L’ago della bilancia commerciale fra Usa e Ue è il Gnl, che l’Italia ha promesso di acquistare in quantità. Ma il reale obiettivo di Washington è farselo comprare dalla Germania, che «vanta» il surplus maggiore.
L’ago della bilancia commerciale fra Usa e Ue è il Gnl, che l’Italia ha promesso di acquistare in quantità. Ma il reale obiettivo di Washington è farselo comprare dalla Germania, che «vanta» il surplus maggiore.Giovedì pomeriggio nello Studio ovale della Casa Bianca erano trascorsi appena 150 secondi dall’inizio dell’incontro di Giorgia Meloni e Donald Trump con la stampa. Sono bastati alla Meloni per nominare il Gnl (gas naturale liquefatto), che costituirà uno snodo decisivo delle complesse trattative per riequilibrare i rapporti commerciali tra Italia e Ue da una parte e Usa dall’altra, minacciati dalle recenti decisioni di Trump sui dazi.Un bene di cui gli Usa sono i primi produttori mondiali e di cui la Meloni ha promesso di aumentare gli acquisti italiani. La Ue ha già assorbito nel 2024 circa il 60% di quella produzione. Ma non basta. Perché l’affare gas (nella duplice forma via tubo allo stato gassoso e via nave allo stato liquido raffreddato a -162 C°) è solo una tessera di un puzzle molto complesso e va perciò inquadrato in una prospettiva molto più ampia.Partiamo dal perimetro principale entro cui sta tutto. Nel 2024 la Ue ha registrato un record nel surplus della bilancia commerciale delle merci verso gli Usa: ben 198 miliardi. Nel 2018 eravamo a 136 e rispetto al 2023 (157 miliardi) il balzo è molto significativo. Più che il livello conta la dinamica, che è impressionante. Anche alla luce del surplus della Ue col resto del mondo che nel 2024 è stato di 147 miliardi. Insomma la Ue senza il mercato Usa smetterebbe di essere esportatore netto.Il settore servizi nel 2023 ha registrato un disavanzo di 109 miliardi, ma abbiamo già spiegato martedì scorso perché ha poco senso fare paragoni.Dietro questo surplus ci sono sostanzialmente le impronte digitali di un unico grande Paese: la Germania. Nel 2024 il surplus tedesco è stato pari a 92 miliardi, da solo poco meno (47%, con una punta del 57% nel 2022) della metà dell’intero surplus della Ue. Per comprendere pienamente la sproporzione di questo surplus, basta notare che l’incidenza del Pil tedesco su quello della Ue è solo il 24% circa. Insomma, Berlino negli ultimi 7 anni ha fatto degli Usa il suo principale mercato di esportazione, con il record fatto segnare proprio nel 2024, con 161,2 miliardi, il 10,4% delle esportazioni tedesche, ben prima di Cina e Uk. La crescita del surplus tedesco spiega poco meno della metà della crescita del surplus dell’intera Ue tra 2018 e 2024.Un fenomeno che non poteva passare sotto silenzio a Washington, soprattutto perché da metà del 2021 Berlino ha potuto beneficiare di un cambio euro/dollaro molto debole. La discesa cominciata a metà 2021 l’ha tenuto per circa 4 anni nell’area 0,98/1,10, un livello storicamente molto basso. Qualcosa di molto più efficace di un dazio o un controdazio.Ovviamente anche l’Italia ha goduto di questa situazione, registrando un surplus verso gli Usa di 39 miliardi nel 2024, comunque in crescita meno ripida rispetto a quello tedesco, anche come in proporzione al Pil (1,8% l’Italia, 2,2% la Germania).Già questi dati sarebbero sufficienti a giustificare un approccio di Trump differenziato per ciascun Paese della Ue, o almeno solo per la Germania. Cosa tecnicamente possibile perché ognuno colpisce come meglio crede le proprie importazioni. Perché, se lo squilibrio commerciale è imputabile per almeno metà ai tedeschi, dovrebbero essere colpite con dazi identici tutte le merci della Ue, italiane comprese? Il Regno Unito, con la Brexit, ha fatto appena in tempo a sottrarsi a questa tagliola indifferenziata.La centralità del tema degli acquisti di gas Usa è data anche da un altro fattore. Il gas russo arriva in Europa ancora copiosamente. Considerando i volumi, Mosca nel 2024 ha pesato ancora per il 14% sull’import della Ue. Meno del 23% del 2021, ma comunque poco meno degli Usa (quota del 17% nel 2024). È questo il dato che probabilmente più urta Washington. Dove si chiedono come sia possibile che ci siano stati ancora circa 16 miliardi di ricavi dal gas per i russi, a cui si aggiungono altri 6,7 miliardi di prodotti petroliferi. L’irritazione è poi aumentata quando hanno verificato che nel 2024 i volumi esportati dalla Russia sono saliti del 14% e quelli Usa sono calati del 12%.Sono questi i movimenti che hanno portato a variazioni significative nella bilancia commerciale complessiva Ue/Usa. Infatti, oltre al calo dei volumi, c’è stato anche il calo dei prezzi. Nel 2022 il «capolavoro» congiunto di Ursula von der Leyen e di Mario Draghi aveva portato a prezzi pari al triplo di quelli medi del 2024, che avevano mandato in deficit la bilancia commerciale Ue con il resto del mondo per l’astronomica cifra di 436 miliardi e parzialmente riequilibrato i rapporti con Washington. Oggi invece il surplus Usa/Ue per il gas si è ridotto da 53 miliardi della punta del 2022 a 19 miliardi del 2024. Ecco da dove prevalentemente proviene il maggior surplus Ue del 2024. Gli americani stanno fatturando molto meno e hanno ancora i russi tra i piedi. Ad aumentare la pressione Usa sulla Ue, venerdì è arrivata la notizia che da inizio febbraio i cinesi non stanno scaricando più Gnl a stelle e strisce.I russi si difendono ancora bene anche col Gnl. Osservando gli acquisti della Ue, nel 2024 la quota degli Usa è stata pari al 42% dei volumi, ma la Russia si è attestata a un dignitoso 16%. Per l’Italia, la quota Usa è al 34% dell’import e questo spiega l’insistenza di Trump sul tema. Un aumento che sembra alla portata del nostro Paese, considerando che la capacità di rigassificazione dei nostri cinque terminali è pari a 28 miliardi di mc e ne abbiamo importato solo 15.Il problema, ancora una volta è in Germania. Dove dispongono di cinque terminali per complessivi 44 miliardi di metri cubi e ne hanno comprato solo 6,7 (6,2 dagli Usa). Un misero 8% sull’import complessivo. Mentre l’Italia è al 26% e potrebbe salire al 45/50%.Resta sul tavolo una contraddizione apparentemente insanabile. Il Gnl, per gli ingenti investimenti infrastrutturali necessari, richiede contratti di lungo termine su cui spalmare quei costi in modo ragionevole e quindi poter applicare prezzi competitivi. Ma la transizione energetica vede il gas come una fonte fossile da abbandonare progressivamente e le due cose non possono stare insieme. Per cui i contratti a lungo termine hanno necessariamente la meglio ovunque, anche in Germania, con buona pace dei sogni di sostituzione delle fonti energetiche fossili.Ci permettiamo di presumere che il nostro presidente, appena uscito dallo Studio ovale avrà chiamato Berlino, perché è da là che passa il riequilibrio dei rapporti commerciali con gli Usa. Altrimenti il vero «bazooka» potrebbe essere quello usato da Trump con estrema precisione verso un solo Paese della Ue.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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