2024-01-02
Reazione Usa: affondate navi filo-iraniane
Dopo l’ennesimo attacco degli Houthi alle imbarcazioni occidentali nel Mar Rosso, per la prima volta degli elicotteri americani sono intervenuti uccidendo i miliziani: legittima difesa. Joe Biden però continua a tenere una linea politica ambigua nei confronti di Teheran.Scambio di minacce Zelensky-Putin. Il presidente ucraino: per Mosca un 2024 di devastazione. Pechino contro Taiwan.Lo speciale contiene due articoli.Mentre la tensione cresce in Medio Oriente, l’amministrazione Biden resta irretita dalla sua controversa politica iraniana. Domenica, elicotteri statunitensi hanno affondato tre imbarcazioni appartenenti ai ribelli yemeniti Huthi, storicamente spalleggiati da Teheran, uccidendone una decina. In particolare, le forze aeree di Washington sono partite dalla portaerei Eisenhower per intervenire a seguito di una richiesta di aiuto da parte della nave mercantile Maersk Hangzhou, che aveva subito un tentativo di assalto dei miliziani filoiraniani. Questi ultimi hanno sparato contro gli elicotteri, inducendoli a reagire. «Gli elicotteri della Marina americana hanno risposto al fuoco per legittima difesa», ha affermato Centcom. Secondo l’Associated Press, è la prima volta che truppe statunitensi uccidono degli Huthi da quando questi ultimi hanno iniziato i loro attacchi alle navi nel Mar Rosso. Ed è qui che è emerso il dilemma per Joe Biden. Da una parte, il presidente americano vuole scongiurare un allargamento del conflitto nella regione mediorientale. È in questo senso che vanno lette le parole pronunciate dal portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby. «Non cerchiamo un allargamento del conflitto nella regione e non cerchiamo un conflitto con gli Huthi. Il miglior risultato qui sarebbe che gli Houthi fermassero questi attacchi, come abbiamo chiarito più e più volte», ha detto. Tuttavia, dall’altra parte il New York Times ha rivelato che il Pentagono starebbe effettuando pressioni su Biden per convincerlo a condurre dei bombardamenti contro gli Huthi direttamente sul territorio yemenita. Un’opzione che tuttavia il presidente sarebbe restio a intraprendere. Si tratta di una posizione assai meno risoluta di quella assunta da Londra, che non ha escluso attacchi diretti contro i ribelli filoiraniani. «Siamo disposti ad agire direttamente e non esiteremo a intraprendere ulteriori azioni per scoraggiare le minacce alla libertà di navigazione nel Mar Rosso», ha dichiarato il ministro della Difesa britannico, Grant Shapps. «Gli Huthi non dovrebbero equivocare: ci impegniamo a chiedere conto agli attori malevoli responsabili di sequestri e attacchi illegali», ha proseguito. Domenica, il ministro degli Esteri britannico, David Cameron, durante un colloquio con l’omologo iraniano Hossein Amirabdollahian, ha inoltre affermato che «l’Iran condivide la responsabilità di impedire questi attacchi, dato il suo sostegno di lunga data agli Huthi». Nonostante alcuni giorni fa Teheran abbia negato di essere coinvolta negli attacchi del Mar Rosso, c’è da dubitare di questa versione. Il regime khomeinista ha infatti schierato la fregata Iris Alborz nel Mar Rosso stesso, mentre - secondo Al Jazeera - Amirabdollahian si è incontrato ieri con il portavoce degli Houthi, Mohammad Abdulsalam, il quale aveva già avuto un recente faccia a faccia col segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale iraniano, Ali Akbar Ahmadian per parlare di «questioni regionali di interesse comune». Tutto questo, senza trascurare che l’altro ieri il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, è tornato a minacciare Israele, in riferimento all’uccisione, avvenuta di recente in Siria, del generale dei pasdaran, Razi Mousavi. «Certamente questo crimine non resterà senza risposta e i criminali sionisti pagheranno per questo», ha tuonato. Non va poi dimenticato che l’Iran è uno storico finanziatore di Hamas. E proprio ieri lo Stato ebraico ha reso noto di aver ucciso Adil Mismah: uno dei comandanti dell’organizzazione, che avevano preso parte al brutale attacco del 7 ottobre. Tutto questo, mentre, secondo indiscrezioni, una delegazione israeliana si sarebbe recata al Cairo per discutere di un eventuale accordo sugli ostaggi con Hamas. Infine, sempre ieri, l’Iran è entrato nel gruppo dei Brics, rafforzando così i propri legami con Russia e Cina. Insomma, mentre la tensione cresce, Biden trasmette a Teheran un’immagine di irresolutezza. Sia chiaro: è giusto e comprensibile che il presidente americano cerchi di scongiurare un allargamento del conflitto. Tuttavia è dall’inizio della crisi di Gaza che continua a tenere una linea ambigua nei confronti di Teheran. D’altronde, difficilmente avrebbe potuto verificarsi il contrario. Dall’inizio del suo mandato presidenziale, Biden si è contraddistinto per un appeasement verso l’Iran. Un appeasement che ha indebolito la capacità di deterrenza degli Usa e che ha indirettamente rafforzato i khomeinisti, oltre ai gruppi da loro supportati (da Hamas a Hezbollah passando per gli Huthi). L’attuale presidente ha sbloccato fondi al regime degli ayatollah e ha riavviato le trattative per rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano, abrogando la politica della «massima pressione» su Teheran, che era stata attuata da Donald Trump: una politica che andrebbe urgentemente ripristinata. Il problema tuttavia, per Biden, è politico. Se lo facesse, significherebbe riconoscere che il suo predecessore aveva ragione. Un’ammissione che il presidente vuole evitare nel pieno della campagna elettorale per la riconferma. Intanto però l’Iran si fa più baldanzoso. E continua ad alzare il tiro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/usa-affondate-navi-filo-iraniane-2666847872.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="scambio-di-minacce-zelensky-putin-vi-distruggeremo-siete-finiti" data-post-id="2666847872" data-published-at="1704210783" data-use-pagination="False"> Scambio di minacce Zelensky-Putin: «Vi distruggeremo». «Siete finiti» «Distruggeremo le forze russe». «L’attacco a Belgorod non resterà impunito». Il capodanno in Ucraina e Russia è stato scandito da un forte scambio di minacce tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. I due «nemici» hanno approfittato del tradizionale discorso di fine/inizio anno per recapitare un messaggio, l’uno all’altro. Il presidente ucraino ha promesso alla Russia un 2024 di devastazione: «L’anno prossimo il nemico subirà le devastazioni da parte della nostra produzione nazionale», affermando inoltre che l’arsenale a disposizione dell’esercito potrà presto contare su un milione di droni. La risposta dello zar, ovviamente, non è stata da meno: «Nessun altro esercito al mondo possiede armi come quelle di cui dispongono le Forze armate russe. L’Ucraina sta finendo le attrezzature militari e noi aumenteremo la nostra produzione», ha detto nel suo discorso tenuto durante una visita all’ospedale militare Vishnevskij. «L’Occidente», ha continuato Putin, «sta cominciando a realizzare che la Russia non può essere distrutta». Il presidente russo si è poi prodotto in una specie di apertura per una risoluzione pacifica del conflitto, dicendo: «La Russia vuole porre fine alla guerra e il più rapidamente possibile, ma solo alle nostre condizioni», specificando che «il nemico non è l’Ucraina in quanto tale, ma, l’avversario della Russia sono i Paesi occidentali». Tornando invece sull’attacco ucraino che lo scorso sabato 30 dicembre ha colpito Belgorod, città russa al confine Sud-orientale tra i due Paesi, con un bilancio aggiornato a 25 civili uccisi, tra cui 5 bambini, il presidente della federazione russa ha detto: «È stato un atto terroristico, un’arma indiscriminata con attacchi mirati sulla popolazione civile. Non resterà impunito. Non ricorreremo a bombardamenti sull’area, ma prenderemo di mira i centri decisionali e i siti militari». Il primo giorno del nuovo anno, però, non è stato caratterizzato soltanto dalle parole dei due leader. I fatti raccontano di altri combattimenti e di un attacco notturno da parte dell’esercito russo concentrato nelle regioni di Dnipro, Mykolaiv e Leopoli, dove i detriti di un drone russo abbattuto dalla contraerea ucraina sono finiti sul tetto di un museo, provocando un incendio che fortunatamente non ha causato nessuna vittima. A Odessa, un raid condotto con i droni ha causato un incendio a un terminal del porto uccidendo una persona e ferendone molte altre. Anche Donetsk ha vissuto una notte di Capodanno sotto le bombe. Qui, però, secondo quanto riferito su Telegram dal capo dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk, Denis Pushilin, ad attaccare sono state le forze armate ucraine, provocando 4 morti. Il comando centrale di Kiev ha immediatamente respinto ogni accusa, dicendo che che la responsabilità del bombardamento sull’area è da attribuire a Mosca. L’aeronautica militare ucraina ha comunicato inoltre che nella notte di San Silvestro si è registrato un «record di droni russi», accusando l’esercito russo di aver lanciato 8 missili e 90 velivoli senza pilota, di cui 87 intercettati e abbattuti, su diverse zone del Paese. E sempre a proposito di discorsi di inizio anno, ha destato molta preoccupazione e fatto drizzare le antenne a molte cancellerie occidentali, quanto detto da Xi Jinping al popolo cinese. Il leader di Pechino, non solo ha ribadito la forte alleanza e amicizia con Putin - «Sotto la nostra guida congiunta la reciproca fiducia politica si è approfondita» - ma ha anche lanciato un messaggio forte e chiaro riguardo a Taiwan: «La Cina sarà sicuramente riunificata. Tutti i cinesi su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan dovrebbero essere legati da un obiettivo comune e condividere la gloria del rinnovamento della Nazione cinese». Parole che lasciano intendere che il pericolo di un’invasione dell’isola da parte dell’esercito cinese è quantomeno reale e concreto, pericolo che a Taipei vorrebbero prevenire con la richiesta di adesione alla Corte penale internazionale dell’Aia, in modo da far desistere Xi da cattive intenzioni.