2021-01-12
Vaccinati o licenziati? Per i sindacati non è un’eresia: «Ci vuole l’obbligo»
Dopo la provocazione di Pietro Ichino sui lavoratori da cacciare se rifiutano il siero, Cgil, Cisl e Uil dichiarano guerra a «ogni sacca di sfiducia». Sulla scia delle aperture di Annamaria Furlan: «Una legge ad hoc è urgente».Vaccinati o licenziati? Ovvero: chi rifiuta di farsi inoculare l'antidoto contro il Covid rischia di perdere il lavoro? Se all'inizio l'ipotesi poteva sembrare provocatoria, adesso Marco Baccini, sindaco di Bagno di Romagna, invia un'accorata lettera a Giuseppe Conte e a Roberto Speranza, per chiedere stringenti indicazioni sul da farsi. In una casa di riposo nel suo paese quasi la metà degli operatori sanitari rifiuta la profilassi. Il sindaco prima ipotizza la cacciata con ignominia. Poi, capito che non sarebbe così facile rimpiazzare gli scettici, scrive a premier e ministro della Salute: cosa vuole fare il governo «per superare un vuoto informativo e normativo che crea problemi gravi, imminenti e concreti ai livelli locali»? Nel frattempo, l'affare s'ingrossa. «Il rifiuto a vaccinarsi implicherà provvedimenti interruttivi del rapporto di lavoro» comunica, ad esempio, Unicoop di Piacenza ai suoi 190 operatori. Nell'attesa che Giuseppi batta un colpo, ci pensano però i sindacati a chiarire da che parte stanno: più importante vaccinare tutti che perdere il lavoro, altroché. Sembra questo il messaggio dello sterminato appello diffuso da una selva di sigle, tra cui quelle della «triplice»: Cgil, Cisl e Uil. Una chiamata alle responsabilità, indirizzata alle «rappresentanze dei professionisti sanitari e socio sanitari». Scontata premessa: «Da questa pandemia si uscirà soltanto affidandosi alla scienza e alle sue evidenze, esercitando fino in fondo il proprio ruolo nel rispetto prima di tutto dell'etica professionale di ognuno». Nel comunicato si citano anche le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «La scienza ci offre l'arma più forte, prevalendo su ignoranza e pregiudizi». Fino al conseguente monito del Quirinale: «Vaccinarsi è una scelta di responsabilità, un dovere. Tanto più per chi opera a contatto con i malati e le persone più fragili». Smaltito il corposo preambolo, i sindacati passano dunque alle trancianti conclusioni: «Va compiuto ogni sforzo per intensificare consistentemente l'opera di informazione e sensibilizzazione rivolta a chi dovesse nutrire dubbi o contrarietà». E quindi: lavoratori che avete dubbi sul vaccino, mettete da parte ogni titubanza. Pena l'imponderabile. «I benefici, per i singoli e per la collettività, derivanti da un efficace svolgimento della campagna vaccinale, saranno via via evidenti e tali da eliminare qualsiasi sacca di sfiducia che non derivi da ideologiche e irricevibili posizioni negazioniste». Questa irricevibilità sembra prefigurare i più nefasti effetti per coloro che oseranno opporsi all'antidoto. Eppure, appena due giorni fa, Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, sembrava ben più conciliante. In un'intervista a Repubblica, ammette: «Se una legge non stabilisce l'obbligo di vaccinarsi, allora nessun datore di lavoro può arbitrariamente decidere il licenziamento. Ma una legge ad hoc servirebbe, eccome: è urgente e opportuna, visto il numero dei morti che contiamo ogni giorno». Insomma, Furlan e gli altri leader sindacali sembravano prepararsi a chiedere l'obbligatorietà del vaccino. Posizione magari discutibile, ma almeno coerente. Invece, i sindacati ora annunciano epurazioni e coercizioni. Bisogna «eliminare qualsiasi sacca di sfiducia». Ogni negazionismo sarà dunque considerato inaccettabile. Seguiranno, si lascia intendere, amare conseguenze. Uno sprint punitivo che va incontro alle più estreme posizioni, già esplicitate dal giuslavorista Pietro Ichino. Il Corriere della Sera, due settimane fa, gli chiede: chi rifiuta il vaccino contro il coronavirus rischia il licenziamento? «Sì», assicura il professore. «Perché la protezione del tuo interesse alla prosecuzione del rapporto cede di fronte alla protezione della salute altrui». Gli domandano allora se è possibile giuridicamente introdurre l'obbligo. «Non solo si può, ma in molte situazioni è previsto», sostiene l'ex senatore del Pd. «L'articolo 2087 del codice civile obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure suggerite da scienza ed esperienza, necessarie per garantire la sicurezza fisica e psichica delle persone che lavorano in azienda». Ichino conclude: un datore di lavoro «non solo può, ma deve farlo». E dunque la destituzione non riguarderebbe solo medici, infermieri o insegnanti: militanti no vax, puri scettici o semplici cauti che siano. Ma qualsiasi cittadino, impiegato in qualsivoglia mansione. Una teoria che trova sponde anche nel governo. Il sottosegretario alla Salute, Sandra Zampa, l'ha già buttata lì: «Non possiamo in alcun modo accettare l'idea che un nostro anziano, o una persona fragile, possa essere messa a rischio perché il medico, l'infermiere o l'operatore con cui ha a che fare non vuole vaccinarsi». Quindi, saranno licenziati? Alla domanda la sottosegretaria prodiana non porge l'altra zampa, pardon guancia: «Esistono diverse gradazioni di possibile intervento…». L'ipotesi, certo, è ardita: persino ammalarsi allora poterebbe diventare, in futuro, motivo di licenziamento per i riottosi. Se non ti vaccini, non puoi lavorare. All'inizio, quella del giuslavorista sembrava una teoria di scuola. Invece, è diventata come un sasso lanciato nello stagno: ogni giorno i cerchi d'acqua s'allargano. Prima un cattedratico, poi il sottosegretario e adesso i sindacati. Vaccinati o licenziati? I tutori del lavoro hanno deciso: meglio immuni al virus, costi quel che costi.
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