni dipendenti scoperti a trafugare materiale stoccato nelle adiacenza di una stanza relax, ovviamente abusiva. Ovviamente si è giocata una partita tutta politica che vede i sindacati con le antenne alzate, non solo a Genova ma soprattutto a Taranto, in vista della scadenza del 30 novembre. Data in cui i franco indiani e il governo dovranno trovare un nuovo accordo per evitare esuberi o addirittura l'addio di Arcelor all'Italia. A gestire anche questa difficile trattativa è il commissario al Covid e ad di Invitalia Domenico Arcuri. È lui a dover trovare una soluzione su incarico del premier Giuseppe Conte. Solo che i tempi stringono e così a detta di molti osservatori potrebbe spuntare lo scenario della proroga per il closing fra Invitalia e Arcelor Mittal rispetto a fine mese. Data - bene ricordarlo - stabilita dagli accordi del 4 marzo in base ai quali se le parti non riusciranno a trovare un accordo sul coinvestimento nel gruppo italiano dell'acciaio attraverso la creazione di una newco, gli indiani potranno andarsene da Taranto pagando una penale di 500 milioni di euro. Questo nel peggiore dei casi, oppure avviare la richiesta per nuovi esuberi. Né Arcuri né Conte possono in questo momento permettersi la chiusura degli impianti o altri esuberi. Una situazione che di per sé rende la trattativa difficile da portare avanti. Come dire, il coltello dalla parte del manico è in mano a Lucia Morselli, l'ad di Arcelor Mittal Italia. Vedremo che succederà fra due settimane. Dove trovi il tempo Arcuri di dedicarsi anche all'acciaio è un altro aspetto dalla partita iper complicata che si somma alle varie interferenze politiche che partono da Roma per arrivare fino a Bari e Taranto. «Noi lavoriamo intorno a due indiscutibili presupposti: il primo è che il più grande stabilimento siderurgico d'Europa deve operare a regime produttivo con le migliori e più innovative tecnologie produttive; il secondo è il raggiungimento degli obiettivi, a partire dalla piena occupazione, stabiliti nell'accordo di marzo. In questo senso l'ingresso dello Stato non può essere considerato un'elemosina o il tentativo di mettere una pezza a un vestito già troppo sfilacciato, ma la garanzia per il raggiungimento di questi obiettivi» ha dichiarato Arcuri (che dell'ex ilva potrebbe diventare presidente) in occasione dell'ultimo incontro al Mise senza svelare però i nodi irrisolti del piano industriale e del reale valore degli impianti.