2021-01-11
Ma allora uscire dall’Ue si può
Avevano pronosticato accaparramenti, inflazione, economia ko. Ma non è successo nulla: la volontà espressa nel referendum ha vinto, dimostrando che i vincoli dell'Unione non sono dogmi.I primi effetti del distacco si sono visti con le procedure veloci per approvare i vaccini. Ora meno vincoli di bilancio, più investimenti e costi ridotti per l'assenza dei dazi.Alex Deane, ex capo di gabinetto di David Cameron: «Bruxelles con le sue regole frena la crescita. Ma temo che nessuno seguirà le nostre orme».Lo speciale contiene tre articoli.«I britannici non faranno mai un referendum per uscire dall'Ue». E invece l'hanno fatto. «Il Leave non vincerà mai». E invece ha vinto. «Dopo Brexit, l'Uk subirà un tracollo economico: mancheranno anche farmaci e cibo». E invece ovviamente non è successo. «Un primo ministro non riuscirà mai a compattare il parlamento di Westminster su un'ipotesi condivisa di uscita». E invece Boris Johnson ce l'ha fatta. «Non ci sarà mai un accordo finale di uscita tra Londra e Bruxelles». E invece c'è stato. In questo botta e risposta, abbiamo ripercorso le obiezioni formulate dal 2016 a oggi, contro Brexit, dalla stragrande maggioranza del mondo politico e giornalistico, intellettuale e finanziario europeo. Per una volta, il bilancio finale è che le élites hanno perso e il popolo ha vinto, che gli «esperti» sono stati clamorosamente smentiti, e che la patria della democrazia moderna ha tenuto fede a sé stessa, consentendo agli elettori di decidere una chiara direzione di marcia. Chi scrive è indubbiamente pro Brexit, lo ammetto. Con franchezza, riconosco tuttavia che si tratta di una scommessa, il cui esito potrà essere giudicato solo tra dieci o vent'anni. Ma è importante che qualcuno abbia rotto un dogma ricordando a tutti che si può essere europei senza apprezzare le regole di questa Ue, che si può essere favorevoli al massimo possibile di scambi commerciali senza volersi amalgamare politicamente e senza voler dar vita a un superstato europeo. Quel che non mi persuade è il doppio standard adottato da troppi: se è giusto (anzi, sacrosanto) adottare un approccio basato sul dubbio rispetto alle scelte di Londra, mi parrebbe altrettanto onesto applicare la stessa logica di dubbio (e non di adesione religiosa) nel valutare le scelte di Bruxelles. Com'è possibile che si sia accolta con superficialità, e in qualche caso perfino con entusiasmo, l'uscita dall'Ue del Regno Unito, che negli ultimi 6-7 anni ha creato da solo quasi più posti di lavoro degli altri 27 Paesi Ue messi insieme? Com'è possibile che si continui a ripetere (ormai è una via di mezzo tra uno scioglilingua e una giaculatoria) che «ci vuole più Europa», senza vedere che la grande speranza dei fondatori De Gasperi-Adenauer-Schuman è stata colpita al cuore dal modo burocratico, a-democratico, in cui l'Unione è stata costruita decennio dopo decennio? In un gigantesco discorso tenuto a Bruges nel 1988 Margaret Thatcher aveva spiegato bene proprio questo punto: la deriva di Bruxelles è stata quella di scambiare un mezzo con un fine, di ritenere che la comunità europea dovesse essere un fine in sé, dimenticando le diversità e perfino il valore della competizione tra modelli differenti. Oggi Londra, nella sua scelta di divergere, lancia la sfida di una Global Britain come un superhub mondiale in grado di attrarre risorse e investimenti, uscendo dalla gabbia dell'Ue ma potenziando la possibilità di commerciare con la stessa Europa, gli Stati Uniti, l'Asia, e con ogni altro player. Questa novità può far del bene a tutti. Aprire una competizione fiscale, legale, burocratica, potrà aiutare anche altri Paesi europei a vedere quale sistema funzioni meglio, e se sia efficace (come credo) una linea di tasse basse e regolamentazione leggera. Addirittura, si sarebbe dovuta cogliere l'occasione delle trattative tra Bruxelles e Londra per aprire un altro negoziato: quello tra i 27 per una rinegoziazione complessiva dei trattati europei, e per abbracciare anche all'interno dell'Ue l'idea di un maggiore riconoscimento delle diversità. Tra l'altro, in troppi da questa parte della Manica non sembrano rendersi conto che, pur tra mille difficoltà, Londra sembra aver iniziato bene la prima sfida della vaccinazione. Per due volte, proprio grazie all'autonomia consentita da Brexit, l'autorità di regolazione britannica ha bruciato in velocità la burocrazia europea dell'Ema. Morale: la Gran Bretagna, che pure ha avuto una gestione dell'emergenza Covid non priva di caos e incertezze, lavora oggi a una possibile rivincita. I britannici già vaccinati sono quasi 1 milione e mezzo. Già sono attivi 500 punti per la somministrazione (con oltre 10.000 tra medici, infermieri e volontari che hanno ultimato il loro training). Da metà mese, si spera di arrivare a 1 milione di vaccinazioni al giorno. Ed è già avviato lo sforzo organizzativo per tentare di raddoppiare il target e arrivare addirittura a 2 milioni di vaccinazioni quotidiane. L'obiettivo è duplice: uscire di slancio dall'emergenza e scatenare una ripartenza economica sensazionale.E noi? Davvero non vediamo il rischio di ridurci a una specie di protettorato tedesco? Forse pochi in Italia conoscono l'aneddoto raccontato da Charles Moore nella sua straordinaria biografia di Margaret Thatcher. Una volta, la Lady di Ferro invitò un gruppo di storici a Chequers, la residenza di campagna del primo ministro inglese, e pose loro un paio di questioni. Primo: come fu possibile che un popolo grande e colto come i tedeschi, negli anni Trenta, accettasse l'avventura nazista? Secondo: quella voglia di espansione, quella propensione a unire l'Europa - ma non nella libertà - potevano riproporsi in futuro, ad esempio attraverso l'economia? Ecco, sarebbe il caso di riflettere sugli effetti perversi di questa Ue: si voleva europeizzare la Germania, e invece si è finito per germanizzare l'Europa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/uscire-dalla-ue-si-puo-2649858375.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tutti-i-vantaggi-ottenuti-dagli-inglesi" data-post-id="2649858375" data-published-at="1610302943" data-use-pagination="False"> Tutti i vantaggi ottenuti dagli inglesi La campagna martellante contro l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea ha enfatizzato gli aspetti negativi prospettando una catastrofe, economica e sociale. Ma è davvero così? I primi vantaggi della Brexit si sono già fatti sentire. Il deal prevede l'addio all'Ema, l'Agenzia europea del farmaco che ha spostato la sede da Londra ad Amsterdam. Questo ha permesso al governo inglese di scavalcare la burocrazia europea e velocizzare con grande rapidità il processo di approvazione dei vaccini anti Covid. La vaccinazione con il prodotto Pfizer è stata avviata con un paio di settimane in anticipo rispetto all'Europa, così pure quella con i vaccini AstraZeneca per i quali l'Italia dovrà attendere fine gennaio e inizio febbraio. Un ritardo ancora più ingiustificato dal momento che alla produzione di AstraZeneca ha collaborato anche un'azienda italiana. Sei ospedali britannici hanno cominciato a somministrare le prime 530.000 dosi. Da metà gennaio gli altri ospedali del Regno Unito avranno a disposizione 2 milioni di dosi a settimana. In realtà, la fuga in avanti di Londra consentita dalla Brexit sarebbe possibile anche per gli altri Paesi dell'Ue. Se l'emergenza lo richiedesse, le regole europee consentirebbero di avviare interventi medici senza attendere il via libera dell'Ema, ma nessuno se l'è sentita. Mettersi sulla scia di Londra avrebbe significato contestare i vincoli europei. Intanto la Gran Bretagna ha guadagnato un mese nella lotta all'epidemia, e non è poco. Essere fuori dall'Europa significa poi non dover attendere il percorso burocratico del Recovery fund per investire in sanità, centri di ricerca e progetti ecocompatibili di tutela dell'ambiente. Avere la sterlina e non dover sottostare alle rigide regole di bilancio europee: ciò consente al governo inglese di far correre il debito pubblico senza l'incubo di dover rientrare nei tempi e modi fissati da Bruxelles. Il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, ha fatto intendere che eventuali aumenti delle tasse per compensare gli squilibri di bilancio causati dalle spese per la pandemia sarebbero possibili solo a fronte di una crescita economica. Era stato detto che con la Brexit il Regno Unito non avrebbe più partecipato ai programmi europei, incluso l'Erasmus. Invece se ne salvano 4 che riguardano ricerca, innovazione, energia e spazio (Horizon Europe, Euratom, Iter e Copernicus) mentre l'Erasmus sarà rimpiazzato con il Turing scheme: d'altra parte, non c'è l'Erasmus per gli Stati Uniti ma un programma chiamato Overseas. Il Turing scheme consentirà agli studenti inglesi di trascorrere un periodo di studi all'estero, in Europa e «nelle migliori università del mondo», come ha detto il primo ministro Boris Johnson. Al progetto saranno destinati 100 milioni di sterline. È vero che ora studiare in Inghilterra costerà di più, ma anche le università americane sono molto costose senza che questo impedisca agli stranieri di frequentarle. La Brexit non sarà uno svantaggio nemmeno per l'export dalla Ue come era parso prima del deal: questo era uno dei punti sul quale i detrattori dell'uscita hanno insistito con maggior vigore. Con l'accordo commerciale di fine anno è stato evitato il rischio di dazi. Il Trattato di libero scambio siglato tra Bruxelles e Londra vale 700 miliardi l'anno e prevede anche zero quote su tutte le merci che rispettano le regole di origine. È sufficiente un'autocertificazione dell'origine preferenziale Ue per far entrare le merci alla frontiera inglese senza pagare. Secondo il premier Johnson, le aziende «faranno ancora più affari con l'Europa». Il governo britannico disporrà 1.100 funzionari in più alle dogane e all'immigrazione. Gli ingressi irregolari diventeranno più difficili. Chi vorrà trasferirsi in Gran Bretagna per lavoro dovrà avere un visto, che si può ottenere solo se si ha già un'offerta di lavoro con uno stipendio minimo di 25.600 sterline, cioè circa 28.000 euro (meno in caso di lavori essenziali come i medici). Sarà più semplice stabilirsi Oltremanica se si ha un dottorato di ricerca (specialmente in materie scientifiche). Londra quindi punta a ingressi di personale qualificato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/uscire-dalla-ue-si-puo-2649858375.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="finalmente-tornati-a-essere-padroni-del-nostro-domani" data-post-id="2649858375" data-published-at="1610302943" data-use-pagination="False"> «Finalmente tornati a essere padroni del nostro domani» «Hanno pronosticato catastrofi economiche, addirittura mancanza di cibo. Hanno detto che il governo avrebbe dovuto creare un fondo apposito per le “punizioni" inflitte dal mercato. Invece eccoci qui. Le nostre aziende faranno più business di prima perché saranno libere dai vincoli Ue e la nostra economia, dopo la pandemia, riprenderà a viaggiare non avendo obblighi di rientro del deficit imposti da Bruxelles. Quanto all'Erasmus, pensate davvero che gli studenti smetteranno di venire a studiare nelle nostre prestigiose università?». Parola di Alex Deane, ex capo di gabinetto del primo ministro David Cameron, ora socio di una società di consulenza della City e commentatore politico. La Brexit è conveniente? «Non è il modo giusto di affrontare il tema. È come chiedere a un Paese se è disposto a mettere in discussione la propria sovranità. Questa decisione per noi significa diventare responsabili del nostro destino, mettendo al primo posto i nostri interessi commerciali e non quelli dell'Ue, all'interno della quale il Regno Unito avrebbe avuto una posizione in secondo o terzo piano». Quali settori economici ne trarranno vantaggio? «Quelli che importano prodotti con costi tenuti alti dall'Unione doganale protezionista; chi cerca di esportare a condizioni migliori, che beneficerà della capacità del Regno Unito di definire propri accordi commerciali; coloro che usufruiscono della spesa pubblica nazionale. Le imprese inglesi, soprattutto quelle che esportano, avranno più opportunità di business con la Brexit. Ma aumenterà il giro d'affari anche delle aziende importatrici che non dovranno più sottostare agli alti costi doganali Ue». Che conseguenze ci sono per la vaccinazione anti Covid per l'uscita dall'Agenzia europea del farmaco? «Il Regno Unito ha beneficiato del proprio programma di approvvigionamento, senza i vincoli e i tempi dell'Unione europea, che sembra aver chiesto agli Stati membri di rallentare nell'interesse della “solidarietà". Mentre parliamo, il tasso di vaccinazione del Regno Unito è di circa l'1,3% mentre in Germania è dello 0,3% e in Francia è ancora peggio, statisticamente parlando, è zero». Non poter partecipare all'Erasmus penalizzerà gli studenti? «Assolutamente no. Avremo il programma Turing, in base al quale gli studenti potranno frequentare università in tutto il mondo. Aggiungo che c'è anche qualcosa di poco limpido nell'Erasmus. Gli studenti non sono arieti sociali da utilizzare per piani politici e fini integrazionisti». Però venire a studiare in Gran Bretagna costerà di più. Le scuole inglesi rischiano di perdere studenti? «Ne dubito. Il Regno Unito è un mercato educativo estremamente interessante. Molti studenti provengono comunque da Paesi extra Ue. E le nostre restano università di eccellenza molto ambite». Gli oppositori della Brexit affermano che il debito pubblico britannico è notevolmente aumentato. È vero? «No. Ci siamo indebitati selvaggiamente a causa del coronavirus, come ogni Paese, ma fino a quel momento il nostro bilancio pubblico stava andando bene. Secondo gli anti Brexit, sarebbe bastato il voto sull'uscita dalla Ue per innescare una recessione senza precedenti, cosa che non è avvenuta. Il voto risale a quattro anni fa. Hanno detto che avremmo dovuto avere un “budget per le punizioni". Che avremmo finito il cibo, che la gente avrebbe assaltato i supermercati, che avremmo impiegato un decennio per ottenere un accordo. Hanno avuto torto. Nessun organo dei media chiede a coloro che hanno preventivato un futuro così nefasto, e che sono stati smentiti dai fatti, di fare ammenda. Forse perché i media sono sempre stati contro la Brexit e pronti a rilanciare ogni falsità pur di contribuire a descrivere in modo negativo l'uscita dall'Ue». Quali sono i vantaggi per gli europei con la Brexit? «È una lezione per tutta l'Europa vedere un Paese indipendente forgiare il proprio percorso. Mi auguro che diventi un modello da seguire ma ne dubito, perché la risposta è sempre “più Europa". Chi guida l'Ue ora affermerà che il Regno Unito non è mai stato un vero membro e la Brexit non può che essere un caso isolato. È il loro modo di vedere e di raccontare l'uscita del secondo maggiore contribuente netto dell'Europa». La Brexit è un modello esportabile? «Forse. In Francia c'è un vibrante movimento Frexit e in Italia Italexit. Non posso esprimermi per altri Paesi. Io ho abbracciato sin dall'inizio l'uscita dalla Ue perché volevo che il Regno Unito fosse di nuovo una nazione indipendente. Ora finalmente lo siamo». L'Ue è in declino? «La Ue non è morta. Il Regno Unito continuerà a essere un Paese amico e un partner degli Stati membri. Ma sarebbe sciocco non guardare alla politica di inarrestabile integrazione e di rifiuto del cambiamento che ha portato all'uscita del Regno Unito». La politica finora perseguita dalla Ue ha ostacolato la crescita? «La Ue con le sue regole è un freno alla crescita. È un'unione doganale protezionistica, con barriere erette ai suoi confini e a crescita più lenta del mondo. Non è una coincidenza, non funziona».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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